Archivio | marzo 2014

Il merlo

Mi osserva dall’alto
del suo ramo insicuro,
il ramo più corto
di un albero spoglio.

Un incrocio di sguardi:
il suo, diffidente,
il mio, incuriosito.

La sua coda trema
leggera,
il suo becco giallo
si apre inquieto.

L’unica goccia di sole
sui rami ancora nudi
di una primavera tardiva.

P.M.C.

Cuore di preda

Cuore di preda è una raccolta di testi poetici scritti da donne, testi che raccontano la violenza subita da parte di uomini privi di sensibilità e di scrupoli. Poesie molto diverse tra di loro ma unite da un comune denominatore: raccontano la sofferenza, quella fisica e quella psicologica.
Sono storie crude, dolorose, descritte con amarezza e con rabbia, senza nulla nascondere di ciò che quasi ogni giorno avviene nelle nostre città, col preciso intento di tenere desta l’attenzione su fatti che annullano nelle donne la dignità e il rispetto di sé.
I testi coinvolgono e fanno male, e non poteva essere altrimenti, le poetesse con i loro bei versi vivono indirettamente la stessa esperienza raccontata, la interiorizzano e la attraversano.
Molto intensi anche gli autoscatti dell’artista Fabiola Ledda, fotografie che in origine erano a colori e che sono state stampate in bianco e nero. Foto struggenti, raffinate, ricche di contenuto, in perfetta simbiosi con le storie raccontate in versi.
Un bel libro che ha il potere di scuotere le coscienze, perlomeno quelle capaci di riflessione e condivisione.
Una lettura che lascia il segno.
Ecco alcuni testi.

 

Lo zio ricco
di
Maddalena Capalbi

Ecco lo zio ricco pieno di sé,
ha in mano le chiavi
della macchina
-costruttore-
dice nonna, ma non sa lei quale
nemico la giornata tiepida
nasconde.
Salgo le scale e la rincorsa
attorno al letto provoca nausea,
lui è stomachevole e la testa mi gira,
però è lo zio ricco e queste cose
non si possono raccontare.

 

Se questa è una donna
di
Anna Elisa De Gregorio

Con quale numero sarà ricordata
la violenza di ieri su una donna
nel quartiere taldeitali della tale città?
La voce che esce dal televisore,
mentre divagano periferie senza vita,
elenca cronache già dimenticate:
quella che era, l’altra che aveva…
Donne raccolte in un mondo di buio.

Non c’è vuoto che le possa contenere
e cresce un dolore che riconosciamo
materno eppure senza speranza.
Lapidi di nomi in ciascuna di noi
a caratteri di stella per dare luce.
E dentro ogni donna, nel suo centro,
un nucleo di resistenza sacro,
eredità lasciata dalla madre.

 

[Senza titolo]
di
Serenella Gatti

tutte sono donne
tutte nostre sorelle figlie
madri amiche
tutte sono nostre:
la murata viva del Marocco
la bruciata viva della Cisgiordania
la sfigurata dall’acido dell’India
l’assassinata del Messico
la seviziata della Romania
la stuprata in Italia

tutte sono nostre:
le offese le ferite
le violate le morte
senza nome col nome
tutte sono donne
e tutte noi donne   siamo in lutto

*

i sandali dorati
con i tacchi a spillo spezzati
il corto abito stracciato
di tulle nero con i brillantini
macchie di sangue a terra
nell’anima nel corpo

e la testa che intanto sognava
mari e conchiglie

 

[Senza titolo]
di
Luisella Pisottu

Chi si prenderà cura dello sguardo
delle fragilità del polso
del mento piegato all’altezza del cuore?
Chi la nuca potrà sfiorare,
dirci che è finita la fatica del vivere
tra cieli e dita rigonfie.

Fragile addormentarsi
mentre in silenzio si muore.

 

Quando le ragazze nere
di Lisabetta Serra

Quando le ragazze nere
scendono con passo falcato
la sera dal treno io provo
vergogna del bianco
Chiedo alla luna
di togliere la
sua falce

 

[Senza titolo]
di
Alessandra Vignoli

Al male
rispondevo col silenzio
Ora sono una femmina che graffia

 

per i cinque anni di Nicolò
di Marina Giovannelli

Vorrei insegnarti le parole giuste
i gesti della gentilezza
dirti che bambini e bambine
sono uguali e sono anche diversi
oppure viceversa
ma temo di confonderti le idee
e resto a guardare.
Vedo che sorridi alla piccola Elisa
in bilico bionda sull’asse
le gridi convinto sei fantastica!
che presti il prezioso monopattino
alle gemelline tue amiche
vedo il tuo sguardo chiaro
penso che sei sulla strada buona.
Ma entrando nel negozio di giocattoli
protesti che abbiamo sbagliato settore
– qui c’è solo roba per femmine –
e il disprezzo si tinge di rosa.
Racconti orgoglioso del basket
che la squadra è tutta di maschi.
Io commento peccato
ci vorrebbe almeno qualche bambina.
Tu sentenzi non si sa da che cattedra
le femmine non sono adatte allo sport
però ammetti che Greta e Sofia
si divertono con le tue macchinette
e talvolta ti sorprendo a giocare
con le mie vecchie bambole.

