Archivio | gennaio 2009

La tregua

Mi hanno detto

che c’è tregua, da giorni, nella striscia di Gaza,

eppure nessuno si è accorto

che la vita ha ripreso il suo corso.

 

Non han visto monelli giocare per strada

né udito schiamazzi o risate,

non han visto giocattoli sulle porte di casa

o bambini rincorrersi, saltare, lottare.

Dove sono le voci, i saluti, le zuffe,

magari un pallone inseguito o lanciato?

 

Non cammina nessuno nelle vie silenziose,

solo polvere e sassi frantumati da giorni,

nelle case, lamenti e pianti smorzati

per un bimbo ferito o rubato alla vita,

per un padre o un fratello partiti

e poi non tornati.

 

C’è rabbia e dolore nelle case ora vuote,

eppure mi è sembrato di udire

che da giorni la tregua resiste

nelle strade violate di Gaza.

P. M. C.

 

Bonnanaro



Pioveva, era sera,

quasi notte ormai.

Apristi la finestra e dal giardino

il profumo delle arance penetrò nella stanza.

Quell’istante ci vide bambine

protenderci ancora verso i frutti maturi

disposti lì per essere colti.


Così ci parve.


La pioggia cadeva fitta

sui rami profumati, sulle foglie appena lavate.

Ci piacque toccarle, accarezzarle piano

quasi fragili vecchie,

lasciando che l’aria umida rinfrescasse

i nostri visi adulti,

da tempo assuefatti alla vita.



Piera M. ChessaUn ordinato groviglioIl Filo 2008

 

Suggerimento

Mercoledì, 14 gennaio 2009, sul blog “Transito senza catene” è stata pubblicata una lettera, intitolata, appunto, “Lettera a Renato Soru”, scritta ed inviata al Governatore della Regione Sardegna dal poeta e scrittore Giovanni Nuscis, curatore del blog.

La lettera è una lucida riflessione sulla situazione politica e sociale dell’isola, evidenzia la comprensibile preoccupazione dell’autore per i diversi problemi irrisolti, ed è inoltre una schietta ed analitica richiesta di soluzione degli stessi con proposte personali mirate.

Suggerisco vivamente la lettura di questa lettera.

http://www.giovanninuscis.splinder.com

Suggerimento

Sul blog "rossiorizzonti", di Milvia Comastri, martedì 13 gennaio 2009, è stato pubblicato un post assolutamente da leggere e su cui riflettere. Il titolo è "Gli aquiloni di Gaza" e si tratta dell’ultima straordinaria lettera di un "grande vecchio", Ettore Masina.

http://www.rossiorizzonti.splinder.com

Fabrizio de Andrè: un grande poeta 

 

Dieci anni fa, l’11 gennaio del 1999, moriva Fabrizio de Andrè.

Si potrebbero dire innumerevoli cose su di lui, riempire pagine e pagine, ma non si aggiungerebbe niente.

Chi lo ha amato ed apprezzato porta con sé un’ inguaribile nostalgia e il suo ricordo sempre nitidissimo, mai appannato dal tempo.

Nient’altro da dire, solo leggere e rileggere le sue poesie.



Leggenda di Natale


(Fabrizio de Andrè)



Parlavi alla luna giocavi coi fiori

avevi l’età che non porta dolori

e il vento era un mago, la rugiada una dea,

nel bosco incantato di ogni tua idea


nel bosco incantato di ogni tua idea.


E venne l’inverno che uccide il colore

e un babbo Natale che parlava d’amore

e d’oro e d’argento splendevano i doni

ma gli occhi eran freddi e non erano buoni


ma gli occhi eran freddi e non erano buoni.


Coprì le tue spalle d’argento e di lana

di perle e smeraldi intrecciò una collana

e mentre incantata lo stavi a guardare

dai piedi ai capelli ti volle baciare


dai piedi ai capelli ti volle baciare.


E adesso che gli altri ti chiamano dea

l’incanto è svanito da ogni tua idea

ma ancora alla luna vorresti narrare

la storia di un fiore appassito a Natale


la storia di un fiore appassito a Natale.




Il pescatore


(Fabrizio de Andrè)


All’ombra dell’ultimo sole

s’era assopito un pescatore

e aveva un solco lungo il viso

come una specie di sorriso.

Venne alla spiaggia un assassino

due occhi grandi da bambino

due occhi enormi di paura

eran gli specchi di un’avventura.


E chiese al vecchio dammi il pane

ho poco tempo e troppa fame

e chiese al vecchio dammi il vino

ho sete e sono un assassino.

Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno

non si guardò neppure intorno

ma versò il vino e spezzò il pane

per chi diceva ho sete e ho fame.


