Archivio | gennaio 2010

Dal "Diario"
di Etty Hillesum

15 marzo [1941]
le nove e mezzo di mattina

Se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero.

* * *

Sabato 14 giugno,
le sette di sera.

Di nuovo arresti, terrore, campi di concentramento, sequestri di padri, sorelle e fratelli. Ci si interroga sul senso della vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso: ma per questo bisogna vedersela esclusivamente con se stessi, e con Dio. Forse ogni vita ha il proprio senso, forse ci vuole una vita intera per riuscire a trovarlo.
Tutto sembra così minaccioso e sinistro, e ci si sente così impotenti.

* * *

Sabato mattina, le dodici.

Non siamo nient’altro che botti vuote, in cui si sciacqua la storia del mondo.

* * *

Di sera, le nove.

Ci è stato proibito di passeggiare sul Wandelweg. Ogni misero gruppetto di due o tre alberi è dichiarato bosco e allora sulle piante è inchiodato un cartello con la scritta «vietato agli ebrei». Questi cartelli diventano sempre più numerosi, dappertutto.

* * *

18 maggio 1942

Io mi innalzo intorno la preghiera come un muro oscuro che offra riparo. Mi ritiro nella preghiera come nella cella di un convento, ne esco fuori più «raccolta», concentrata e forte.
La concentrazione costruisce alti muri fra cui ritrovo me stessa e la mia unità, lontana da tutte le distrazioni.
E potrei immaginarmi un tempo in cui starò inginocchiata per giorni e giorni – sin quando non sentirò di avere intorno questi muri, che mi impediranno di sfasciarmi, perdermi e rovinarmi.

* * *

Sabato sera, mezzanotte e mezzo.

Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia e colui che è umiliato e soprattutto che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Restano solo disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose.
Si deve insegnarlo agli ebrei.

Stamattina pedalavo lungo Stadionkade e mi godevo l’ampio cielo ai margini della città, respiravo la fresca aria non razionata.
Dappertutto c’erano cartelli che ci vietano le strade per la campagna.
Ma sopra quell’unico pezzo di strada che ci rimane c’è pur sempre il cielo, tutto quanto.
Non possono farci niente, non possono veramente farci niente. Possono renderci la vita un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori col nostro sentici perseguitati, umiliati e oppressi, col nostro odio e con la millanteria che maschera la paura.
Certo che ogni tanto si può essere tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così.
E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli.
Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave.
Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso. È l’unica soluzione possibile.
Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra.

* * *

Un po’ più tardi

In me non c’è un poeta, in me c’è un pezzetto di Dio che potrebbe farsi poesia.
In un campo deve pur esserci un poeta, che da poeta viva anche quella vita e la sappia cantare.

Di notte, mentre ero coricata nella mia cuccetta, circondata da donne e ragazze che russavano piano, o sognavano ad alta voce, o piangevano silenziosamente, o si giravano e rigiravano – donne e ragazze che dicevano così spesso durante il giorno: «non vogliamo pensare», «non vogliamo sentire, altrimenti diventiamo pazze» -, a volte provavo un’infinita tenerezza, me ne stavo sveglia e lasciavo che mi passassero davanti gli avvenimenti, le fin troppe impressioni di un giorno fin troppo lungo e pensavo: «Su, lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca»

Il bel dono di un'amica

 

 

Oggi non era una bella mattina, qui da me, alcune cose non sono andate come avrei voluto e il cielo appariva malinconico e piagnucoloso.
Insomma, uno di quei giorni che sembra non regalino niente. 
Va be’, succede, si dice che in questi casi "bisogna prenderla con filosofia".  Ho cercato di farlo, sarà per questo che sono stata premiata?
Perché, in realtà, ogni giorno, io credo ci regali qualche cosa. A volte sono doni piccoli ma graditissimi, altre volte sono regali così belli che puoi gioirne a lungo.
Ecco, sono arrivata al punto.
Nel pomeriggio, ho acceso il mio portatile, sono andata a "trovare" la mia cara amica Cristina e "ho trovato" il suo bellissimo dono.
Quale? Che cosa?
Per scoprirlo bisogna andare in una casa deliziosa dove Cristina abita, ma dove abitano anche Gentilezza e Ospitalità.
Eccola.

