Archivio | febbraio 2009

 

San Gavino

Vi andavo da bambina tra quei sassi

e poi guardavo giù, nella vallata.

L’aria era pura, fresca e mi avvolgeva

donandomi dei brividi leggeri.


Vi era silenzio, in alto, tra le rocce,

un senso di distanza dalle cose,

l’appartenenza a un mondo un po’ speciale

racchiuso, forse nascosto tra i dirupi.


Talvolta mi fermavo, silenziosa,

davanti al Monumento dei Caduti,

non c’erano parole da liberare,

solo pensieri muti dentro il cuore.


Non ero adulta e quei silenzi spesso

mi incutevano un poco di paura,

ed io avvertivo nella mente acerba

il dolore, l’angoscia del morire.


Leggevo infine quei nomi di ragazzi

uccisi e derubati di una vita

violata ed interrotta da un conflitto

che nessuno di loro ha mai capito.


P.M.C.

 

Le elezioni del nuovo Governatore in Sardegna



Domenica e lunedì, qui in Sardegna, si è votato per l’elezione del nuovo Governatore.

Non è andata bene, non è andata come molti di noi speravano. Ha vinto il candidato del centro-destra, ha vinto chi non avrei mai voluto che vincesse.

Io non lo conosco, ma conosco bene chi sta dietro le quinte, chi ha sostenuto e incanalato la sua “ascesa”.

Sono molto delusa e soprattutto estremamente irritata.

Ma non col nuovo Presidente, sono irritata nei confronti dei miei conterranei, di quel 50% e oltre di sardi che hanno votato per il centro-destra.

Molti diranno: “Ma in un regime democratico le cose vanno così, bisogna rispettare le scelte di tutti!”

Certamente, è più che giusto, ma solo quando le scelte vengono fatte dopo che ci si è documentati, dopo aver approfondito e riflettuto, dopo aver conseguito almeno una discreta conoscenza dei fatti.

Quando si vota, si dovrebbe essere consapevoli, sapere esattamente per chi stiamo votando e perché lo stiamo votando.

Non è uno scherzo governare una regione, in modo particolare quando si tratta di regioni complesse e problematiche come la Sardegna. Non si può improvvisare né andare per tentativi, ci vuole un progetto serio, anche a lungo termine, bisogna conoscerne bene i problemi e le difficoltà, i nodi mai risolti.

Bisogna anche amarla, volerne una crescita graduale ma continua, e soprattutto essere “disinteressati” ai “propri” interessi.

Nei giorni precedenti le votazioni, parlando, scambiando pareri, mi sono resa conto di quanti, tra noi, vadano al voto completamente disinformati, con una conoscenza generica, superficiale dei candidati e, in modo particolare, dei loro programmi.

Quando smetteremo di “ragionare” con la testa degli altri? Quando finiremo di fare nostri i pensieri e le opinioni altrui?

Abbiamo la capacità e la possibilità di riflettere sui fatti e anche sui comportamenti dei singoli, perché non usare gli “strumenti” a nostra disposizione?

Soltanto allora la “mia” Sardegna crescerà.

Solo allora la “mia”, la “nostra” Italia comincerà a guardare con lucidità agli avvenimenti politici e con maggior fiducia ad un futuro basato su valori autentici.


P.M.C.

Una poesia della mia carissima amica Eleonora. E’ con piacere e grande affetto che la riporto in questa mia piccola casa virtuale. 

Mio

Mia la casa che mi accoglie
Mio il balcone con le mie piante
Mia la strada del mio indirizzo

Mio il cielo che scruto la sera
Mie le speranze che cullo nel cuore
Mio il corpo che a volte mi duole

Mia la mamma perduta anzitempo
Mio il papà divenuto mio figlio
Mio il ricordo che preme nel cuore

Mio il nome al quale rispondo
Mio lo sguardo che vedo allo specchio
Mio il dolore che fa tanto male

Mia la Luce che traspare lontana
Mia l’ombra che mi avvolge
Mia la solitudine fedele compagna

E seguito a dire: "mio"…
Sapendo che nulla mi appartiene
Sapendo che tutto può svanire.

Eleonora Bernardi

(shiva-ditutto.blogspot.com)

 

Una donna, una bambina


E’ poi giunto il momento e tu sei andata

tra clamori, bisticci e discussioni,

neanche un istante di un silenzio atteso,

desiderato e muto.

Solo rumore nell’aria, nelle orecchie,

 dentro il cuore,

solo parole vuote, nessun senso,

per chi amava volare incontro al sole.


Che dire, donna, della tua vita breve,

dell’altrettanto breve tua serenità,

la tua bellezza ed il sorriso schietto

non ti hanno preservato dal dolore.

Ho visto foto, foto e ancora foto,

esposte ovunque a lacerare il cuore,

perché diverse e ora troppo lontane

da te, bambina, che da anni dormi ormai.


