Archivio | Maggio 2013

La colazione

C’è la tavola apparecchiata

davanti a me:

la colazione è pronta.

 

La mia tazzina

di caffè fumante

attende.

 

Al mio fianco

la tua assenza.

 

Nessuna voglia

di mangiare,

lo stomaco si chiude.

 

Dovrò farlo, lo so,

ma non adesso.

 

Questi istanti,

nell’attesa,

soltanto a te

son dedicati.

 

P.M.C.

La primavera…secondo Hermann Hesse

     foto da web

Ho letto i libri di Hermann Hesse tanti anni fa, e riconosco che per certi versi, riprendendoli tra le mani e rileggendone qualche passo, dimostrano la loro età, eppure questa consapevolezza non mi impedisce di tenerli abbastanza vicini e, ogni tanto, cercare in loro qualcosa che ho dimenticato, per scoprire poi, può capitare, rileggendo un brano conosciuto, di trovare qualcosa di nuovo. Capisco così che è il nostro sguardo sulle cose che cambia, e ciò che tempo addietro magari non mi aveva colpito, oggi acquista per me un nuovo interesse. E’ la seconda lettura di qualcosa sulla quale pensavamo di non soffermarci più.

Qualche giorno fa mi è capitato tra le mani un libretto intitolato “La Natura ci parla”, sulla cui copertina verde c’è una fotografia di Hermann Hesse scattata tra le “sue” montagne. Un cappello chiaro sulla testa, occhialini da filosofo, una gerla sulle spalle. Mi ha sempre colpito quest’immagine e in particolare lo sguardo riflessivo dell’autore che sembra indagare oltre l’apparenza delle cose.

Questo post è nato così, forse con l’intento di fermare almeno per un po’ un incontro a distanza con uno scrittore che ho amato molto. E considerando che quest’anno la primavera sembra fare più che mai i capricci, ho pensato di riportare alcuni testi, in versi e in prosa, che siano magari di buon auspicio…

****

Nuvole bianche

 

Guarda, tornano a librarsi

come sommesse melodie

di belle canzoni dimenticate,

nell’alto azzurro del cielo!

Nessun cuore le può comprendere

se non quello che in un lungo viaggio

è divenuto conscio di ogni dolore

e di ogni gioia del pellegrinare.

Amo quelle bianche, vagabonde

come il sole, il mare, il vento,

perché dell’uomo senza dimora

sono sorelle e angeli.

Primavera

Percorre di nuovo il bruno sentiero

giù dai monti illimpiditi da venti furiosi,

e dove la Bella s’avvicina, rinascono

teneri fiori e canti d’uccelli.

Seduce di nuovo anche il mio animo

perché in questa purezza teneramente ingemmata

la Terra, di cui sono ospite,

m’appaia un bene e un’amabile dimora.

Il ramo fiorito

Sempre avanti e indietro

si tende al vento il ramo fiorito,

sempre oscillando

il mio cuore è teso come un bambino

tra giornate luminose e oscure,

tra volere e rinunciare.

Fino a che i fiori sono appassiti

e il ramo porta frutti,

fino a che il cuore, sazio di fanciullezza,

trova la sua pace e confessa:

pieno di gioia, e non cosa vana

è stato l’irrequieto gioco della vita.

Giornata primaverile

Vento nella macchia e sibilo d’uccello

e alta, nel più alto dolce azzurro

una silente, altera nave di nuvole…

Io sogno di una dama bionda,

sogno della mia giovinezza,

il cielo alto, azzurro e vasto

è la culla della mia nostalgia

dove io intimamente calmo,

beatamente caldo,

riposo con un lieve mugolio

come tra le braccia della madre

un bambino.

…e in qualche modo, in continuità col tema precedente, ecco che cosa sono state e che cosa hanno significato per Hermann Hesse le nuvole…

Bellezza e malinconia delle nuvole

Montagne, lago, tempesta e sole erano miei amici, mi facevano racconti e mi educavano e per lungo tempo mi sono stati più cari e più familiari di qualsiasi essere umano […]. Ma le mie predilette, […] erano le nuvole.