 
 

(www.cristinabove.splinder.com/)

(foto da web)

 
 

Haiti

 
E vide la luce
in quel giorno di sole
poi si guardò intorno spaesato,
rovine e polvere a coprire la terra,
uomini in corsa, donne piegate.

Dopo giorni trascorsi nel buio
coperto soltanto da detriti e paura,
gli sembrò di sognare afferrando una mano
che teneva ben salde le sue dita ora incerte.

La luce colpiva con forza il suo viso
di bimbo cresciuto, diventato ormai grande, 
cercò i visi noti di suo padre e sua madre,
trovò sguardi buoni di gente mai vista.

La pelle è diversa da quella dei suoi,
diversa la lingua, diverso il dolore,
forse è uguale il calore, la grandezza del cuore.

(foto da web)
 

Oltre le parole

  
 
Sono trascorsi parecchi giorni ormai da quando un terremoto micidiale ha devastato Haiti.
Ne abbiamo parlato tanto noi cittadini e, ancora di più, i media. Le immagini di questa incredibile tragedia umana hanno attraversato con prepotenza le nostre comode case ma anche le nostre menti e, ci si augura, soprattutto i nostri cuori.
In questi giorni, come spesso succede davanti a fatti che lasciano attoniti, non sono riuscita a scrivere; leggevo i giornali, ascoltavo, riflettevo, senza riuscire a formulare un pensiero per iscritto. Ogni parola, ogni manifestazione di condivisione, di solidarietà che avvertivo intorno ma anche dentro di me, sembrava così poco davanti a una realtà che schiaccia, che annulla ogni volontà.
E se queste sono le nostre sensazioni, mi chiedo con angoscia e orrore che cosa nasce e cresce, giorno dopo giorno, nelle menti e nei cuori della popolazione di Haiti, che cosa attraversa la mente di genitori che sopravvivono ai figli, di bambini e ragazzi che non hanno più punti di riferimento, di anziani che si guardano attorno con occhi svagati, lacerati nel corpo e nei sentimenti.
E come se tutto ciò non bastasse, alle sofferenze, alla fame, alla sete, alla mancanza di un riparo sicuro, si sono aggiunte le violenze e i saccheggi, le lotte e i soprusi tra poveri che sentono di non avere ormai più nulla da perdere.
Vorrei sapere, vorremmo sapere più chiaramente in che modo organico e concreto i nostri paesi occidentali stiano predisponendo gli aiuti.
Sarebbe consolante e di incoraggiamento se una volta si badasse unicamente tutti insieme a risolvere, a cercare di alleggerire le angosce di un paese tra i più poveri della Terra.
Bisogna fare in fretta, dimenticare la retorica e andare al sodo, unire le forze, che ci sono, se si vuole davvero cooperare.
Per una volta, insomma, con-dividere veramente, fare concretamente un passo avanti sostanziale, che vada ben oltre le parole.      

(Foto da web)

 
 

Etty Hillesum

 
 
 

Dalle
 "Lettere"
1942 – 1943

Adelphi Edizioni

Nata nel 1914 a Middelburg da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, Etty Hillesum morì ad Auschwitz nel novembre del 1943. Il suo Diario (Adelphi, 1985), fortunosamente scampato allo sterminio della famiglia ( ad Auschwitz persero la vita anche i genitori e il fratello Mischa) e poi passato di mano in mano, apparve finalmente nel 1981 presso l’editore De Haan, riscuotendo un  immenso successo, paragonabile a quello che accolse il Diario di Anna Frank. Le Lettere sono state pubblicate in una prima edizione parziale in Olanda nel 1982.

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Martedì pomeriggio, le due

Anche oggi il mio cuore è morto più volte, ma ogni volta ha ripreso a vivere. Io dico addio di minuto in minuto e mi libero da ogni esteriorità. Recido le funi che mi tengono ancora legata, imbarco tutto quel che mi serve per intraprendere il viaggio. Ora sono seduta sulla sponda di un canale silenzioso, le gambe penzolanti dal muro di pietra, e mi chiedo se il mio cuore non diventerà così sfinito e consunto da non poter più volare liberamente come un uccello.*

*Nota non datata, scritta probabilmente a Amsterdam nel luglio del 1942.