Vorrei soltanto che chi tanto ha detto

della tua vita o della tua partenza

pensasse un poco a un padre troppo stanco,

ad una madre ammalata da tempo,

e dedicasse loro un istante in silenzio

per capire meglio che cos’è il dolore,

per riflettere a lungo

sulle scelte difficili di un cuore.


P.M.C.

 

Uno sguardo indietro


dal libro Infanzia e giovinezza"

di  Albert Schweitzer 


Se rivolgo lo sguardo alla mia gioventù, mi ricordo commosso del grande numero di persone che meritano la mia gratitudine, per tutto ciò che mi diedero e rappresentarono ai miei occhi, ma mi rendo purtroppo anche conto di aver dimostrato loro ben poco la mia riconoscenza. Quanti sono morti, senza che abbia espresso quello che vollero dire per me la bontà e l’attenzione di cui mi colmarono! Spesso ho pronunciato sottovoce sulle loro tombe le parole che avrei dovuto dire mentre erano ancora in vita.

Ciononostante credo di aver il diritto di affermare di non essere mai stato ingrato, perché ben presto abbandonai quella spensieratezza infantile, di considerare naturale il bene e le cure che si ricevono dagli altri uomini. Credo di averci pensato prestissimo, così come al dolore del mondo. Fino all’età di vent’anni e anche oltre, ho tuttavia espresso troppo raramente la riconoscenza che sentivo. Non riuscivo a capire che valore avesse, per un uomo, provare veramente che gli altri gli serbano conoscenza. Spesso il mio atteggiamento era anche dovuto a timidezza.

Per esperienza personale, non ritengo che vi sia tanta ingratitudine nel mondo, come normalmente si afferma.[…].

Un altro fatto della mia giovinezza mi commuove ancora: molte persone mi hanno dato qualcosa o hanno influenzato la mia formazione senza saperlo, anche quelle cui non avevo mai rivolto la parola o delle quali avevo soltanto sentito parlare: tutte hanno esercitato su di me un influsso ben determinato, sono entrate nella mia vita e sono diventate forze dentro di me. Molte cose che io non avrei sentito così chiaramente o non avrei fatto con tanta decisione, le ho sentite o eseguite perché mi trovavo come soggiogato da quegli esseri. Mi sembra che noi tutti viviamo spiritualmente di ciò che alcuni uomini ci hanno dato in attimi importanti della nostra esistenza, attimi che non si fanno annunciare, ma giungono improvvisi e non sono solenni, ma quasi inavvertibili. Talvolta ne avvertiamo l’importanza soltanto nel ricordo, così come ci accade per la bellezza della musica o di un paesaggio. Non di rado dobbiamo ad altri parte del nostro bagaglio di dolcezza, bontà, capacità di perdono, amore per la verità, fedeltà e rassegnazione al dolore, e abbiamo visto in loro queste doti in questa o in quella circostanza. Un pensiero, diventato vita, è entrato in noi come una scintilla, illuminandoci.



Albert Schweitzer nacque a Kaysersberg (Alsazia Superiore) il 14 gennaio del 1875, morì a Lambaréné (Gabon, Africa) il 4 settembre del 1965. Aveva novant’anni.

Fu medico, filantropo, filosofo, teologo e musicista.

Nel 1945, Albert Einstein disse alla radio americana che in Africa viveva “uno dei più grandi uomini dei tempi moderni, se non il più grande”.

Schweitzer conobbe la notorietà molto tardi, aveva infatti 75 anni. Nel 1952, il suo impegno verso i più deboli, portato avanti per tutta la vita, gli valse il Premio Nobel per la pace.

 

Dedico questo testo alla cara amica Milvia Comastri, curatrice attenta e sensibile del blog " rossiorizzonti", che poco tempo fa, leggendola, mi ha permesso di capire quanto la nostra memoria sia fragile, soprattutto in riferimento ad avvenimenti estremamente drammatici.

(rossiorizzonti.splinder.com)

Silenzio su di loro



Non tace la voce del Tibet,

né quella dei monaci birmani,

ma è calato il silenzio su di loro,

o peggio ancora, la nostra indifferenza.


Passano come ombre nei giardini e nei viali,

invisibili e lievi;

segnati dai soprusi e dalle lotte,

oggi non giunge più a noi la loro voce.


Giacciono a terra i templi, sbiancano i loro colori,

distrutti e poi sepolti dall’odio e dal dolore.

Muore il popolo birmano, anche il Tibet muore.

P.M.C.

 

Assenza


Sei appena partito

e il silenzio è diventato

il signore della casa.

Non più valigie aperte,

solo un po’ di disordine

qua e là.

Il sole illumina la stanza,

ma c’è penombra,

il peso di un’improvvisa solitudine.


Anche Argo vaga,

cerca, annusa e indaga.

Si siede vicino, ci guardiamo,

lecca la mia mano.

Lo consolo con una carezza,

ma non basta,

vuole un altro calore, un diverso odore.

Condividiamo il medesimo umore.


P.M.C.