Mi si mostri , in tutto il mondo, un uomo che conosca e ami le nuvole meglio di me! O mi mostri una cosa al mondo più bella delle nuvole! Esse sono trastullo e conforto per gli occhi, sono grazia e dono divino, sono ira e potenza mortale. Sono tenere, delicate e mansuete come anime di neonati, sono belle, ricche e generose come angeli benefici, sono scure, ineluttabili e irreparabili come messaggeri di morte. Si librano argentee in diafani strati, veleggiano serenamente bianche con orli dorati, sostano in riposo colorate di giallo, rosso, azzurrino. Strisciano cupe e lente come assassini, s’incalzano correndo a precipizio come cavalieri furibondi, stanno sospese, meste e trasognate, in pallide levitazioni, come malinconici eremiti. Hanno le forme di isole beate e le forme di angeli benedicenti, somigliano a mani minacciose, a vele palpitanti, a cicogne migranti. Si librano tra il cielo divino e la povera Terra come belle metafore di ogni nostalgia umana, appartenendo a entrambi […]. Sono l’eterno simbolo di ogni peregrinazione, di ogni ricerca, esigenza e desiderio di patria. E così, come esse stanno sospese tra Terra e cielo, timide, nostalgiche e spavalde, allo stesso modo sono sospese tra tempo ed eternità, timide, nostalgiche e spavalde, le anime degli uomini. […]. Ero un bambino ignaro e le amavo, le guardavo senza sapere che sarei andato attraverso la vita anch’io come una nuvola – peregrinando, dovunque straniero, librato tra tempo ed eternità. Fin dai tempi dell’infanzia esse sono state per me buone amiche e sorelle. […]. Né dimentico quanto ho imparato di loro a quel tempo: le loro forme, i loro colori, i loro lineamenti, i loro giochi, danze e soste, e le loro straordinarie storie tra terrestri e celesti…

Ben presto arrivò anche il tempo in cui potei avvicinarmi alle nuvole, camminare tra loro, e osservare alcune della loro schiera dall’alto. Avevo dieci anni quando scalai la prima vetta, il Sennalpstock, ai cui piedi sorgeva il nostro paesino, Nimikon. Allora per la prima volta io vidi gli orrori e le bellezze della montagna. Gole profonde piene di ghiaccio e di neve liquefatta, ghiacciai di vetro verde, spaventose morene, e sopra tutto, alto e tondo come una campana, il cielo. Quando uno ha vissuto dieci anni incastrato tra montagna e lago, ed è stato serrato da presso da una cerchia di alture, allora non dimentica il giorno in cui per la prima volta si spalancò su di lui un alto, vasto cielo, e davanti a lui uno sconfinato orizzonte. Già durante la salita io ero stupito di trovare i dirupi e le pareti di roccia a me ben noti dal di sotto, così smisuratamente alti. E ora, del tutto soggiogato dal momento, improvvisamente vedevo, con paura e giubilo, l’enorme vastità penetrare in me. Così favolosamente grande era dunque il mondo! L’intero nostro villaggio, che giaceva sperduto giù nel fondo, era solo una piccola macchia chiara. Vette che dalla valle si consideravano vicinissime tra loro stavano a molte ore di distanza l’una dall’altra.

Allora cominciai a sospettare che io avevo avuto appena una fugace occhiatina, non ancora una netta visione del mondo, e che al di fuori potevano alzarsi e scendere montagne e avvenire cose grandiose di cui nel nostro remoto buco montano non arrivava neppure la più pallida notizia. Ma al tempo stesso in me qualcosa tremava, come un ago di bussola potenziato di inconscia tensione, in direzione di quelle lontananze. E solo allora io compresi pienamente anche la bellezza e la malinconia delle nuvole, perché vedevo in quali sconfinate lontananze esse migravano.

(Hermann Hesse – La Natura ci parla – Arnoldo Mondadori Editore)

 

Alberi

foto da web

Si protendono gli alberi
del bosco
cercando forse anche loro
l’infinito.

Si allungano pazienti
verso il sole
lasciandosi avvolgere
dall’oro,
docili, lasciano
che i raggi li attraversino,
li riempiano di luce e di calore.

E’ bello il bosco
in questo maggio fiorito,
ampie distese
di gemme e di colori,
sfumature alternate
di piacere,
ristoro per i cuori.

P. M. C.

Il silenzio del mare

foto da web

Se solo
il mare potesse raccontare
le storie conosciute.

Storie di marinai
in giro per il mondo,
di pescatori dagli occhi assonnati
sfiniti dall’attesa,
di gabbiani alti nel cielo,
immobili ed attenti
alle probabili prede.

Di persone
troppo in fretta partite,
ritornate a riva
ferite dalla vita.

Di navi da crociera
fermate dagli scogli
per le azioni sbagliate
di uomini incapaci.

Se solo il mare
potesse raccontare
quanti libri verrebbero scritti,
quante storie ascoltate
regalate al futuro.

Ma lui non vuole,
tiene tutto per sé,
solo lascia le tracce,
innumerevoli tracce
sulle spiagge.

Segni importanti del passato,
testimonianze che raccontano,
se solo noi
riuscissimo a vedere
e a capire.

P.M.C.