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A Osias Kormann

28 settembre[1942]
Amsterdam, lunedì sera

Come si dev’essere rallegrata la mia macchina da scrivere trascurata da tanto tempo, perché ha potuto di nuovo battere qualcosa di bello!
   Pensare  che da qualche parte in Olanda esiste una brughiera con un piccolo villaggio di baracche di legno, dove vive un uomo chiamato Osias Kormann che ha occhi buoni dietro le lenti degli occhiali, e che scrive:
   “Sei davvero una persona creativa, hai saputo creare della vita intorno a me” – quanto mi ha toccata!
Sono grata al mio stomaco, che tu “conosci a memoria”, per avermi trattenuta qui alcune settimane, sarò una persona più calma e consapevole al mio ritorno. Se è vero che le deportazioni sono state sospese, e che quindi saremo in tanti a passare l’inverno laggiù, ci toccherà un grande compito morale, non credi? Condivideremo onestamente il freddo e il buio e la minestra di piselli e il filo spinato, e poi sapremo anche sopportare insieme ogni cosa. Ma “sopportare” è un’arte che dev’essere imparata, gli olandesi non ne sono ancora tanto capaci.
   E poi c’è l’animosità tra ebrei tedeschi e olandesi, a cui ci si deve opporre in ogni modo. Accadranno molte cose strane e immagino che ogni tanto avremo delle belle storie da raccontarci. Credo che diventerà una situazione molto difficile, eppure vorrei esserci. Sai, io ho tanto amore in me stessa, per tedeschi e olandesi, per ebrei e non-ebrei, per tutta l’umanità, dovrebbe pur essere lecito cederne una parte. 
   […].
Quando dal mondo saranno spariti i fili spinati verrai a vedere la mia camera, è così bella e tranquilla. Io trascorro delle mezze nottate alla mia scrivania, a leggere e a scrivere vicino alla mia piccola lampada. Ho qui circa 1500 pagine di diario dell’anno scorso e ora me le rileggo. Che ricca vita mi viene incontro da ogni pagina! E pensare che è stata la mia vita! E che lo è tuttora. In fondo, tu non sai ancora molto di me, né io di te. “Fatti”, voglio dire. Ma non sono i fatti che contano nella vita, conta solo ciò che grazie ai fatti si diventa. Quindi sappiamo pur qualcosetta l’uno dell’altro, vero?
   Che aggiungere? Non molto. Sono le nove di sera. Forse questa volta andrò davvero a dormire presto, ogni tanto è necessario ma faccio sempre una fatica terribile a staccarmi da questa scrivania. Ho saputo che i miei libri sono da te, mi fa piacere.
   […].
Tanto per non raccontarti solo della mia scrivania: ogni giorno passo due ore dal dentista, nei miei denti bucati scompare ciò che resta del capitale familiare e così ritornerò ben restaurata da voi, non “solo” nello spirito.
   Per ora basta, mio caro, e alla prossima volta, per lettera o a voce. Salutami soprattutto Rosenberg a cui mi capita di pensare spesso.
   E tanti auguri!
Etty

Oh sì, volevo ancora chiederti questo: quando e dove hai perso quel pezzetto del tuo povero indice destro? E ti ha fatto tanto male?

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A Osias Kormann

[Amsterdam] 4 novembre 1942
                                                                                                   Mercoledì pomeriggio   


Kormann, mio Kormann, qui abbiamo già un tempo così piovoso e freddo, chissà come state voi, con il poco cibo e le scarse coperte. Oggi il mio cuore è così, così triste pensando a voi. Ma chissà, forse voi non c’entrate affatto, e sono piuttosto io a essere un po’ depressa e impaziente perché la tiro tanto per le lunghe. E allora come stai, mio caro? Hai già traslocato e hai avuto molte seccature per questo?