E fu il calore di un momento

poi via di nuovo verso il vento

davanti agli occhi ancora il sole

dietro alle spalle un pescatore.

Dietro alle spalle un pescatore

e la memoria è già dolore

è già il rimpianto di un aprile

giocato all’ombra di un cortile.


Vennero in sella due gendarmi

vennero in sella con le armi

chiesero al vecchio se lì vicino

fosse passato un assassino.

Ma all’ombra dell’ultimo sole

s’era assopito il pescatore

e aveva un solco lungo il viso

come una specie di sorriso

e aveva un solco lungo il viso

come una specie di sorriso.



Un malato di cuore


(Testo di F. de Andrè – G. Bentivoglio)


-Cominciai a sognare anch’io insieme a loro

poi l’anima d’improvviso prese il volo. –


Da ragazzo spiare i ragazzi giocare

al ritmo balordo del tuo cuore malato

e ti viene la voglia di uscire e provare

che cosa ti manca per correre al prato,

e ti tieni la voglia, e rimani a pensare

come diavolo fanno a riprendere fiato.

Da uomo avvertire il tempo sprecato

a farti narrare la vita dagli occhi

e mai poter bere alla coppa d’un fiato

ma a piccoli sorsi interrotti,

e mai poter bere alla coppa d’un fiato

ma a piccoli sorsi interrotti.


Eppure un sorriso io l’ho regalato

e ancora ritorna in ogni sua estate

quando io la guidai o fui forse guidato

a contarle i capelli con le mani sudate.

Non credo che chiesi promesse al suo sguardo,

non mi sembra che scelsi il silenzio o la voce,

quando il cuore stordì e ora no, non ricordo,

da quale orizzonte sfumasse la luce.


E fra lo spettacolo dolce dell’erba

fra lunghe carezze finite sul volto,

quelle sue cosce color madreperla

rimasero forse un fiore non colto.

Ma che la baciai questo sì lo ricordo

col cuore ormai sulle labbra,

ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo,

e il mio cuore le restò sulle labbra.


-E l’anima d’improvviso prese il volo

ma non mi sento di sognare con loro

no non mi riesce di sognare con loro.

Il nuovo libro di Rita Levi Montalcini

Il premio Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini, in collaborazione  con Giuseppina Tripodi, ha scritto un libro le cui protagoniste sono settanta donne che hanno dedicato, tra innumerevoli difficoltà, la loro vita e le loro energie alla Scienza.
Questa nuova fatica della Montalcini è l’omaggio di una grande donna a delle donne straordinarie, qualcuna di esse vissuta in periodi molto lontani. 
Ne parla la giornalista Elena Dusi sul venerdì di Repubblica del 2 gennaio 2009

 

