Archivio | novembre 2008

Giovanni Nuscis

 

 

 

Alcune poesie di Giovanni Nuscis, poeta sensibile, uomo colto, dallo sguardo profondo, attento, equilibrato .
I testi qui pubblicati fanno parte della sua seconda raccolta, suddivisa in quattro sezioni, intitolata "In terza persona" , edita da Manni nel 2006.

 
 

 dalla   Prima sezione  

La guerra è qui

in questo mandarino che marcisce;

gli ospedali vuoti

e il male intorno che dilaga.

E basta pronunciarla, la parola

perché tremi la lingua:

noi, la tana in cui la bestia

entra, esce, resta

a testa bassa.

                      ***

S’attenuerà la luce ed il calore

esaurite le scorte, dato fondo

alle energie pulite o sporche.

Ma lo sguardo sarà vivo nell’ombra;

più vicini al nulla ci ritroveremo:

padre, che non sei giudice né lama

vedrai, ci adatteremo

a nuovi dinosauri, a carestie,

a guerre per le briciole rimaste.

La rinuncia, la più ambita conquista.

 

dalla   Quarta sezione

Candele, si spengono

le case. Il pescatore

libera i pesci piccoli,

dalla rete.

Restano vasi di gardenie

nei balconi a seccare.

Tra vuoti di silenzio,

ballano topi e refoli,

e gocciola la notte:

valico difficile

per minute formiche.

Gli specchi degli armadi

riflettono brevi corridoi,

e sempre più frequenti sconosciuti.

                  ***

Sole che muove inverni

gonfiando semi gelidi

quanti giri, quanti

           verso un nuovo già vecchio.

Un istante, appena, e siamo dove

più non è quello che prima era.

                   ***

Incroci le dita ogni giorno

un cambio di mano al secondo,

e mano dopo mano una distanza

inedita tra te e il mondo,

un calore inaspettato. O noia, delusione.

Sasso che tra i sassi ti scaldi, o raffreddi:

sempre li anticipi o li segui.

Hai l’unicità d’una canzone

di cui rimane oscura una parola

o sei la nota che ci stona dentro

che ci consola stridendo.

                ***

Conservo un filo d’erba

sulla lingua,

non lo vedrò piegarsi, e marcire.

Un filo che lega e ravviva

una città sbiancatasi alle spalle.

E’ il viatico degli anni

l’architettura che resta,

con la caduta dei mattoni

che il vuoto rende più leggera.

O, se si vuole, una fede banale,

come pantaloni che proteggono

dai graffi d’un sentiero frastagliato,

così fitto da richiudersi alle spalle,

dopo il passaggio, prima

che si crei un varco

davanti.

Giovanni Nuscis

 

L’onda studentesca

Un articolo di Paolo Hutter, pubblicato sul venerdì di Repubblica del 21 novembre 2008, mette in evidenza come sia possibile il dialogo tra culture diverse, se alla base c’è il rispetto del valore di ogni singolo individuo.

L’onda –  All’Istituto professionale Zerboni di Torino, i giovani contestatori sono guidati da un compagno di classe marocchino. Il vice? Albanese

E tra gli studenti spunta Hamza, il primo leader afro-italiano

Gli studenti dell’Istituto tecnico professionale Romolo Zerboni di Torino non pensano di aver fatto una scelta da pionieri. A loro sembra del tutto naturale che a guidarli nella lotta contro il decreto Gelmini siano un ragazzo marocchino e uno albanese.

Tanto naturale che ti presentano Hamza Nouim e Olti Hysenaj come “quelli con cui parlare” senza citarne la nazionalità: Questa dell’autunno 2008 è la prima ondata di movimenti studenteschi in cui la presenza di ragazzi e ragazze di origine extracomunitaria comincia ad essere visibile, e non più un’eccezione.

E la ancora scarsa – rispetto alla scuola dell’obbligo – percentuale di figli di immigrati extracomunitari tocca punte del venti per cento nelle prime e seconde classi di istituti professionali come lo Zerboni. Seicento iscritti al diurno di corso Grosseto, semiperiferia nord di Torino, corsi triennali e quinquennali, indirizzo meccanico, elettronico, abbigliamento.

