Archivio | aprile 2009

Il mio pensiero, il dispiacere, l’affetto va ai tanti che non ci sono più, e a coloro che sono rimasti ma che troppo hanno perso. A  tutti loro questo scritto, anche se è ben poca cosa.

Tre anni


Hai tre anni, bambina, così è stato detto

ed è l’unica cosa che sappiamo di te.

Ti han trovato, dormivi nel tuo piccolo letto,

la polvere intorno copriva la stanza.


Ti hanno preso con mano fin troppo leggera

per paura di farti ancora del male,

un gesto affettuoso, poi il grande rimpianto

nel capire che il sonno era troppo profondo.


Disegni e giocattoli accanto al tuo corpo

in quel letto che credevi così caldo e sicuro,

tuo padre e tua madre non pensavano certo

che l’inferno fosse così tanto vicino.


Qualcuno ti ha avvolto e poi ti ha portato

là dove nessuno avrebbe voluto,

anche i tuoi genitori ormai son partiti

e nessuno più dorme ancora al tuo fianco.


Rimane per te il gesto gentile

di un uomo che ha visto il tuo corpo minuto,

i neri capelli coperti di calce,

gli occhi ormai persi dentro un vuoto infinito.

P.M.C.

Un compleanno speciale

Oggi, nel TG delle 14,00, ho seguito un breve ma interessante servizio, protagonista Rita Levi Montalcini che, tra due giorni, compirà cent’anni.

Il Presidente Napolitano, un po’ emozionato, parlando di lei ha espresso grande stima e ammirazione.

Guardavo questa piccola donna dotata di straordinaria autorevolezza, indossava un abito nero, come spesso è capitato in altre circostanze, in netto contrasto con i suoi capelli di un bianco incredibile, un’acconciatura perfetta nella sua immobilità, non un piccolo ciuffo fuori posto, da tanti anni sempre uguale.

Ha preso la parola, ha ringraziato. Oggi la sua voce mi è sembrata meno ferma, forse a causa dell’emozione. L’ho vista più fragile, più vicina.

Ma le sue parole, come sempre, avevano una forza straordinaria nella loro semplicità!

Si conosce la sua laicità, e il percepire tanta serenità in una persona di quell’età, la mancanza di paure, l’accettazione del dopo, il suo proiettarsi verso il futuro a dispetto degli anni, la sua fiducia nelle possibilità della scienza, e dunque dell’uomo, mi sconcerta e mi lascia senza parole.

Per questo, non solo come ricercatrice, continua infatti a lavorare sebbene veda pochissimo, ma come donna, così equilibrata e positiva, provo nei suoi confronti grande stima e un’affettuosa tenerezza verso la sua fragilità di persona avanti negli anni.

Voglio infine riportare il senso di alcune sue frasi pronunciate oggi:

“Non importa ciò che avviene con la nostra morte, e non sappiamo quando questa avverrà, quel che ha valore sono i messaggi che lasciamo a chi viene dopo di noi”.

Credo che queste poche frasi, così semplici e sagge, non abbiano bisogno di nient’altro.

P.M.C.

 

Alcune poesie di un giovane poeta sardo, Alessandro Melis.

Si possono dire diverse cose leggendo un testo, ma si sa, la lettura è qualcosa di molto personale, come lo scrivere, e in ogni pagina che leggiamo , in ogni verso, troviamo, o forse cerchiamo, un qualcosa che appartiene solo a ciascuno di noi e che magari oggettivamente non c’è.

Per questo motivo faccio silenzio e invito alla lettura i cari amici che vorranno venire a trovarmi.


Ore 19.48


Scatta la serratura del ritorno

nel gesto circolare del riaprire

la porta, nel girare

lentamente la chiave.


Perché ci sono punti

più densi sulla linea

del tempo, dove il filo

si intrica in un nodo di memoria

e il conto può ricominciare:

una parola è chiusa,

e un’altra deve aprirsi.


E come quando sfioro l’ombelico

col dito, e mi ricordo

il legame interrotto, il nodo sciolto,


ogni ritorno lascia un’amarezza

oscura e zuccherina, come un fico

schiacciato sull’asfalto.




Ore 19.55


Sullo specchio c’è un grano

di polvere sul bavero, e un frammento

di vento nei capelli:


mentre appendo

la giacca alla colonna

di legno, verticale nell’ingresso

come un’acquasantiera,

si fa nuda

umida e rossa la memoria

di indefinite forme prenatali.


Spogliarsi

è un rito del trascorrere,

un suono di pagina

che gira, costruzione

paziente

di abbandono.




Ore 23.13


Senti? Respira immobile la casa:

senti la polvere posarsi

e riposarsi, senti il legno

che si tende e dilata.

Senti nel silenzio questo antico

capitolo di oggetti

che discute, impercettibile,

la verità del buio.




