Archivio | Maggio 2008

Assenza

Sei appena partito

e il silenzio è diventato

signore della casa.

Non più valigie aperte,

solo un po’ di disordine

qua e là.

Il sole illumina la stanza

ma c’è penombra,

il peso di un’improvvisa solitudine.

Anche Argo vaga

cerca annusa indaga.

Si siede vicino, ci guardiamo,

lecca la mia mano.

Lo consolo con una carezza

ma non basta,

vuole un altro calore, un diverso odore.

Piera Maria Chessa
"Un ordinato groviglio" – il Filo – 2008

E’ stato pubblicato il nuovo libro di Fabrizio Centofanti dal titolo:
GUIDA PRATICA ALL’ETERNITA’ 
Effatà editrice
 
Io l’ho letto e riletto e riletto …. Perché? In realtà dovrei non rispondervi per farvi morire di curiosità  e invece vi dico perché l’ho letto più volte.
E’ un libro di racconti, storie di persone semplici, di vita quotidiana ma ogni volta che l’ho letto nuovi particolari si sono impressi nella mente.
Nei suoi racconti Fabrizio ci parla di buoni sentimenti, sentimenti veri e attraverso gli altri si racconta, mette in gioco il suo essere uomo e sacerdote e così la semplicità narrativa diventa scrittura attenta e ben articolata. La semplicità delle storie diventa profondità di sentimenti, quelli buoni, quelli veri che arrivano al cuore e di cui, credo, tutti abbiamo bisogno.
Il dolore degli altri si confonde con il proprio ed i ricordi. E la gioia? La gioia si concretizza nell’amore.
La riflessione allora diventa profonda e di fronte alla domanda, che l’autore si fa immaginandosi nell’ultimo istante della vita, c’è una sola risposta: la vita ha un senso se si concretizza nell’amore, ma non l’amore fine a sé stesso. Si ama e basta, senza pretese ne aspettative, perché l’amore si alimenta dall’amore e si concretizza nel dare e non nel ricevere.
 Commuove e dà speranza ….. cosa aggiungere? J Acquistatelo e mi ringrazierete, anzi ringrazierete lui per averlo scritto.
 
Questo è il mio modesto parere da semplice lettrice, la lettrice di Ted Krooser, per recensioni e commenti di altri autori e critici potete guardare qui:
 
Il libro può essere ordinato i tutte le maggiori librerie, qualora fosse già esaurito oltre che ordinarlo menzionando autore, titolo, editore indicate la società distribuzione che è la Dehoniane Libri.
Può inoltre essere ordinato online sui seguenti siti:
www.hoepli.it (non è in catalogo ma si può chiedere informazioni a info@hoepli.it)
www.lafeltrinelli.it (non è ancora in catalogo ma si può chiedere compilando il form "scrivici" in alto a dx)
 
Stella Maria Cofano


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Come foglie

Abbandonano i rami

le foglie secche del mio giardino.

Cadono leggere scricchiolando

sulla terra bagnata,

coprendo l’erba lucente di rugiada.

 

Le siepi brillano,

appena scosse dal muso tenero

del cane,

dal volo basso di un merlo

che riposa.

 

Gli anni si allontanano lenti

dalle nostre vite,

e giacciono a terra privi di linfa

già distanti da noi,

ad uno ad uno.

Piera Maria Chessa – "Un ordinato groviglio" –  Il Filo – 2008

Ancora sul… silenzio

Dedico questo breve scritto alla mia cara amica Eleonora, che a lungo, oggi, ha parlato con me del "silenzio".  