Ma quella del diciottenne Hamza è una storia che va al di là della nuova presenza di giovani di etnia diversa: qui abbiamo degli italiani-italiani che si affidano a un ragazzo che sentono capace di rappresentarli, che sentono come uno di loro, anche se è marocchino come Hamza, con un residuo, (leggero) di accento magrebino, il suo Ramadan, la coerente astensione da alcolici e prosciutto, i sabato pomeriggio nella sede dei Giovani Musulmani. Cominciano a conoscerlo anche fuori dalla sua scuola: verso la fine del grande corteo che presidiava la stazione era lui al microfono: “Ragazzi, entriamo in modo civile, non rompiamo niente”. E ai pendolari che temevano il blocco dei treni spiegava: “Siamo qui per difendere i nostri diritti, siamo solo studenti che vogliono la scuola”.

Apparentemente la vicenda di Hamza alla testa degli studenti è nata all’improvviso. “ Ho sentito parlare di questa riforma Gelmini e con il mio amico albanese siamo andati a chiedere ai professori. Ci hanno spiegato dei tagli alla scuola. Nessuno ne sapeva niente tra noi studenti. Certo, io potrei fregarmene, sono al quinto anno. Ma ho subito pensato a tutti gli altri, e alle mie sorelline di 13 e di 6 anni…” racconta. “Abbiamo deciso di fare il giro della scuola, bussavamo nelle classi e chiedevamo ai professori il permesso di parlare per cinque minuti, preannunciando la proposta di scioperi e cortei”.

Senza concorrenza e senza precedenti, Hamza Mouim è diventato un punto di riferimento, formatosi in poche settimane, dell’ Onda studentesca. Luigi Caporale e Pasquale Trivisonne spiegano che c’è un retroterra di questa integrazione, coltivato da tempo allo Zerboni, dove da anni i docenti lavorano sulla questione. Per chi arriva con scarsa conoscenza dell’italiano ci sono attività integrative e supporto linguistico. Non classi differenziate – una proposta che ha indignato tutta la scuola – ma corsi oltre l’orario scolastico che oggi è di 36 ore (calerebbe a 32 con i tagli Gelmini).

Parlando con Hamza Nouim viene fuori anche il retroterra familiare e sociale del suo impegno. A casa del ragazzo, tolte le scarpe, conosciamo la sorellina e la cuginetta, che – entrambe con il velo – preparano il tè.

Il piccolo Obama dello Zerboni è nato a Casablanca nel marzo del ’90, è arrivato a Torino a otto anni, ha imparato l’italiano ma tenuto vivo l’arabo nella scuola domenicale di via Rovigo. Il padre, che ci raggiunge durante il tè, è Abdel Kader Nouim. E’ stato imam della Moschea della pace fino a pochi anni fa. Un Islam socievole che punta sull’integrazione e ha abituato il ragazzo al confronto di gruppo, al discorso pubblico. Persino a recitare in uno sketch al raduno di Rimini dei Giovani Musulmani.

Vuole essere tra quelli che dallo Zerboni andranno all’Università e i due fratelli maggiori metalmeccanici, che mantengono tutta la famiglia, vogliono aiutarlo. “La scuola pubblica è per noi l’unico modo per avere un futuro migliore ripete guardando le sorelline.

Suggerimento
 
 
 
Nel blog “rossiorizzonti”, di Milvia Comastri,sono stati pubblicati due interessantissimi testi sulla scrittura.
Il primo ha per titolo “Scrivere, non fare lo scrittore”, di Antonella Cilento, il titolo del secondo è “Etica dello scrivere”, di Ferdinando Camon.
Da conservare e rileggere spesso.
Grazie, Milvia.

Il fiume

II

Passeggiavo, quella notte d’estate,
con gli amici, a Firenze.
I nostri passi regalavano l’eco
alle acque scure del fiume
che danzavano lente
il loro ballo
riflettendo le luci della sera.

Parlavamo raccontando di noi,
del viaggio, della vita.
Poi un guizzo improvviso,
un cambiamento, un breve movimento.
Una nutria giocava nell’acqua.
Il tempo di vederla per qualche istante
prima che il fiume riprendesse
il suo abituale cammino.


P. M. Chessa – Un ordinato groviglio – il Filo – 2008

 Il fiume
 
I
 
Le acque dell’Arno scorrono lente
nelle notti di agosto,
si fermano i passi dei turisti
e le strade si svuotano di sguardi e voci.
 
