Archivio | febbraio 2008
La città dei ragazzi – di Eraldo Affinati
Vengono in Italia da bambini, si inseriscono nella comunità, imparano a parlare l’italiano perfettamente e finiscono col sentirsi quasi del luogo; poi raggiungono la maggiore età e si trovano di colpo a dover risolvere un problema che per loro è vitale: trovare una soluzione per continuare a rimanere nel paese che per anni li ha ospitati. L’alternativa è l’espulsione.
Roma. Per Khaled, un afgano di diciotto anni, è quasi time out. Tra qualche giorno saprà se il suo datore di lavoro, un’azienda di facchinaggio che opera nel rutilante mondo della televisione, gli rinnoverà il contratto, nonostante una caviglia indolenzita gli impedirà di lavorare a pieno regime ancora per un po’.
Ottenere quel contratto è fondamentale, per Khaled, che, arrivato in Italia come minore senza famiglia, e dunque non rimpatriabile, rischia ora di piombare, per via della legge Bossi-Fini, nello status di clandestino.
Khaled è sbarcato in Italia a 13 anni, agganciato alle sospensioni di un Tir arrivato in nave dalla Grecia, dopo aver visto i genitori morire massacrati in Afghanistan e il fratello annegare nel Mar Ionio a bordo di una carretta.
La sua storia è agghiacciante, ma non più di tante altre che si possono raccogliere alla Città dei ragazzi, la casa famiglia alle porte di Roma che dal 1953 accoglie minori pària. Ieri, a giungere qui, erano per lo più sciuscià. Oggi, soprattutto immigrati.
Il “ribaltone etnico”, come nella maggior parte degli istituti italiani per minori, è avvenuto a metà degli anni Novanta, con l’arrivo dei primi albanesi, che oggi, insieme con gli afgani, sono gli stranieri più presenti.
“La maggior parte di loro parla un romanesco perfetto” dice Eraldo Affinati, scrittore e docente “di frontiera”, che all’esperienza nella Città ha dedicato il suo nuovo libro. “Per questi ragazzi, che arrivano analfabeti nella loro stessa lingua, l’italiano ha una funzione “ortopedica”: è la lingua in cui raccontano chi sono e da dove vengono, rimettendo insieme i cocci di un’esistenza tormentata. Come si fa a pensare di scacciarli una volta maggiorenni, solo perché non hanno trovato un lavoro regolare?”.
“Da quando è in vigore la Bossi-Fini” dice Porfirio Grazioli, direttore della Città, “abbiamo smesso di festeggiare i compleanni, che oggi somigliano più a un funerale: per questi ragazzi, diventare maggiorenni è una colpa. E noi, che prima della Bossi- Fini ci siamo sempre adoperati per assisterli anche dopo i 18 anni, ora rischiamo di violare la legge, se non denunciamo la presenza dei neomaggiorenni entro 48 ore”.
Tra quelli che hanno varcato la soglia della maggior età con in tasca un lavoro (e un alloggio, spesso ancora più difficile da trovare) ci sono Agim, che vende frutta sulla Portuense, Shafa, che scarica bagagli in un hotel vicino alla Stazione Termini, Faris, metalmeccanico, Omar, operaio edile.
Talvolta, è la stessa Città a fornire un salvagente ai ragazzi, che restano a lavorare in comunità come mediatori.
E’ il caso di Temesgen, 29 anni, etiope, un ex seminarista che lavora anche come interprete per le questure siciliane: “Pare che in tutto il Sud non ne trovino altri” dice.
Per chi, invece, diventa maggiorenne senza essere riuscito a trovare un impiego regolare, scatta l’assistenza di un battagliero pool di esperti. La prima mossa, spiega Marco Grazioli, figlio di Porfirio e avvocato specialista in immigrazione, è chiedere alla Questura il rinnovo del permesso per motivi di studio. Perché non è detto che chi arriva qui a 16 anni riesca poi a diplomarsi nei tempi previsti.
“Un altro enorme problema” dice Affinati "è che i docenti giudicano la preparazione di questi ragazzi come se fossero italiani. Mancano i mediatori culturali, quel personale specializzato che, conoscendo le due lingue, affianchi gli insegnanti”. Nonostante queste difficoltà, ormai la maggior parte dei ragazzi riesce a strappare il foglio di permanenza.
“Dal 2003, grazie a una sentenza della Corte costituzionale, le maglie della legge sui permessi si sono allargate e la percentuale di richieste di prolungamento del permesso accettate è passata dal 10 per cento al 70” spiega l’avvocato Grazioli. Nell’altro 30 per cento, ci si rivolge al Tar. Così, capita che, nell’attesa della sentenza, il ragazzo trovi lavoro.
Intanto, a dispetto delle leggi controverse, la vita nella Città continua. Continua nella succursale dell’istituto tecnico industriale Cattaneo, “ospite” della comunità, come nei laboratori di ceramica, vetro e meccanica che fungono anche da laboratorio di integrazione.
“Professò” dice il “sindaco” della comunità: “Leggi l’ultima delibera”. Nella Città vige l’autogoverno e i ragazzi eleggono ogni due mesi una giunta. Per la prossima uscita, è passata la proposta di Peppe: si andrà al cinema a vedere "Il cacciatore di aquiloni". "L’altra volta” dice l’assessore alle finanze, un afgano, "ha vinto un musulmano: abbiamo visto L’allenatore nel pallone 2“.
Paolo Casacci – il venerdì di Repubblica – 15 febbraio 2008
Testimonianze
Vincenzo Linarello, un ragazzo della Locride, parla della sua Calabria e delle lotte nonviolente per crearne un’altra diversa.