Franco Floris

(foto da web)

Franco Floris è un poeta sardo che ho conosciuto qualche tempo fa attraverso uno strumento non sempre apprezzato, facebook, la dimostrazione che talvolta qualcosa che a priori snobbiamo può invece dimostrarsi valida, se utilizzata in un certo modo, perché permette e facilita la circolazione del pensiero, della conoscenza, dell’arte.
Tramite facebook ho conosciuto diverse persone, alcune di loro sono diventati cari amici, uno di questi è Franco.
Franco è un poeta sensibile e profondo, un uomo che guarda attentamente intorno a sé, che scandaglia la realtà per poterla meglio analizzare. Ama e rispetta la natura, la osserva con uno sguardo mai superficiale, lo stesso che ha verso i suoi simili e gli avvenimenti che accadono sotto i suoi (e i nostri) occhi.
Sa essere ironico, disincantato, schietto e nello stesso tempo sensibile e rispettoso verso gli altri. Lo accompagna una certa malinconia, come avviene per tutte le persone che guardano la realtà senza illusioni fittizie, ma non esclude la speranza, la possibilità che le cose che non piacciono possano cambiare, avere un’evoluzione positiva.
Questi che riporto sono alcuni dei suoi tanti testi poetici, versi che hanno suscitato in me attenzione e interesse, insieme al desiderio di conoscere meglio l’animo e lo sguardo del loro autore.

****

Come un ruscello

Come un ruscello svelto d’acqua chiara
ridono le mie lacrime nel sole;
la mia anima lenta non impara
a difendersi dalle parole.

Parole

Parole di creta
Che assumono forme
Fantastiche
Parole d’acciaio
Che spezzano,
Lacerano, tagliano
Parole d’unguento
Che curano
Leniscono
Parole di magia
Che creano incanti,
Mondi fantastici
Castelli gotici
E tu poeta,
Scultore, assassino
Guaritore
Mago
Con le parole modelli
Ferisci, curi
Blandisci
Crei.

Bagno notturno

Nubi
scorci di luna
brezza leggera
le onde scompiglia
arruffa in riva
la bianca schiuma
notte
serena
scintillio delle onde
il mare si richiude
sul mio corpo
che freme dolcemente
alla carezza.
Dolce l’unione
con l’universo tutto
sono in pace.

Nel mio cuore

Nel mio cuore c’è un vasto bosco.
Ognuna delle persone che ho incontrato
nella mia vita è un albero,
o un cespuglio, o un fiore.
E in questo bosco si aggirano
come fantasmi
i miei pensieri.

Quando la pace scenderà su me

Quando la pace scenderà su me
goccia su goccia laverà il mio viso
e quelle labbra che spesso il sorriso
hanno dimenticato.

Quando la pace scenderà su me
goccia su goccia laverà il mio corpo
che troppo spesso ho maltrattato
come se fosse il corpo di un nemico.

Quando la pace scenderà su me
goccia su goccia laverà il mio cuore
spesso strappato per il troppo amore.

Quando la pace scenderà su me
goccia su goccia
come dolce pioggia
la berrò e sarà dolce
come un canto
e non amara
come questo pianto.

Istante

Qual è la cosa che ci lega insieme,
che fa battere insieme i nostri cuori,
che ci protegge dalla pioggia e il vento?

Un dolce specchio d’acqua, immoto e chiaro,
non una canna muove le sue foglie,
non un rumore, non un movimento.

Nello spirito immane del creato
il mio spirito, sempre al tuo legato,
non ha futuro, e non ha passato
e vive ovunque, e l’istante presente
è un istante che vive eternamente
dall’inizio alla fine del creato.

Canto per Chiara

Frammento di vita prepotente
che voli a riempire di te
ogni angolo dell’universo,

benedetti i tuoi occhi
che possano nutrirti
di tutto il bello del mondo;
che sappiano posarsi
con animo uguale
sulla gioia e sul dolore;

benedetti i tuoi orecchi
che possano cullarti
con la musica dolce del creato;
che tu possa accogliere
le voci che cercheranno
un posto nel tuo cuore;

benedette le tue labbra
che possano sempre dire il giusto;
che sappiano dispensare
con uguale dolcezza
critiche e lodi;

benedette le tue mani
che possano prendere e dare
con uguale entusiasmo
con uguale piacere;

benedetti i tuoi piedi
che ti possano portare
dove il tuo cuore vuole andare;

benedetto il tuo cuore
che possa sognare
e confondere il sogno col vero
e fare un sogno del vero
e del vero un sogno;

benedetta sia la tua anima
per la gioia che ci dai.

Mattino. Alla stazione ferroviaria

Il mattino socchiude lentamente
la sua porta ai raggi dell’oriente
dipingendo le nubi di pastello
ed il canto assonnato di un uccello
si spande sopra i campi addormentati
chiamando a sé i suoi compagni alati.
La nebbia della notte ancora resta
sui campi e tra i pensieri nella testa
che al solito lavoro si prepara
con gli occhi stanchi e con la bocca amara….

***

Forse un giorno riprenderò la penna
e riuscirò a mettere
la mia anima su un foglio……..

Goccia

goccia che cade
non è più nuvola
non è ancora mare……

Franco Floris