Chiara passava tutti i giorni in quel tratto di strada per andare in ufficio. Vi passava al mattino ma anche nel pomeriggio, quando doveva fare dei rientri. E tutti i giorni incontrava quel ragazzo.
Aveva forse trent’anni o forse anche meno, capelli nerissimi, le mani entrambe occupate da ninnoli colorati e tintinnanti. Una postura difficile, la sua, l’aiuto di un bastone al quale si appoggiava.
Anche il linguaggio sembrava faticoso, le parole uscivano a stento e talvolta non sembrava capire quel che gli veniva detto.
Italiano? Straniero? Chiara non lo capì mai.
Una cosa era certa, si trovava in quel punto sempre alla stessa ora, quando la via era particolarmente trafficata, quando le persone rientravano a casa dal lavoro, per il pranzo.
E lui lì, col suo sorriso sofferente, il suo stare in piedi con difficoltà.
Tanti i ninnoli che aveva acquistato, ciondoli per l’auto, portafortuna, giochini per bambini. Un miscuglio di colori, oggettini che sarebbero finiti in un cassetto oppure sarebbero stati regalati a bimbi conosciuti.
Molte altre persone lo avevano fatto davanti a quel semaforo, quando il verde mancava e il rosso bloccava tutti.
In quegli istanti Chiara aveva provato a scambiare con lui alcune brevi frasi, aveva intuito che arrivava ogni giorno da un’altra città, ma quale fosse non lo seppe mai. Una sorta di dialogo breve e difficile a causa delle sue difficoltà.
E poi quel semaforo, troppo veloce secondo lui nel diventare verde, troppo lento per lei e gli altri automobilisti, che dovevano rientrare di fretta.
Per giorni e giorni il rito si ripetè e nei cassetti di Chiara aumentava il numero dei piccoli oggetti colorati.
Era piacevole in fondo posare lo sguardo dentro quella scatola dal contenuto bizzarro, quei luccichii, quei tintinnii erano gradevoli da vedere e da sentire.
A un certo punto il ragazzo non venne più. Chiara chiese sue notizie, si era ormai abituata come gli altri passanti ad incontrarlo, ma nessuno sapeva niente.
Passò qualche settimana, poi, improvvisamente, ritornò.
Stesso luogo, stessa postura, il viso sofferente, il corpo ancora più ripiegato sul bastone. L’approccio però rimaneva lo stesso, ormai familiare.
“Che ti è successo?”, gli chiese Chiara, “perché non sei più venuto?”.
Il ragazzo disse qualcosa che non si capì, si intuì però dall’espressione del viso che non stava bene.
Per l’ennesima volta Chiara acquistò un oggettino, ormai simile ai precedenti, così conosciuto da poterlo descrivere in ogni sua parte a occhi chiusi.
Passò un po’ di tempo durante il quale Chiara continuò il suo abituale via vai dalla casa all’ufficio, la solita attesa del verde al semaforo, gli stessi incroci di sguardi e sorrisi con persone ormai familiari, la solita preoccupazione di arrivare al lavoro in ritardo a causa del traffico, il desiderato ritorno a casa per il pranzo. Tutto come sempre, per lei come per tanti.
Un giorno, mentre si concedeva una passeggiata in città, il suo sguardo fu attratto dalla sagoma di un uomo dietro un’automobile parcheggiata; si fermò, aveva qualcosa di familiare.
Osservò con attenzione la persona che, girando intorno all’auto, appariva più nitida.
Era un ragazzo. Aprì improvvisamente la portiera, sistemò all’interno due stampelle con grande facilità, infine si mise al volante accingendosi alla partenza.
Chiara riconobbe senza difficoltà “il ragazzo del semaforo”, come in tanti ormai si erano abituati a chiamarlo. Camminava e si muoveva perfettamente, non aveva bisogno di sostegni e il suo corpo appariva armonioso, assolutamente non offeso da problemi fisici.
Chiara non seppe mai se lui ebbe modo di vederla, se si fosse accorto realmente di essere stato riconosciuto, è certo che mise in moto con grande velocità, prima di sparire, confondendosi tra le automobili piuttosto numerose in quel momento di grande traffico.
Né lei né i tanti conoscenti a cui chiese notizie videro più in città quel ragazzo al quale, ingenuamente forse, avevano dato fiducia per mesi e mesi, tendendogli generosamente una mano.