Alcune poesie di un giovane poeta sardo, Alessandro Melis.
Si possono dire diverse cose leggendo un testo, ma si sa, la lettura è qualcosa di molto personale, come lo scrivere, e in ogni pagina che leggiamo , in ogni verso, troviamo, o forse cerchiamo, un qualcosa che appartiene solo a ciascuno di noi e che magari oggettivamente non c’è.
Per questo motivo faccio silenzio e invito alla lettura i cari amici che vorranno venire a trovarmi.
Ore 19.48
Scatta la serratura del ritorno
nel gesto circolare del riaprire
la porta, nel girare
lentamente la chiave.
Perché ci sono punti
più densi sulla linea
del tempo, dove il filo
si intrica in un nodo di memoria
e il conto può ricominciare:
una parola è chiusa,
e un’altra deve aprirsi.
E come quando sfioro l’ombelico
col dito, e mi ricordo
il legame interrotto, il nodo sciolto,
ogni ritorno lascia un’amarezza
oscura e zuccherina, come un fico
schiacciato sull’asfalto.
Ore 19.55
Sullo specchio c’è un grano
di polvere sul bavero, e un frammento
di vento nei capelli:
mentre appendo
la giacca alla colonna
di legno, verticale nell’ingresso
come un’acquasantiera,
si fa nuda
umida e rossa la memoria
di indefinite forme prenatali.
Spogliarsi
è un rito del trascorrere,
un suono di pagina
che gira, costruzione
paziente
di abbandono.
Ore 23.13
Senti? Respira immobile la casa:
senti la polvere posarsi
e riposarsi, senti il legno
che si tende e dilata.
Senti nel silenzio questo antico
capitolo di oggetti
che discute, impercettibile,
la verità del buio.
Ore 23.47
E non arriva l’ora
di mettersi a dormire:
c’è sempre qualcos’altro
da dire, qualche rigo
ancora da trovare, e masticare
nella luce minuta della notte.
E’ sempre un poco oltre, la parola
esatta che potrebbe
chiudere il sipario.
Zuppo di sonno, immerso nelle pieghe
bianche e schiumose del silenzio,
cammino ancora e inseguo
e cerco sempre oggetti che non trovo:
perdo gli occhiali, in sogno
perdo le cose, perdo
le voci che mi stanno accanto.
Talvolta al mattino le intravedo
fuggire ancora via dal comodino,
via dalle pieghe bianche del lenzuolo.
Ore 7.59
E poi a tratti penetra la luce
dagli spiragli,
le falle della casa:
cede all’assalto la difesa
e nell’inondazione
ritornano le cose, a proiettare
le dense ombre.
Tutto ritorna a fuoco
nell’incendio mattutino.
0re 9.03
Coi gomiti poggiati al davanzale,
osservo passare i volti muti
e i raggi degli ombrelli, sgocciolanti
sulla pietra nera della strada.
Poi
poche gocce
di caffè già freddo
in fondo alla tazzina
mi impongono uno sguardo
inatteso, verticale.
Tolgo gli occhiali:
le nubi sono sempre fuori fuoco.
Ore 9.31
Eppure ogni confine è solo un’ombra,
morbida sfumatura
tracciata al lume tenue della luna;
ogni linea s’attenua, come il solco
di un dito
sopra la terra bruna.
Mi pettino, mi guardo nello specchio,
vesto ancora la giacca:
anche vestirsi è un rito
del trascorrere, un suono
di pagina che gira:
costruzione paziente di abbandono.
Alessandro Melis – dalla raccolta inedita “beth”.
(www.ilteatrodisisifo.splinder.com)