 
Il fiume osserva
i pochi che restano a vegliare nel buio
e si affacciano piano sul letto
dove le acque riposano indifferenti
agli affanni di chi cammina fra i ponti
inseguendo il mattino.
 
 
P. M. Chessa – Un ordinato groviglio – il Filo –  2008

E’ sempre un piacere per me ospitare, in questo mio nido, la carissima amica Eleonora.
La sua fantasia è fertilissima, la sua profondità non è da meno.
Buona lettura.

L’omino della gru
 

Impossibile far finta di non vedere la grossa gru che sovrasta il nuovo complesso edilizio che sta sorgendo al centro del quartiere, al posto di uno spazio libero che per oltre trent’anni aveva liberato il respiro dei residenti.
I nuovi palazzi crescono con ritmo costante, ormai da più di un anno: un piano dietro l’altro fino alla fatidica bandierina dell’ultimo, a significare che la missione è compiuta per un po’, poi si riparte per nuove fondamenta…
La gru svetta, alta, possente, a volte minacciosa per gli enormi carichi che sposta come fuscelli sospesi nel cielo.
Nella cabina, bugigattolo trasparente, c’è un omino difficile da individuare che lavora da solo, separato dagli altri dall’altezza, eppure attentissimo alle richieste che gli vengono da terra, dal basso.
Lui sulle gru c’è stato da sempre, ogni volta, più piccola o più grande, la gru è diventata la sua casa di single, attrezzata dell’essenziale (ci vuole poco per vivere), quello che manca se lo procura nei tempi morti, nel silenzio del cantiere chiuso dal buio della sera.
Allora lui potrebbe tornare nella sua casa di padre, di marito, di figlio…ma non lo fa perchè il suo paese è lontano; si confonde tra quelli che rincasano in fretta e s’inerpica fino alla sua stanza con vista panoramica, da dove vede tutto, le luci del quartiere e quelle del mare, in ogni stagione.
Altro che televisione! Lui di giorno e di notte spazia con lo sguardo per ogni dove, vede gli omini che si agitano all’aperto gravati di piccoli e grandi pesi, quelli che si muovono al coperto finchè non si spengono le ultime luci che annunciano l’ora del riposo.
Controlla il flusso delle automobili che sfrecciano più veloci durante la notte, spesso il cuore gli balza in gola in attesa di un boato che gli appare inevitabile…ma poi non accade e capisce che lui non potrebbe far nulla in ogni caso.
Abbandona la sorveglianza e comincia a pensare.
Ripensa alla sua vita che lo ha portato così in alto, vicino al cielo, in una posizione privilegiata dove lui può guardare ai fatti stando a debita distanza, e riflettere con calma senza la paura di domande per le quali non ha risposte. Lui è solo, libero di ridere o piangere a suo piacimento…sembra poca cosa, ma si sente fortunato!
Quando dietro gli occhi gli si formano i volti di quelli che ama, e poi li vede sfumare nelle lacrime che gli annebbiano la vista, gli sorge un dubbio: che fortuna è la sua?
Ma dura poco, guarda il cielo e le stelle e a loro racconta i suoi sogni e le speranze che tiene nascosti in un fazzoletto che aprirà un giorno, come i gioielli che conserva la sua donna per l’avvenire dei figli, perchè non debbano trovarsi a fare una vita come la sua.
Una sera accade che il guardiano notturno gli consegna una lettera, si accorge subito che non viene da casa, e neppure dall’Impresa (non si sa mai…!), chiede, ma il vecchio non sa, non ricorda, forse una donna, forse un ragazzo…
E’ per Ivan, e Ivan è lui.
La legge nel suo alloggio sospeso.
"Gentile signor Ivan, le chiedo scusa se mi intrufolo nella sua vita, d’altronde senza saperlo lei è già entrato nella mia.
Io penso spesso a lei e sono combattuta tra la pena e l’invidia, mi addolora saperla lassù tutto solo… ma quando penso al silenzio, ai suoni attutiti che le arrivano, alla possibilità che lei ha di vedere ogni cosa da una prospettiva più ampia, con il dovuto distacco…beh, penso che sia proprio fortunato e anche coraggioso.
Quelli come me sulla sua gru non salirebbero mai. Avrebbero paura di non avere più il coraggio di scendere!
Ma lei è diverso, ha capito che il suo è un contratto a termine, nè più nè meno come tanti altri. Per questo continua a salire e scendere godendo ogni momento del suo lavoro. Le auguro di trascorrere una bella domenica (a proposito: che fa quando il cantiere è chiuso?) e la saluto con affetto".
Cerca una firma che non c’è.
Intanto stringe tra le mani quel filo giunto fino a lui e non sa che fare, poi decide che vuole tenerlo con sè e comincia ad arrotolarlo, come un gomitolo, ma sembra non avere fine…

