Oggi è stata una giornata di riflessione e di amarezza perchè ciò che sta succedendo nel Tibet non può che intristire oltre che indignare. Ma c’è un altro fatto al quale non riesco a non pensare e che fa aumentare il mio dispiacere: trent’anni fa Aldo Moro veniva rapito dalle Brigate Rosse, che quel giorno uccisero gli uomini della sua scorta. Era il 16 marzo del 1978.
Ho rivisto oggi, ancora una volta, quelle fotografie terribili di tanti anni fa. E come allora, mi sembrano sconvolgenti. Ancora mi chiedo, guardandole, come possa aver vissuto Moro il periodo antecedente la sua morte, cosa possa aver provato dentro di sè, indipendentemente da ciò che è stato scritto.
L’angoscia di un uomo solo, che per quanto coraggioso e fermo nei principi nei quali credeva profondamente, era comunque un uomo, quindi con limiti e debolezze. La paura di dover rinunciare alla vita da un momento all’altro, le probabili costrizioni e i divieti, le minacce, la solitudine dei momenti più bui e più incerti, il ricordo della famiglia in pena per la sua sorte, e forse l’abbandono rassegnato in quel Dio in cui credeva fermamente.
Quante notti insonni nel rivivere il momento del sequestro e la morte dei cinque uomini della sua scorta! L’incertezza del non sapere quale sarebbe stata la sua sorte.
Non mi viene da pensare allo statista, all’onorevole Aldo Moro, questo è compito dei politici e sarà compito degli storici, mi viene da pensare all’uomo, al padre, al marito.
Questa mattina ho sentito l’intervista fatta alla figlia, che, da figlia, ha risposto al cronista che le chiedeva che cosa ricordasse di lui. Ricordava il padre quando, da piccola, la teneva per mano, le raccontava le storie, l’affiancava nel suo percorso di crescita. E non poteva essere diversamente.
Ecco, questa sera, io ricordo Aldo Moro, indipendentemente dalle idee, che si possono condividere oppure no, ne ricordo la morte con rammarico, perchè è intollerabile accettare, senza opporsi, qualsiasi tipo di ferocia, di ingiustizia, di mancanza di rispetto verso un altro uomo, che è un nostro simile!
Piera Maria Chessa