Silenzio. Quante cose ci legano a una parola in fondo breve.
Emozioni, stati d’animo, momenti o anche istanti della nostra vita.
A qualcuno, forse, questo termine fa paura perchè può sembrare un sinonimo di "solitudine", può suscitare sgomento talvolta, o apprensione, ma per fortuna non sempre è così.
Al contrario, il silenzio può unire perchè permette di interagire più delle parole, più dei suoni.
In silenzio, un amico ed io possiamo stare di fronte ad uno spettacolo della natura, ad un paesaggio, al sole che nasce o che muore, ad un cielo coperto da innumerevoli stelle, o ad un mare trasparente che rasserena nell’istante stesso in cui lo ammiriamo e lasciamo spazio allo stupore.
Quante parole non dette in quegli istanti magici ma condivisi tramite un gesto o uno sguardo!
E davanti al dolore, quanto silenzio carico di emozioni tenute a freno con fatica, quando la parola è inopportuna, incapace di adempiere al suo compito, quello di consolare!
Io amo il silenzio quando è il tramite ideale per ascoltarmi, per mettere ordine, per ritrovarmi.
Quante volte è ricco di significati nascosti ad un "ascolto" superficiale, in attesa di essere decifrato come un geroglifico antico; un silenzio che può nascondere l’angoscia, una richiesta di aiuto o semplicemente una difficoltà nel comunicare.
Allora davvero la parola riacquista tutta la sua nobiltà e diventa il ponte che unisce le due sponde di uno stesso fiume.
Ma il bisogno di silenzio, intorno a noi, diventa indispensabile quando le voci si sovrappongono con prepotenza per avere l’ultima parola e sentirsi dei vincitori, o quando imperano i monologhi, lunghi e vuoti, così lontani dal dialogo, così improduttivi e inutili. 
 

 

 

Dentro il silenzio

Troppo rumore intorno,

esigenza di lunghe pause

senza parole suoni o guaiti,

necessarie per ascoltare

e poi comprendere.
 

Fuori, la confusione della vita

che sfugge beffarda

alla stretta troppo larga

delle mie mani fragili,

incerte nella presa.

Scelta del silenzio,

dentro il quale ritrovarmi e scoprire

una ragione plausibile del nostro vivere.

Piera Maria Chessa
da "Un ordinato groviglio", Il Filo, 2008

Una poesia, una malattia.

 
 
Ieri pomeriggio, sono andata a Milis, piccolo centro non lontano dalla mia città, per visitare una mostra di pittura allestita nel bel Palazzo Boyl.
Ero in compagnia di una cara amica dai molteplici interessi; ama infatti dipingere, scrivere, viaggiare, collezionare e fare tante altre cose ancora.
Ed è stato proprio mentre si parlava delle sue passioni che L. ci ha raccontato che ora non potrà più dedicarsi ai suoi hobby perché quasi tutte le sue energie vengono e verranno assorbite dalle cure al marito, ammalato di quella malattia terribile che è l’Alzheimer.
Non ci sono molte parole da aggiungere. Mi viene solo da riflettere su questa coppia che, se non più giovane, è tuttavia estremamente giovanile, vitale, attivissima. Una coppia che ha apprezzato e goduto di ogni istante felice della vita, con atteggiamento positivo e con coraggio.
Anche oggi, mi sorprende e suscita in me ammirazione e stima la disposizione d’animo di L., decisa comunque, nonostante le difficoltà, ad accettare quotidianamente tutti i doni che ogni giorno può regalare, senza lasciarsi vincere dalla malinconia o dalla rassegnazione.
 
 
A lei, a suo marito, a tutti gli ammalati di Alzheimer, dedico questa straordinaria poesia, scritta da un uomo sensibile che svolge, oltretutto, la professione di medico.
A lui un grazie perché ci fa riflettere su un problema che sembra particolarmente diffuso in questo nostro tempo.
 
 
 
 
Alzheimer
 
 
Attimi in cui mi perdo
per ritrovarmi dopo
in barlumi di tragica coscienza.
Procede lento questo giro di vite
ma sento il vuoto espandersi
tra i piani della mente.
Vivo a tratti.
 
Già spoglie delle vesti, le parole
vengono in povertà,
per questo taccio, e mi nascondo
dietro ombre di pensieri,
e non voglio guardare, né capire.
Vivo silenzi.
 
E cerco nelle tasche voci
che si fanno lontane, mentre solo
cammino intorno a mutamenti
o volti ignoti.
 
Un brivido mi scuote, a ogni ritorno…
Mio Dio, ci sarà ancora la mia casa
in fondo al viale?

Un appello di Gino Strada:"Donate a noi il 5 per mille"

Oggi, giorno di interviste.
Prima, un articolo apparso ieri su la Repubblica nel quale viene intervistata Dacia Maraini, interessantissime le sue argomentazioni su un fatto gravissimo, ora, un’ intervista al generoso e attivissimo medico Gino Strada che, nonostante il suo cuore "un po’ bizzarro", continua, con un impegno certamente fuori dal comune, ad occuparsi della salute di tanti che non hanno volto,in Afghanistan e non solo

.Ecco l’articolo apparso oggi su la Repubblica con la firma di Anais Ginori.