Eleonora Bernardi

Suggerimento
 
 
Sul blog di Eleonora Bernardi,DiTutto…o quasi”, è stato riportato un articolo agghiacciante.
Leggendolo, mi sono sentita accapponare la pelle, eppure episodi di questo genere si sono ripetuti innumerevoli volte in Nigeria.
Andate a vedere: una storia sconvolgente che trova un terreno incredibilmente fertile nella povertà di questo paese.

visita DiTutto…o quasi

Ann, 106 anni, crede ancora nell’importanza del voto
 
 
Ann, di anni 106, è andata a votare per dare il suo contributo al primo presidente afro-americano. E Obama ha parlato di lei nel suo primo discorso dopo la vittoria.
Ecco l’articolo di Marco Contini, pubblicato su la Repubblica di venerdì 7 novembre.
 
 
Atlanta – Non capita a tutti di essere citati per nome e cognome dal presidente degli Stati Uniti, per giunta in quel momento solenne che è il discorso della vittoria, subito dopo la chiusura delle urne. Ma non capita a tutti neppure di essere messi al mondo da un ex schiavo del Tennessee, e 106 anni più tardi poter contribuire all’elezione di un afro-americano, il primo, alla Casa Bianca. Tutte queste cose sono successe a Ann Nixon Cooper, una gentile vecchina che vive ad Atlanta dagli anni 20, quando vi si trasferì col marito appena sposato.
Di solito, Ann va a dormire presto. Ma martedì sera non poteva proprio. Perché lei che essendo amica della madre aveva conosciuto Martin Luther King fin da quando era un ragazzino un po’ scavezzacollo, questa donna nera che – come ha ricordato Obama – “è nata quando né i neri né le donne avevano diritto al voto”, non poteva certo andare a letto senza sapere il risultato: ” Non ho tempo per morire – aveva detto alcuni mesi fa alla Cnn – prima devo vedere un presidente nero”. E poi, un “uccellino” l’aveva avvertita: nel momento del suo trionfo, il nuovo presidente avrebbe parlato anche di lei.
Quando Obama finisce di parlare, è mezzanotte passata. Ma Ann, che poco tempo fa si è fratturata un’anca ed è costretta a camminare appoggiandosi a un carrellino, non è ancora pronta a salire al secondo piano della sua casa, dove nonostante l’età e i dolori continua a mantenere la stanza da letto. Prima deve rispondere al telefono, che è letteralmente impazzito: amici, vicini, i suoi 14 nipoti, tutti vogliono congratularsi con lei per essere stata additata a simbolo della capacità dell’America di esistere e di progredire. Alle tre del mattino riesce finalmente a liberarsi.
Ma il mattino dopo si ricomincia, con la differenza che stavolta la gente passa a trovarla di persona. Come faceva spesso, prima di morire, Nat King Cole, uno dei grandissimi della musica jazz. E come fece un giorno di molti anni fa un giovane studente universitario che sognava di diventare regista: Spike Lee. Ad aprire le porte di casa, lei, ci è abituata. Moglie di un dentista di successo, ad Atlanta era una celebrità della nuova borghesia nera: aveva fondato un circolo per le ragazze di colore, e per molti anni è andata in chiesa, alla Ebenezer Baptist dove oggi è sepolto Martin Luther King, per insegnare agli adulti a leggere.
Oggi, Ann si gode il meritato riposo e la gioia per questo momento storico. “Ah se mio marito fosse ancora qui – sospira – Sarebbe entusiasta”. Ora che Obama l’ha citata nel suo discorso, si dice che possa essere invitata a Washington per il prossimo discorso sullo stato dell’Unione. “ Potrei anche andarci- dice lei – ma non è che ci tenga poi così tanto”. E se fosse Barack in persona a chiederglielo? – Oh sì, allora sì che ci andrei”. Dal nuovo presidente, che quando ne parla chiama “quel giovanotto”, Ann si aspetta moltissimo: “Le cose stanno cambiando, cambiando, cambiando. E’ stata la vittoria della speranza sulla paura. Dobbiamo esserne fieri”. E se lo dovesse incontrare, c’è qualcosa in particolare che gli vorrebbe dire? “No – risponde svestendo i panni della superstar – non ho nulla di speciale da dirgli. Mi piace ascoltarlo, tutto qui. Dopodiché sarei felice di conoscerlo, come chiunque”.