Durante una delle nostre passeggiate attorno al campo giallo di lupini abbiamo parlato di desideri e del loro adempimento. Te ne ricordi ancora? In una lettera del mio poeta Rainer Maria Rilke c’è un passo splendido su questo tema.
Forse il tuo collega Haussmann ribadirebbe amaramente: ”Non è tempo di poeti e di filosofi”. Io non so se abbia ragione, in ogni caso ti trascrivo quelle poche frasi, forse ti faranno piacere in un momento di calma (se mai ti succede di averne):
   “ Mi accade sovente di domandarmi se esista un vero rapporto fra adempimento e desideri. Certo, fintanto che il desiderio è debole, esso è simile a una metà che per diventare autonoma ha bisogno del proprio adempimento come di un’altra metà. Ma i desideri possono germinare in modo così meraviglioso da diventare un tutto, pieno e intero, che non si lascia più completare e ormai si accresce, si forma e si riempie solo dall’interno. A volte si potrebbe credere che alla radice di una vita grande e intensa ci sia proprio stato un coinvolgimento in desideri eccessivi che come una molla interiore hanno riversato nella vita azione su azione, effetto su effetto; e quasi non rammentando il proprio fine originario, diventati ormai elementari come un’impetuosa cascata, si sono trasformati in azione e cordialità, in presenza e immediatezza, in lieto coraggio, a seconda degli eventi e delle circostanze che li avevano provocati”.

Questo è quanto, per oggi. Salutami per favore il Dr. Petzal per cui provo tanta simpatia.
   Rivedo spesso il suo viso, segretamente malinconico sotto una maschera ironica. Non credo che avrà la vita facile nella sua casupola sovraffollata.
   Ahimè, forse la vita non sarà facile per nessuno di voi…
   Vorrei tanto ritornare presto per sapere come ve la cavate.
   Io credo che dalla vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente non si sfugge alle circostanze peggiori. Spesso penso che dovremmo caricarci il nostro zaino sulle spalle e salire su un treno di deportati.
   La prossima volta altra musica. Arrivederci, mio caro.
                                 
Etty


A Maria Tuinzing

                            [Westerbork, metà giugno 1943]


Marietke, scriverai presto a Etty come stai? Sei allegra, sei triste, corri di qua e di là, stai tranquillamente a casa?E che dice Ernst, che dice Amsterdam, e papà Han che fa, e Kathe va a letto presto? Io cammino nel fango tra le baracche di legno, e allo stesso tempo cammino per i corridoi di quella che da sei anni è la mia casa; ora sono seduta a un tavolino disordinato in un piccolo ambiente rumoroso, ma sono anche seduta alla mia cara, disordinata scrivania. Molte persone mi dicono: ”Non vogliamo ricordare niente della vita di prima, altrimenti non saremmo in grado di vivere qui”. Mentre io posso vivere così bene qui proprio perché ricordo perfettamente ogni cosa di “prima” (per me non è neppure un “prima”), e intanto la mia vita continua.

                                                                                                            Di pomeriggio

La mia anima è in pace, Maria, oggi mi sono state assegnate quattro baracche di malati, una grande e tre piccole; lì devo controllare se qualcuno ha bisogno che gli siano spediti viveri o bagagli da fuori. La cosa più bella è che ora ho libero accesso a quasi tutto il complesso dell’ospedale, e a quasi tutte le ore del giorno.

Più tardi

Prendi queste poche parole come vengono, mia piccola Maria, qui non si riesce a scriver molto, le lettere che ti mando nei miei pensieri sono ben più lunghe di questa.
   Io sto bene e sono contenta, in fondo vivo qui proprio come a Amsterdam, a volte non mi accorgo neppure di essere in un campo – è ben strano che io sia così. E voi tutti mi siete tanto vicini che non mi mancate neppure. Jopie è un caro compagno. Di sera assistiamo al tramonto del sole, che si tuffa nei lupini violetti dietro al filo spinato. E probabilmente ritornerò ancora con la prossima licenza. Scrivi presto. Ciao!

 
Etty

 
Etty Hillesum

(foto da web)

 
 

Dopo il Natale


Che ne sarà di voi pini ed abeti
lasciati lì 
nell’angolo nascosto
di un cortile?

Spogli di addobbi, nastri e luci
sembrate vecchi tristi
a me che vi compiango.

Qualcuno, forse, vivrà ancora
se avrà fortuna,
se troverà una terra buona
che l’accoglierà.

E tutti gli altri,
 
inutili ormai
ad un Natale divenuto Passato?

Ogni anno io vi penso,
ogni anno più delusa
nel vedervi abbandonati così
da cuori indifferenti.
 
 P.M.C.

(foto da web)