Dalla "folle idea" di voler costruire un centro di cardio-chirurgia in Africa che fosse uguale a quelli che ci sono in Europa o negli Stati Uniti, Gino Strada è uscito forse stanco, sicuramente soddisfatto. A sentirlo parlare del Centro Salam di Khartoum, che in un anno ha già operato con successo quasi 500 pazienti, si capisce che dietro a uno dei volti simbolo dell’impegno umanitario e del pacifismo italiano c’è ancora e soprattutto un medico che crede  "nella medicina basata sui diritti umani".

L’Africa senza medici. Come arrestare questo esodo?

"La medicina è una cosa molto bella e affascinante se può essere esercitata con qualità. Lo è molto meno se non si hanno mezzi per la cura e la prevenzione. Sono convinto che se ci fossero centri di eccellenza dove praticare, non ci sarebbero così tanti medici che scappano dall’Africa".

Un ospedale all’avanguardia non è un controsenso dove manca tutto?

"E’ stata la nostra scommessa. Dimostrare che non ci sono pazienti di serie A e B. Che è possibile realizzare il meglio della medicina anche in Africa".

Ma la scarsità di fondi rimane un ostacolo.

Anche nell’ottica della raccolta fondi sono convinto che l’eccellenza sia la chiave. L’anno scorso Emergency ha avuto un aumento del 24% dei donatori con il 5 per mille. A noi ovviamente i soldi, anche le più piccole somme, servono moltissimo. Costruiamo ospedali  che curano pazienti tutti i giorni, non facciamo interventi mordi e fuggi".

Come valorizzare i medici locali?

"Intanto, bisogna crederci e volerlo. In tutte le nostre strutture l’obiettivo è lasciare prima o poi la gestione al personale locale. In molti centri di Emergency è già così. A Khartoum, partirà un corso quadriennale in cardiologia e altre specializzazioni. Ho fiducia che tra 10 anni troveremo in sala operatoria soltanto colleghi africani".

Anais Ginori – la Repubblica – 16 maggio 2008

Il terribile delitto di Niscemi

A Niscemi, piccolo centro siciliano, una ragazzina di 14 anni, Lorena Cultraro, è stata uccisa da tre ragazzi di 14,16 e 17 anni, minorenni dunque come lei e, come lei, studenti. Questa è l’intervista di Antonio Fraschilla a Dacia Maraini, siciliana per parte di madre e profonda conoscitrice della mentalità e della cultura dell’isola, su questa terribile storia, pubblicata ieri su la Repubblica.

 
"In Sicilia ci sono delle realtà rimaste ferme agli anni Cinquanta, purtroppo è questo quello che ho colto dalla terribile storia di Niscemi". La scrittrice bagherese Dacia Maraini è rimasta colpita dall’ultima tragedia siciliana e rilegge quanto accaduto per inquadrare il contesto nel quale è maturata. Gli abitanti del paese che quando Lorena è scomparsa hanno pensato alla classica “fuitina”, l’assassinio brutale eseguito con freddezza dai tre ragazzi, il fatto stesso che la giovane non ha detto nulla della sua gravidanza alla madre: per l’autrice di “La lunga vita di Marianna Ucria” sono tutte cose che “mettono in evidenza un’arretratezza culturale tipica degli anni del secondo dopoguerra”.

Cosa ha pensato leggendo i particolari di questa storia di violenza femminile nella sua Sicilia?

"Quanto avvenuto a Niscemi è un riflesso di una cultura molto arretrata, ancora diffusa a macchia di leopardo in varie aree della Sicilia. Una cultura fatta di violenza nei confronti delle giovani donne, che vede il maschio comunque prevalere. Una cultura che ancora è rimasta legata alla misoginia della Bibbia, che narra di un’Eva colpevole e un Adamo gabbato. Una misoginia ancora profonda, che identifica nel sesso debole il male”.

L’ha colpita sapere che in paese molti avevano pensato alla semplice “fuitina”, alla fuga per amore?