Barack Obama: l’America ha fatto la sua scelta
 
 
Dopo tanti mesi di incontri e scontri, di parole dette e non dette, talvolta, di colpi bassi, ecco che ora ci troviamo davanti ad un avvenimento eccezionale: l’elezione a Presidente degli Stati Uniti d’America di un uomo cosiddetto “di colore”.
Ieri non sono riuscita completamente a mettere a fuoco questa straordinaria novità, per questo motivo non ne ho scritto.
Eppure, da moltissimo tempo, dentro molti di noi c’era questa speranza, segreta, ma non più di tanto, più che altro, quasi il timore che, parlandone, qualcosa potesse vanificarla. Era troppo preziosa!
Da tanto, ormai, viviamo un periodo di decadenza, cerchiamo con ansia dei punti di riferimento, spesso non li troviamo, e quando questo avviene, quanta fatica!
Diverse volte, alcuni ragazzi mi hanno detto con amarezza:
– La vostra generazione è stata più fortunata della nostra, avevate degli ideali, mete da raggiungere, modelli, dei punti di riferimento. Noi non abbiamo niente di tutto questo! Siamo allo sbando!
E’ triste e preoccupante sentire dei giovani parlare così, vederli già profondamente disillusi.
Purtroppo noi viviamo in Italia e conosciamo molto bene la situazione, ma, ugualmente, c’è la speranza che questo vento nuovo e fresco si faccia sentire, sia pure in modo indiretto, anche da noi.
Io punto molto su questo giovanissimo Presidente, pur rimanendo ben ancorata alla realtà; non voglio illudermi su cose impossibili, ma voglio credere in ciò che sarà possibile col contributo delle menti più aperte che vediamo sulla scena politica mondiale.
 
P. M. Chessa
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"La libertà è come la poesia: non deve avere aggettivi, è libertà".
Enzo Biagi
 ( 9 agosto 1920  –  6 novembre 2007 )
 

Vengo da voi
 
Prime ore del pomeriggio,
c’è silenzio nei viali deserti.
Una luce chiara intorno,
il sole di aprile illumina
le lapidi di marmo.
 
Vengo da voi,
rinnovo i fiori e vi sto accanto.
Poi, il saluto:
un affettuoso arrivederci.
 
 
 
Quasi tutti gli anni, ai primi di novembre, lascio la mia città e mi reco in una piccola località abbastanza lontana.
E’ circondata dai monti, si affaccia su una bella valle e su un lago artificiale.
Nella parte più alta c’è un bosco, che viene chiamato “La pineta”, anche se in realtà non ci sono soltanto pini. C’è un bel sottobosco dove il sole filtra con difficoltà, ma, quando arriva, le felci, gli arbusti, le piccole piante abituate all’oscurità si illuminano e sembrano gioire per il dono inatteso.
Per andare al cimitero, invece, devo raggiungere la parte opposta e percorrere un breve tratto in discesa. In questi primi giorni del mese il cancello è, di solito, aperto.
Percorro i viali, mi soffermo, leggo alcuni nomi e alcune date, riconosco dei volti, altri mi sono sconosciuti. Volti anziani, giovani, di qualche bambino. Qualche volta un sorriso mi chiama, mi ricorda che un giorno ha incontrato la vita.
Cammino assorta, finché raggiungo la meta, poi mi fermo e libero le emozioni.
Ho con me dei fiori, dell’acqua, dispongo tutto con cura.
Intorno a me, donne, uomini, bambini, tutti a compiere gli stessi gesti, gli stessi riti.
Alcuni bambini fanno delle domande: incertezza, forse disagio sui volti di chi li accompagna. Domande difficili che richiedono risposte complesse, e talvolta non ci sono risposte.
Saluto i miei cari, dopo aver raccontato loro l’ultima difficoltà, cercato conforto e chiesto  l’ennesimo consiglio.
Il mio arrivederci, prima di ripartire, e una preghiera.
 
Piera M. Chessa