Ore 23.47


E non arriva l’ora

di mettersi a dormire:

c’è sempre qualcos’altro

da dire, qualche rigo

ancora da trovare, e masticare

nella luce minuta della notte.

E’ sempre un poco oltre, la parola

esatta che potrebbe

chiudere il sipario.


Zuppo di sonno, immerso nelle pieghe

bianche e schiumose del silenzio,

cammino ancora e inseguo

e cerco sempre oggetti che non trovo:

perdo gli occhiali, in sogno

perdo le cose, perdo

le voci che mi stanno accanto.


Talvolta al mattino le intravedo

fuggire ancora via dal comodino,

via dalle pieghe bianche del lenzuolo.




Ore 7.59


E poi a tratti penetra la luce

dagli spiragli,

le falle della casa:

cede all’assalto la difesa

e nell’inondazione

ritornano le cose, a proiettare

le dense ombre.


Tutto ritorna a fuoco

nell’incendio mattutino.




0re 9.03


Coi gomiti poggiati al davanzale,

osservo passare i volti muti

e i raggi degli ombrelli, sgocciolanti

sulla pietra nera della strada.


Poi

poche gocce

di caffè già freddo

in fondo alla tazzina

mi impongono uno sguardo

inatteso, verticale.


Tolgo gli occhiali:

le nubi sono sempre fuori fuoco.




Ore 9.31


Eppure ogni confine è solo un’ombra,

morbida sfumatura

tracciata al lume tenue della luna;

ogni linea s’attenua, come il solco

di un dito

sopra la terra bruna.


Mi pettino, mi guardo nello specchio,

vesto ancora la giacca:


anche vestirsi è un rito

del trascorrere, un suono

di pagina che gira:


costruzione paziente di abbandono.


Alessandro Melis – dalla raccolta inedita beth”.

(www.ilteatrodisisifo.splinder.com)

 

Qualche riflessione


Sono trascorsi diversi giorni da quando il terremoto ha ferito a morte L’aquila e la sua provincia, ho seguito quotidianamente questa terribile sciagura, mi sono emozionata e ho sofferto, eppure non sono riuscita a scrivere neppure una parola fino ad oggi.

Si rimane annichiliti davanti alle catastrofi, ci si sente “finalmente” piccoli di fronte alla forza e al “potere” della Natura. In questi momenti percepiamo tutti i nostri limiti, la nostra inadeguatezza.

Comprendiamo molte cose, ma vediamo anche tante cose che non vorremmo vedere.

La parte migliore della nostra Italia mostra tutta la sua generosità, la condivisione, la partecipazione ad un dramma che oggi ha colpito l’Abruzzo, ieri il Belice, L’Irpinia, il Friuli, da domani, speriamo, più nessuna regione, ma la parte meno nobile di questa nostra complessa nazione ha mostrato ben altro, e ancora ne porterà alla luce.

Giustamente, in questa prima fase del dopo terremoto, si deve pensare agli aiuti, ci si deve organizzare, prestare soccorso, dare un letto e un riparo, non è il momento delle polemiche, delle accuse, ma in un secondo tempo sarà lecito esprimere le proprie opinioni, sarà lecito voler capire, sarà lecito chiedere spiegazioni e fare degli approfondimenti.

Certamente non si riprenderanno la vita i tantissimi che non ci sono più, non si attenuerà il dolore di chi oggi conosce un lutto terribile, non verranno restituite le case e le cose più care, tutto ciò che riempie le nostre vite, che ci rassicura, perché sono punti di riferimento, quelli che a tutti noi sembrano certezze, e che, come abbiamo visto, non lo sono.

Quanto tempo dovrà trascorrere prima che ogni persona colpita dal terremoto possa ricominciare a vivere in modo accettabile, non dico dimenticando, chi mai potrebbe, ma guardando comunque verso un futuro, per quanto difficile?

Che cosa si cercherà di fare concretamente, superata la prima fase, per aiutare effettivamente chi ha bisogno di tutto? Molti di noi vorrebbero vedere un bel sogno realizzarsi, ma quanti, in questa Italia di rancori, di divisioni, di abusi di ogni genere, sarebbero disposti a contribuire disinteressatamente alla realizzazione dei sogni più belli, quelli costruiti sul benessere non del singolo ma della collettività?

P.M.C.

 

Una favoletta semiseria



I fiori ascoltano



Un cucciolo corre sui prati

e guarda tra i fili d’erba

imprigionando gli occhi nel verde,

dimentico della magia del sole.


Cerca colori nascosti ed il suo sguardo fruga

tra campanule e dolci ciclamini.

Gioca con le api e le farfalle

che narrano ai fiori, teneri amici,

la loro breve vita.


Il vento danza e abbraccia le margherite

raccontando fantastiche storie

vissute in paesi lontani.


I fiori ascoltano curiosi e allungano gli steli

nell’ udire le garbate bugie del vecchio saggio

che riporta le favole tristi o liete

del bizzarro mondo degli umani.


P.M.C.