Ci “racconta” il suo impegno Rosaria Pescara in una lettera inviata a Concita De Gregorio nella rubrica Invece Concita, e pubblicata su la Repubblica delle Donne del 16 febbraio 2008.
Ieri sono andata a un convegno su Gandhi, sulla nonviolenza. Tante testimonianze interessanti, un poco d’aria fresca. Come ultimo intervento c’era un ragazzo della Locride: è cambiato registro. Vincenzo Linarello, così si chiama, ha raccontato la sua Calabria e le loro lotte non violente per creare un sistema che si opponga alla ‘ndrangheta e che crei un’altra Calabria. Ha raccontato i fatti, le conquiste, le minacce, i boicottaggi, i risultati. Tutto con una lucidità e un’emozione che mi ha reso lucidi gli occhi, a me, napoletana che vive a Piacenza e sta soffrendo per la sua incantata terra. Ho scoperto le connessioni tra la ‘ndrangheta e la massoneria, ho avuto informazioni in più sul trasferimento di monsignor Brigantini, sull’omicidio Fortugno. Alla fine gli applausi non si fermavano. Ma ci ha chiesto una cosa. Di andare tutti alla grande manifestazione che ci sarà il primo marzo in Calabria, perché l’appoggio e la visibilità sono la migliore garanzia per non sparire. Ci ha chiesto anche di vedere il loro sito, di iscriversi. Sento che gli devo questo, cercare di far conoscere la sua organizzazione, per avermi dato un po’ di speranza sulla bella gente che c’è in Italia e soprattutto al Sud. Il sito è www.consorziosociale.coop.
Sono le “piccole cose” che rendono grandi. Grazie.
Rosaria Pescara
Milena Agus o della semplicità

Un euro per il giovane che legge
(L’Unione Sarda – Sabato 16 febbraio 2008)
La giornata del malato
Sarebbe bene che ognuno di noi si fermasse un momento, lasciando da parte gli impegni quotidiani, a riflettere su come è la giornata di un malato.
Istintivamente penso ad una persona molto cara, un parente strettissimo al quale mi lega un grande affetto; penso ad un amico, conosciuto da poco ma che, nello stesso tempo, conosco già abbastanza, al quale sono riconoscente per come, indirettamente, mi ha portato a compiere alcune riflessioni e a rivedere certe convinzioni ormai acquisite da tempo. A lui, persona speciale, un grazie speciale.
Penso a tutti coloro che in questo momento sono presi dallo sconforto e dall’angoscia, dimentichi che in ognuno di noi vive anche la speranza di un cambiamento; penso ai bambini che, prima ancora di conoscere la vita, hanno conosciuto la sofferenza; penso, infine, agli anziani e a tutte quelle persone che, per motivi differenti, hanno perso quel dono prezioso che è la lucidità mentale, la possibilità di poter gestire coscientemente la propria vita.
A tutti loro va , questa sera, il mio pensiero, la mia condivisione e il desiderio di regalare ad ognuno, se solo ne avessi la possibilità, la certezza che niente è definitivo e tutto si può modificare anche quando sembra impossibile.
Eugenio Montale
Da Diario del ’71 e del ‘72
Le malattie della povertà
Per fortuna, ogni tanto, capita di venire a conoscenza di qualche avvenimento che, in qualche modo, ci porta a vedere le cose che ci circondano in maniera meno sconfortante.
E’ il caso del Centro nazionale per le malattie della povertà appena inaugurato a Roma.
“E’ appena stato inaugurato a Roma il primo Istituto italiano per la salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà (Inpm). In collaborazione con l’Oms, è la prima esperienza di questo tipo in Europa. Ha sede nell’ospedale San Gallicano dove, dal ’93, il professor Aldo Morrone si dedica alla salute dei più deboli. Lo assiste una squadra composta da sette medici e un centinaio di collaboratori volontari. Fra loro ci sono mediatori culturali, medici, psicologi, nutrizionisti che ogni anno curano e accolgono circa 10.000 persone. I pazienti sono persone vicine alla soglia di povertà, immigrati, nomadi, barboni, rifugiati, vittime di tortura, ma anche famiglie e anziani soli. Sarà Morrone a dirigere la nuova struttura che dovrà garantire, su tutto il territorio nazionale, la promozione della salute fra stranieri e italiani in difficoltà. In Italia l’11% delle famiglie vive in condizioni di povertà (in Europa circa 60 milioni di persone vivono con meno di due euro al giorno). Per affrontare le situazioni più critiche, l’Istituto ha il compito di creare una rete regionale in tutta Italia.
Puglia e Sicilia hanno aderito al progetto creando due poli decentrati ( a Tatarella di Cerignola e ad Agrigento). C’è anche un piano per emergenza e integrazione degli immigrati che sbarcano a Lampedusa.
Toscana, Emilia-Romagna e Veneto stanno già pensando a esperienze simili. -In questi anni di lavoro con i pazienti “invisibili” al San Gallicano abbiamo imparato a razionalizzare i costi, a evitare sprechi -, racconta Morrone, – anche utilizzando i farmaci generici. Tra i migranti molte malattie sono a volte collegate a una carenza di informazioni. Fra gli stranieri gli infortuni sono il 60% contro 40% ogni 1.000 lavoratori; crescono i casi di hiv-Aids, dal 3% negli anni ’80 al 20% del 2007. La Tbc è raddoppiata dal’99 al 2004 e il tasso di abortività fra le immigrate ha raggiunto in alcune regioni il 36% del totale.”
(Inpm- via San Gallicano 25/A- Roma tel.0658543780 www.inmp.it; e-mail: info@inmp.it )
Valeria Pini
(Da la Repubblica Salute 24 gennaio 2008)