 

Famiglia
di Claudia Ambrosini

Mani in faccia
e l’urlo violento
non hanno indotto
alcun movimento
Ora l’orco
ha tempie bianche
e fra loro c’è un teatrino
Non c’è nulla
da salvare – nessuno –
c’è solo il peso del mio capo chino.

 

* * *

Dalla raccolta Cuore di preda, Poesie contro la violenza alle donne
A cura di Loredana Magazzeni
Edizioni CFR, 2012

Il ragazzo che vendeva ninnoli

 

 Chiara passava tutti i giorni in quel tratto di strada per andare in ufficio. Vi passava al mattino ma anche nel pomeriggio, quando doveva fare dei rientri. E tutti i giorni incontrava quel ragazzo.

Aveva forse trent’anni o forse anche meno, capelli nerissimi, le mani entrambe occupate da ninnoli colorati e tintinnanti. Una postura difficile, la sua, l’aiuto di un bastone al quale si appoggiava.

Anche il linguaggio sembrava faticoso, le parole uscivano a stento e talvolta non sembrava capire quel che gli veniva detto.

Italiano? Straniero? Chiara non lo capì mai.

Una cosa era certa, si trovava in quel punto sempre alla stessa ora, quando la via era particolarmente trafficata, quando le persone rientravano a casa dal lavoro, per il pranzo.

E lui lì, col suo sorriso sofferente, il suo stare in piedi con difficoltà.

Tanti i ninnoli che aveva acquistato, ciondoli per l’auto, portafortuna, giochini per bambini. Un miscuglio di colori, oggettini che sarebbero finiti in un cassetto oppure sarebbero stati regalati a bimbi conosciuti.

Molte altre persone lo avevano fatto davanti a quel semaforo, quando il verde mancava e il rosso bloccava tutti.

In quegli istanti Chiara aveva provato a scambiare con lui alcune brevi frasi, aveva intuito che arrivava ogni giorno da un’altra città, ma quale fosse non lo seppe mai. Una sorta di dialogo breve e difficile a causa delle sue difficoltà.

E poi quel semaforo, troppo veloce secondo lui nel diventare verde, troppo lento per lei e gli altri automobilisti, che dovevano rientrare di fretta.

Per giorni e giorni il rito si ripetè e nei cassetti di Chiara aumentava il numero dei piccoli oggetti colorati.

Era piacevole in fondo posare lo sguardo dentro quella scatola dal contenuto bizzarro, quei luccichii, quei tintinnii erano gradevoli da vedere e da sentire.

A un certo punto il ragazzo non venne più. Chiara chiese sue notizie, si era ormai abituata come gli altri passanti ad incontrarlo, ma nessuno sapeva niente.

Passò qualche settimana, poi, improvvisamente, ritornò.

Stesso luogo, stessa postura, il viso sofferente, il corpo ancora più ripiegato sul bastone. L’approccio però rimaneva lo stesso, ormai familiare.

Che ti è successo?”, gli chiese Chiara, “perché non sei più venuto?”.

Il ragazzo disse qualcosa che non si capì, si intuì però dall’espressione del viso che non stava bene.

Per l’ennesima volta Chiara acquistò un oggettino, ormai simile ai precedenti, così conosciuto da poterlo descrivere in ogni sua parte a occhi chiusi.

Passò un po’ di tempo durante il quale Chiara continuò il suo abituale via vai dalla casa all’ufficio, la solita attesa del verde al semaforo, gli stessi incroci di sguardi e sorrisi con persone ormai familiari, la solita preoccupazione di arrivare al lavoro in ritardo a causa del traffico, il desiderato ritorno a casa per il pranzo. Tutto come sempre, per lei come per tanti.

Un giorno, mentre si concedeva una passeggiata in città, il suo sguardo fu attratto dalla sagoma di un uomo dietro un’automobile parcheggiata; si fermò, aveva qualcosa di familiare.

Osservò con attenzione la persona che, girando intorno all’auto, appariva più nitida.

Era un ragazzo. Aprì improvvisamente la portiera, sistemò all’interno due stampelle con grande facilità, infine si mise al volante accingendosi alla partenza.

Chiara riconobbe senza difficoltà “il ragazzo del semaforo”, come in tanti ormai si erano abituati a chiamarlo. Camminava e si muoveva perfettamente, non aveva bisogno di sostegni e il suo corpo appariva armonioso, assolutamente non offeso da problemi fisici.

Chiara non seppe mai se lui ebbe modo di vederla, se si fosse accorto realmente di essere stato riconosciuto, è certo che mise in moto con grande velocità, prima di sparire, confondendosi tra le automobili piuttosto numerose in quel momento di grande traffico.

Né lei né i tanti conoscenti a cui chiese notizie videro più in città quel ragazzo al quale, ingenuamente forse, avevano dato fiducia per mesi e mesi, tendendogli generosamente una mano.