Qualche giorno fa sono venuta a sapere, proprio per caso, della scomparsa di Cesarina Vighy.
E’ successo il primo giorno di maggio e mi è dispiaciuto molto perché ho avuto modo di apprezzare questa scrittrice, questa donna coraggiosa.
Ho letto, tempo fa, dietro consiglio e dono della mia amica Eleonora, il suo primo libro, “L’ultima estate”. L’ho conosciuta così ed in qualche modo, in quel momento, è entrata a far parte della mia vita.
In questo libro racconta con ironia e intelligenza la sua esistenza sconvolta dalla sla, dimostrando grande coraggio e un’assoluta sincerità, altri due punti fondamentali della sua scrittura.
Cesarina scriveva da tanto ma solo intorno ai settant’anni ha deciso che era giunto il momento di lasciarsi conoscere anche dagli altri, di mettere a nudo la sua anima schietta e priva di pregiudizi.
Il giorno prima della morte ha visto la luce il suo secondo libro, “Scendo. Buon proseguimento”, con una interessante introduzione di Vito Mancuso.
Proprio in quei giorni aveva rilasciato anche un’intervista, tramite e-mail, a Leonetta Bentivoglio, che è stata pubblicata su la Repubblica di lunedì 3 maggio 2010.
Il libro, una raccolta di lettere spedite sempre via e-mail alle persone più care e in particolare alla figlia Alice, permette a noi che leggiamo di percorrere insieme a Cesarina ancora un tratto, l’ultimo, della sua vita.
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Un brano tratto dal libro “L’ultima estate”.
Inimicizie
Quando si diventa grandi e poi vecchi e poi addirittura malati, si tende un po’ a confondere fatti e fatterelli dell’infanzia e adolescenza, visti da lontano alonati da una luce dorata, incartati come caramelle colorate.
Io no. So che quella è l’età più crudele, quando i graffi si incidono come ferite perché la pelle, morbida e dolce, è più sensibile. Da alcune persone, poi, quei banali scontri, quelle spontanee antipatie sono vissuti come imperdonabili offese. Così è stato per me.
E’ facile ricordare con dolcezza un uomo tenero, affettuoso, giusto dalla parte dei giusti, per di più con l’alone del perseguitato politico che, proprio adesso che mi ero abituata ad aspettare dietro la porta al suo rientro per avviticchiarmici addosso, deve stare lontano da casa per lunghi periodi.
Chi sta sempre con me è mia madre, spessissimo stesa sul letto, pezzuola bagnata sulla fronte, imposte accostate, in silenzio, per la quotidiana, epica emicrania. Nessuno viene a trovarci, né un grande con cui parlare né un piccolo con cui giocare. Unica trasgressione star seduta per terra ma su una coperta, per i microbi.
[…].
Comunissima inimicizia, quella tra madre e figlia, e reciproca, fatta di ammirazione, di antipatia, di invidia, di fiducia, di sospetto: un legame troppo stretto, come un cordone ombelicale che ti può anche strozzare.
Certe immagini rimangono in te, vivissime.
Vado a togliermi le adenoidi che mi fanno stare a bocca aperta, dandomi l’aria di una scema. Sono d’accordo e provo un misto di paura e di orgoglio all’idea di affrontare una vera operazione. Idea che velocemente diventa una realtà. Ho cinque anni e un cappottino grigio a puntini rossi, ritagliato da un paltò di mia madre secondo l’ultima moda di guerra. Me lo tolgono e mi issano su una strana poltrona che gira; guardo dalla finestra il Canal Grande che oggi è azzurro e sento i ferri tintinnare e avvicinarsi quando, senza tante storie, mi tappano bocca e naso con la mascherina all’etere. Mi sveglio dopo due minuti e le adenoidi già non sono più mie, stanno in un piattino di metallo, bene in vista: le daranno ai gatti? “Soffia, soffia forte!”, mi ordina il dottore dandomi un fazzoletto bianco, immenso. Tanto sangue, poi un po’ meno, ancora meno, quasi niente. Mi rimettono il paltoncino e mi avvio, con le mie gambe, verso la porta. Mi sento piena di fierezza per quella prova affrontata e vinta senza lagnarmi, senza piangere e mi aspetto un commento ammirato, una parola di lode. Invece mia madre, attrice che vive la parte, sceglie proprio quel momento di gloria mia per svenire. Tutti attorno a rialzarla, a stenderla su un lettino, a darle schiaffetti che sembrano carezze, profumi che sanno di puzza. Per un giorno in cui ero protagonista, mi ha rubato la parte. Nessuno si occupa più di me, mi hanno dimenticata sulla porta, a guardare quella stupida scena che non dimenticherò per tutta la vita.
(Cesarina Vighy – L’ultima estate – Fazi Editore)