Donne e scienza, storie di tabù e ingiustizie

Si dice che ogni grande uomo abbia una grande donna dietro di sé. Ma spesso nel campo della scienza le grandi  donne rispetto ai loro colleghi si trovano avanti. Li anticipano. Preparano la strada alle loro scoperte e agli onori che ne derivano. E se noi non ne sentiamo parlare, o delle loro fatiche ci giunge solo un’ eco lontana, non è certo perché il loro contributo sia stato meno importante.
Alle madri della conoscenza che “hanno contribuito allo sviluppo scientifico in misura pari all’uomo, pur svolgendo il ruolo di moglie e di madre”, dedica un libro una grande donna come Rita Levi Montalcini. Insieme a Giuseppina Tripodi, sua assistente da quarant’anni, il premio Nobel per la medicina ha appena finito di scrivere Le tue antenate. Donne pioniere nella società e nella scienza dall’antichità ai giorni nostri (Gallucci editore,13 euro, 151 pagine), un libro “consigliato dai 13 ai 99 anni”, […].
L’esempio di Lillian Moller Gilbreth, madre di dodici figli e prima donna ammessa nell’American Society of Mechanical Engineers (l’associazione americana degli ingegneri meccanici), nel 1926, è forse uno dei più appaganti per la storia della scienza e della tecnica.
Ma è sulle difficoltà incontrate e poi superate da settanta donne eccezionali che si concentra Rita Levi-Montalcini, lei stessa ostacolata da un padre che non credeva in una carriera così inusuale per una ragazza e che cercò di dissuaderla dall’iscriversi all’università.
Quando si parla di discriminazione, in fatto di scienza, il primo nome che balza fuori dai libri è quello di Rosalind Elsie Franklin, la donna che per prima “immortalò” la doppia elica del Dna fornendo un assist perfetto a Watson e Crick. I due uomini vinsero nel ’62 il premio Nobel proprio grazie alla “foto 51” realizzata con i raggi X dalla Franklin. Che nel frattempo, a soli 37 anni,era stata uccisa dalle radiazioni e da un cancro alle ovaie e non ricevette nemmeno una citazione durante la premiazione dei due colleghi a Stoccolma.
Che la storia della scienza avrebbe preso una piega poco favorevole alle donne, d’altronde, si era capito fin da subito. Da quella Ipazia vissuta nel quarto secolo, considerata la più famosa fra le scienziate dell’antichità e “uccisa ad Alessandria da monaci fanatici su ordine del vescovo Cirillo” come raccontano Levi Montalcini e Tripodi. “Le tolsero gli occhi quando ancora era viva e il suo corpo fu fatto a pezzi e bruciato”.
Una strada che molte scienziate hanno seguito per portare avanti la loro vocazione è quella del convento. Così ha fatto per esempio la badessa benedettina Ildegarda di Bingen, che già nel dodicesimo secolo si batteva per far accettare alla Chiesa il sistema eliocentrico, ma che, a differenza dei colleghi uomini che l’hanno seguita, rimase tanto inascoltata quanto impunita. Anche Virginia Galilei, figlia illegittima di Galileo e descritta dal padre come “donna di esquisito ingegno”, si rifugiò da clarissa nel monastero di Arcetri.
Una seconda strada per le donne appassionate di ricerca è stata quella di legarsi a uno scienziato uomo. Così è stato per Sophie Brahe, che a cavallo del Seicento lavorò accanto al fratello Tycho nel castello-osservatorio di Hyen. Salvo vedere pubblicato il trattato sulla Stella nuova che i due avevano scoperto insieme con la sola firma di lui. Più tardi, nel XIX secolo, Williamina Paton Fleming si adattò a una situazione veramente particolare, facendosi assumere come governante dal direttore dell’osservatorio astronomico di Harvard pur di continuare a studiare il cielo e arrivando a scoprire un nuovo tipo di stelle, le nane bianche.
Se fra i premi Nobel scientifici le donne sono soltanto il 4 per cento, la famiglia Curie rappresenta davvero uno strappo alla regola. Con il sudore, il lavoro sui campi di battaglia durante la Prima guerra mondiale, tante radiazioni e infine due leucemie fatali, sia Maria che la figlia Irene vinsero in tutto tre premi Nobel. E se due furono assegnati anche ai rispettivi mariti, l’ultimo, invece, Marie lo vinse da sola.

Elena Dusi

il venerdì di Repubblica del 2 gennaio 2009

Bambini

 
 
Senti le urla dei bambini di Gaza,
il loro pianto lontano?
E’ notte, e i boati interrompono,
nel buio più scuro, i loro sogni agitati,
poi chiamano forte qualcuno
che possa lenire il dolore.
 
Sono forse diversi i bimbi di Gaza
dai bambini israeliani?
La stessa richiesta di aiuto,
la mancanza di madri e di padri,
 il medesimo lutto.
 
Il rumore spaventa i bambini da sempre,
ma l’arma li uccide,
quelle armi che han visto ormai troppe volte
 tra le mani dei padri,
quegli stessi bambini che presto,
tra un anno o fra due,
terranno anche loro abbracciate sul cuore,
per tenere lontana la paura e il dolore.
 
Non c’è pace per i bimbi israeliani,
non c’è tregua su Gaza,
nelle case sventrate, non si dorme da tanto,
si piange e si muore soltanto.
 
P.M.C.

 

Don Mario: semplicemente un sacerdote


Dedico questi versi a don Mario, un sacerdote che non ho mai conosciuto ma che, attraverso le parole dei suoi numerosissimi amici, ho imparato ad apprezzare e stimare per la sua generosità, per la straordinaria bontà soprattutto verso i più fragili, per il coraggio non comune con il quale ha affrontato momenti difficilissimi. A lui, anche il mio grazie.


In un giorno di festa



Sei partito così, in un giorno di festa,

senza rumore, come si addice ai grandi.

Eppure non sembrava

che il tempo fosse giunto,

il momento difficile era ormai superato.


Ma era solo una tregua di qualche giorno ancora,

il tempo, troppo breve, per salutar gli amici.

Ad uno ad uno, li hai voluti accanto,

hai persino scherzato con qualcuno

informandoti pure della loro salute.


Poi il tempo deciso si è infine esaurito,

una botta improvvisa ha concluso una vita.

A noi resta il ricordo del tuo essere grande,

il tuo dare continuo al fratello

che al momento passava al tuo fianco.


A me resta il rimpianto di non averti incrociato,

di non aver mai sentito il tuo sereno parlare,

eppure mi trovo a narrare di te,

raccontando soltanto quel poco che so.


D’improvviso io scopro

che hai appena sfiorato

le corde più giuste del mio cuore affamato.


P. M. C.