(foto da web)
C’è stato un incontro, tre giorni fa, al Centro Servizi Culturali di Oristano , un incontro molto particolare.Erano le nove, un dopocena come tanti. Seduti nel Giardino del Centro, abbiamo atteso un po’ ma neanche tanto. E’ arrivato infine.
Parlo di Francesco Abate, l’autore del libro “Chiedo scusa”.
L’avevo visto alla televisione, nel programma “Le invasioni barbariche”, l’avevo ascoltato con attenzione e mi ero commossa.
Ma è una cosa diversa incontrare una persona dal vivo, guardarla negli occhi, seguirne la gestualità, lasciarsi catturare dalla sua voce vivendo con lui un’esperienza che non può lasciare indifferenti.
Ma è una cosa diversa incontrare una persona dal vivo, guardarla negli occhi, seguirne la gestualità, lasciarsi catturare dalla sua voce vivendo con lui un’esperienza che non può lasciare indifferenti.
Francesco Abate, accompagnato dal musicista Matteo Sau e dall’attore Giacomo Casti, ha raccontato la sua storia di uomo che ha dovuto affrontare un trapianto di fegato, e subito dopo, per cercare di sopravvivere, sottoporsi ad altri due interventi difficilissimi, di cui uno eseguito senza anestesia, non potendone lui sopportare tre di seguito.
La chitarra e il canto di Matteo Sau si alternavano alle letture di Giacomo Casti, intense e coinvolgenti, e soprattutto al racconto dell’autore, equilibrato e coraggioso nel proporci il lungo e doloroso percorso di Valter, il protagonista del suo libro, la sua stessa storia di uomo, grazie alle sue capacità di scrittore oltre che alla sua forza.
Un racconto forte a tratti, commovente, ma non privo in parecchi passi di leggerezza, capace persino di far ridere.
Un racconto con un finale positivo, per fortuna, un finale che ci ha permesso di incontrare un uomo che ha sofferto moltissimo ma che ha saputo conservare intatta la forza per lottare e l’entusiasmo per vivere.
Un uomo che può dire con la sua esperienza e la sua testimonianza: “Ci sono, sono qui a raccontare a voi che mi ascoltate una lunga storia finita bene.”.
Grazie dunque a Francesco Abate, che merita tutta la nostra stima.
Ecco un brano tratto dal suo libro, un dialogo coinvolgente e speciale.
– Chi sei? – Quando ho riaperto gli occhi la stanza era scura, illuminata appena da una luce celeste in arrivo dal gabbiotto degli infermieri. A sinistra la collina era scomparsa nella notte.- Chi sei?
La tenda era sparita. Al suo posto, una voce.
– Dici a me?
– A chi, se no? – quasi rideva. – Sono Valter.
– E tu?
– E tu?
– Muovi il braccio.
– Non posso, è bloccato.
– Anche il sinistro?
– Anche il sinistro?
– No, il sinistro no, – non me ne ero accorto.
– L’hai mosso?
– Sì.
– E’ giorno o notte, Valter?
Sono rimasto perplesso. – Be’, è notte direi…
– Ah! E’ per quello che non ti vedo.
– Sì, è per quello… Anche io non ti vedo, – non capivo.
– Ma io non ti vedrei neppure di giorno.
– Lo so, è colpa dell’anestesia, anche io per giorni…
– Vedo solo ombre. Colpa del diabete.
Sono rimasto in silenzio, sempre più intontito, ho iniziato a sentirmi affaticato.
– Io ho fatto rene e pancreas. E tu, Valter?
– Fegato.
– Hai sonno?
– Sono molto stanco.
– Anche io, Valter, ci sentiamo domani, – si è messa a ridere per poi non fiatare più.
Poco dopo mi sono addormentato.
Quando mi sono risvegliato la collina era ricomparsa.
Nel letto di fronte c’era una ragazza dai capelli biondini e arruffati. Il lenzuolo le lambiva gli occhi.
– Ci sei? – le ho detto.
– Certo che ci sono, dove vuoi che vada? – mi ha risposto con una voce divertita e squillante. – Muovi il braccio, Valter. – Ho ubbidito.
– Oh! Finalmente ti vedo. Sei una bella ombra. Quanti anni hai Valter?
– Quasi quarantadue.
– Sembri un’ombra più giovane, – ha scostato il lenzuolo dal volto.
Ho intravisto un viso minuto, bianco.
Ho intravisto un viso minuto, bianco.
– Io ne ho diciannove. Ne farò venti il mese prossimo se esco da qui.
Mi sono sentito di nuovo stanchissimo.
– Hai anche una bella voce, Valter. Che lavoro fai?
– Sono giornalista, scrivo per un quotidiano. Ma forse mi puoi aver visto qualche volta on televisione.
La ragazzina ha ridacchiato ancora, sembrava l’abbaiare di un piccolo cane felice al rientro del padrone. – Valter, non ti posso mai aver visto. Sono cieca, anzi no, ipovedente. Insomma, non ci vedo nulla, da dieci anni solo ombre. Te l’ho detto, colpa del diabete.
– Scusa… – e avrei voluto pronunciare il suo nome.
– Scusa…scusami, scusami tantissimo.
E mentre chiedevo scusa mi sono sentito ancora più fiacco.
– Non ti preoccupare, Valter, – ha emesso gli ultimi versi da animaletto domestico.
Mi sono sentito caldo. Molto caldo. E ancora più stanco. – Non conosco il tuo nome.
Ma non ho avuto risposta mentre le braccia si facevano pesanti e la testa ronzava.
– Come ti chiami?
Nessuna risposta. E quando stavo per addormentarmi ho sentito la sua voce che diceva: – Non è bello affezionarsi alla gente in terapia intensiva, sai Valter?
E’ stato il secondo giorno in intensiva che la temperatura è salita e l’ospite che mi ero portato dalla Rianimazione ha iniziato a corrodermi. E’ stato quando Chiara ha sentito le mie labbra roventi che è scattato nuovamente l’allarme.
(Francesco Abate e Saverio Mastrofranco, Chiedo scusa, Einaudi)