”Assolutamente no. In Sicilia ci sono ancora centri dove la “fuitina” è un fatto normale, quotidiano. In Italia molti si sono sorpresi quando Lara Cardella scrisse “Volevo i pantaloni”. Adesso gli stessi tornano a meravigliarsi per la terribile storia di Niscemi. Ma, ripeto, dobbiamo sempre tenere a mente che nonostante Internet L’arretratezza culturale in certe aree del Paese è ancora imperante”.

Forse Lorena era incinta e non ha detto nulla a nessuno. Ma perché oggi una giovane ancora non riesce a comunicare con i propri genitori?

”La confidenza nelle famiglie è una grande conquista democratica. E non sempre questo si realizza, specie se la giovane ha timore di essere semplicemente additata come colpevole e quindi condannata dal clan familiare. Un clan che lì è l’unico punto di riferimento”.

Antonio Fraschilla – La Repubblica – 15 maggio 2008 

Fratello

E ti guardo

seduto davanti al camino

in quella poltrona

che fu di tua madre,

il calore del fuoco

rilassa i tuoi occhi

che si aprono al sonno

e si chiudono piano.

 

Eri giovane ancora

e prendevi alla vita

i momenti felici,

poi improvviso il dolore,

la tua forza che cede

e l’angoscia che viene

a rubare

la gran voglia di fare.

 

Oggi tu, piano piano,

provi a mettere insieme

tutto ciò che rimane

per poter confortare

una vita incrinata.

La muta

Non posso resistere alla tentazione di riportare su questo blog un altro racconto della mia amica Eleonora Bernardi.
Un racconto breve, apparentemente lieve, in realtà molto "pensato" e profondo.
Nient’ altro da dire… solo da leggere…
***
 
 Era diventata autonoma da subito, appena nata: abile a guizzare tra le foglie, l’erba, a percorrere rapidamente il percorso accidentato dei sassi per sparire, di colpo, in una fessura…
Come tutte le lucertole, certo! Però si accorse di essere “diversa” all’epoca della prima muta.
Era primavera, l’occasione per stare al sole con le zampette distese e godere, finalmente, dei dolci raggi del sole.
Le altre lucertole, invece, con soddisfazione, si erano disfatte della pelle neonata per rinascere “nuove”, come i germogli dei prati al primo tepore.
Lei no, non voleva farlo, forse ne aveva paura.
-Sono nata così!- si diceva- Perché rinascere con una nuova pelle? La mia pelle è bella, liscia, screziata, del giusto colore… crescerà con me, tutto qui.
Le nuove lucertole però le davano il tormento ad ogni primavera:
-Devi cambiare pelle! Sei brutta, ridicola… contro natura!
Lei ci stava bene nella sua pelle, perché non la lasciavano in pace? Perché cambiare? Per mostrarsi nuova, cioè indifesa?
Come se le ricordava le fauci di quel gattaccio che per un pelo non l’aveva catturata… e l’ingannevole stupore dei ragazzini che poi la rincorrevano strillando!
Insomma si teneva la sua pelle, che invecchiava con lei, per verificare che ad ogni nuova stagione intorno era tutta una risata.
Era diventata una leggenda buffa: la lucertola senza muta!
Una volta, durante i lunghi mesi invernali, ebbe il tempo di osservarsi con calma.
Si vide come la vedevano gli altri: caparbia e fiera, ma screpolata, ferita, quasi a brandelli.
Cominciò a strapparsi, con cautela, piccoli duri lembi di pelle; ognuno recava un segno che le ricordava qualcosa: ecco la pietra aguzza che una volta l’aveva ferita,e poi quell’intrico di rami così simile ad una trappola… la corsa sotto il sole cocente, senza riparo…la zampata furiosa del gattaccio…
La sua vita era tutta lì, sulla sua pelle a brandelli.
Si accorse che doveva procedere con delicatezza, con pazienza, lentamente, solo così non avrebbe sentito troppo male… un brandello alla volta… un ricordo alla volta…
-Questo è il modo di rinascere, – si disse – liberarsi dei ricordi quando non ti servono più, perché sai chi sei e puoi disfartene!
Quando ebbe finito vide che la sua pelle era bella, lucida, elastica, nuova… proprio come si sentiva lei!
Al primo raggio di sole con un guizzo fu fuori.
Subito le dissero: – Sai, c’è una lucertola che non fa la muta… quest’anno però non s’è vista!
Eleonora Bernardi