
foto da web
Ho letto i libri di Hermann Hesse tanti anni fa, e riconosco che per certi versi, riprendendoli tra le mani e rileggendone qualche passo, dimostrano la loro età, eppure questa consapevolezza non mi impedisce di tenerli abbastanza vicini e, ogni tanto, cercare in loro qualcosa che ho dimenticato, per scoprire poi, può capitare, rileggendo un brano conosciuto, di trovare qualcosa di nuovo. Capisco così che è il nostro sguardo sulle cose che cambia, e ciò che tempo addietro magari non mi aveva colpito, oggi acquista per me un nuovo interesse. E’ la seconda lettura di qualcosa sulla quale pensavamo di non soffermarci più.
Qualche giorno fa mi è capitato tra le mani un libretto intitolato “La Natura ci parla”, sulla cui copertina verde c’è una fotografia di Hermann Hesse scattata tra le “sue” montagne. Un cappello chiaro sulla testa, occhialini da filosofo, una gerla sulle spalle. Mi ha sempre colpito quest’immagine e in particolare lo sguardo riflessivo dell’autore che sembra indagare oltre l’apparenza delle cose.
Questo post è nato così, forse con l’intento di fermare almeno per un po’ un incontro a distanza con uno scrittore che ho amato molto. E considerando che quest’anno la primavera sembra fare più che mai i capricci, ho pensato di riportare alcuni testi, in versi e in prosa, che siano magari di buon auspicio…
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Nuvole bianche
Guarda, tornano a librarsi
come sommesse melodie
di belle canzoni dimenticate,
nell’alto azzurro del cielo!
Nessun cuore le può comprendere
se non quello che in un lungo viaggio
è divenuto conscio di ogni dolore
e di ogni gioia del pellegrinare.
Amo quelle bianche, vagabonde
come il sole, il mare, il vento,
perché dell’uomo senza dimora
sono sorelle e angeli.
Primavera
Percorre di nuovo il bruno sentiero
giù dai monti illimpiditi da venti furiosi,
e dove la Bella s’avvicina, rinascono
teneri fiori e canti d’uccelli.
Seduce di nuovo anche il mio animo
perché in questa purezza teneramente ingemmata
la Terra, di cui sono ospite,
m’appaia un bene e un’amabile dimora.
Il ramo fiorito
Sempre avanti e indietro
si tende al vento il ramo fiorito,
sempre oscillando
il mio cuore è teso come un bambino
tra giornate luminose e oscure,
tra volere e rinunciare.
Fino a che i fiori sono appassiti
e il ramo porta frutti,
fino a che il cuore, sazio di fanciullezza,
trova la sua pace e confessa:
pieno di gioia, e non cosa vana
è stato l’irrequieto gioco della vita.
Giornata primaverile
Vento nella macchia e sibilo d’uccello
e alta, nel più alto dolce azzurro
una silente, altera nave di nuvole…
Io sogno di una dama bionda,
sogno della mia giovinezza,
il cielo alto, azzurro e vasto
è la culla della mia nostalgia
dove io intimamente calmo,
beatamente caldo,
riposo con un lieve mugolio
come tra le braccia della madre
un bambino.
…e in qualche modo, in continuità col tema precedente, ecco che cosa sono state e che cosa hanno significato per Hermann Hesse le nuvole…
Bellezza e malinconia delle nuvole
Montagne, lago, tempesta e sole erano miei amici, mi facevano racconti e mi educavano e per lungo tempo mi sono stati più cari e più familiari di qualsiasi essere umano […]. Ma le mie predilette, […] erano le nuvole.
Mi si mostri , in tutto il mondo, un uomo che conosca e ami le nuvole meglio di me! O mi mostri una cosa al mondo più bella delle nuvole! Esse sono trastullo e conforto per gli occhi, sono grazia e dono divino, sono ira e potenza mortale. Sono tenere, delicate e mansuete come anime di neonati, sono belle, ricche e generose come angeli benefici, sono scure, ineluttabili e irreparabili come messaggeri di morte. Si librano argentee in diafani strati, veleggiano serenamente bianche con orli dorati, sostano in riposo colorate di giallo, rosso, azzurrino. Strisciano cupe e lente come assassini, s’incalzano correndo a precipizio come cavalieri furibondi, stanno sospese, meste e trasognate, in pallide levitazioni, come malinconici eremiti. Hanno le forme di isole beate e le forme di angeli benedicenti, somigliano a mani minacciose, a vele palpitanti, a cicogne migranti. Si librano tra il cielo divino e la povera Terra come belle metafore di ogni nostalgia umana, appartenendo a entrambi […]. Sono l’eterno simbolo di ogni peregrinazione, di ogni ricerca, esigenza e desiderio di patria. E così, come esse stanno sospese tra Terra e cielo, timide, nostalgiche e spavalde, allo stesso modo sono sospese tra tempo ed eternità, timide, nostalgiche e spavalde, le anime degli uomini. […]. Ero un bambino ignaro e le amavo, le guardavo senza sapere che sarei andato attraverso la vita anch’io come una nuvola – peregrinando, dovunque straniero, librato tra tempo ed eternità. Fin dai tempi dell’infanzia esse sono state per me buone amiche e sorelle. […]. Né dimentico quanto ho imparato di loro a quel tempo: le loro forme, i loro colori, i loro lineamenti, i loro giochi, danze e soste, e le loro straordinarie storie tra terrestri e celesti…
Ben presto arrivò anche il tempo in cui potei avvicinarmi alle nuvole, camminare tra loro, e osservare alcune della loro schiera dall’alto. Avevo dieci anni quando scalai la prima vetta, il Sennalpstock, ai cui piedi sorgeva il nostro paesino, Nimikon. Allora per la prima volta io vidi gli orrori e le bellezze della montagna. Gole profonde piene di ghiaccio e di neve liquefatta, ghiacciai di vetro verde, spaventose morene, e sopra tutto, alto e tondo come una campana, il cielo. Quando uno ha vissuto dieci anni incastrato tra montagna e lago, ed è stato serrato da presso da una cerchia di alture, allora non dimentica il giorno in cui per la prima volta si spalancò su di lui un alto, vasto cielo, e davanti a lui uno sconfinato orizzonte. Già durante la salita io ero stupito di trovare i dirupi e le pareti di roccia a me ben noti dal di sotto, così smisuratamente alti. E ora, del tutto soggiogato dal momento, improvvisamente vedevo, con paura e giubilo, l’enorme vastità penetrare in me. Così favolosamente grande era dunque il mondo! L’intero nostro villaggio, che giaceva sperduto giù nel fondo, era solo una piccola macchia chiara. Vette che dalla valle si consideravano vicinissime tra loro stavano a molte ore di distanza l’una dall’altra.
Allora cominciai a sospettare che io avevo avuto appena una fugace occhiatina, non ancora una netta visione del mondo, e che al di fuori potevano alzarsi e scendere montagne e avvenire cose grandiose di cui nel nostro remoto buco montano non arrivava neppure la più pallida notizia. Ma al tempo stesso in me qualcosa tremava, come un ago di bussola potenziato di inconscia tensione, in direzione di quelle lontananze. E solo allora io compresi pienamente anche la bellezza e la malinconia delle nuvole, perché vedevo in quali sconfinate lontananze esse migravano.
(Hermann Hesse – La Natura ci parla – Arnoldo Mondadori Editore)