Archivio | gennaio 2015

Pianto leggero

Un testo bello e toccante del poeta Franco Floris, una riflessione sofferta che giustamente fa male anche a chi legge. E’ il prezzo da pagare per continuare a non dimenticare, un piccolo prezzo per ricordare, oggi e sempre, le atrocità commesse nel procurare una sofferenza fisica e psicologica di tale entità che neppure la sensibilità di tutte le persone capaci di bontà può arrivare a capire, ad intuire fino in fondo. Una tragedia che, in mille altre forme, continua ancora oggi.

Non senti?

Un pianto leggero

distante

un pianto sognante

da dietro quelle macerie

un pianto di sporco

e di terra

un pianto di guerra

un pianto dimenticato

di filo spinato

pianto soffocato

dal rombo di bombe

e cannoni

un pianto senza illusioni

un pianto vicino, lontano

un pianto che scivola piano

aleggia sopra il mattino

il pianto di un bambino.

Franco Floris

Figli

“Sei stanca?”
“No.”
“Accipicchia, che resistenza ha la mia bambina, sei davvero brava!”

Il brevissimo dialogo arrivò nitido alle orecchie di Vera, che quel pomeriggio di inizio gennaio percorreva la centralissima via Mazzini, particolarmente congestionata dal traffico. Il Natale era trascorso e anche il Capodanno, ma c’era ancora l’Epifania da festeggiare e per i più piccoli qualcosa doveva ancora arrivare per chiudere alla grande le festività. Lo dimostrava il fatto che tutti i numerosi parcheggi a disposizione degli automobilisti erano occupati.
Fu proprio nel momento in cui si dirigeva verso l’ingresso di un grande centro commerciale che si trovò ad affiancare quel padre che teneva per mano la sua bambina.
Fu colpita innanzitutto dall’età piuttosto giovane dell’uomo, poi, dalla tenerezza e l’attenzione verso la figlia, perché, ne era certa, era sua figlia, tanto somigliavano nell’atteggiamento e in alcune caratteristiche fisiche che, sia pure frettolosamente, ebbe modo di notare, prima di superarli e procedere oltre.
Entrò quindi nel negozio e dimenticò presto il breve “incontro”, per dedicarsi anche lei agli ultimi acquisti prima del fatidico giorno della befana.
Non amava il consumismo né sprecare i soldi in cose futili, ma a suo figlio Davide voleva fare ancora un regalo. Se lo meritava, era un bambino buono, curioso di tutto, educato, che potevano volere di più, lei e suo marito, da un ragazzino di dieci anni?
Amava i libri, disegnare e dipingere, e amava tanto la musica, a tal punto da avere una piccolissima collezione di minuscoli strumenti musicali.
Non era mai stato difficile scegliere per lui dei doni, ogni cosa sarebbe stata apprezzata. Acquistò un libro e una chitarra dalle dimensioni estremamente ridotte, un piccolo oggetto che avrebbe senz’altro gradito, ancora una volta sarebbero andati sul sicuro, ancora una volta, la mattina dell’Epifania, avrebbero gioito nel vedere nei suoi occhi quella contentezza che solo a quell’età sa essere così profonda e autentica.

L’Epifania trascorse e le vacanze natalizie si conclusero. Vera non si era sbagliata, Davide aveva gradito molto i loro doni, ora era arrivato il momento di rientrare a scuola e agli amici avrebbe raccontato dei regali di Natale e anche degli ultimi, i più vicini, forse per questo quelli che ai suoi occhi sembravano i più interessanti.

Ricominciare non fu difficile. Certo era stato piacevole dormire un po’ di più al mattino, o semplicemente rilassarsi sotto le coperte, o magari rimanere la sera svegli più a lungo a guardare il programma preferito, ma il piacere di incontrare di nuovo gli amici e raccontare loro dei piccoli aneddoti riguardanti i giorni di festa sarebbe stato pur sempre un divertimento, motivo di gioia e allegria.
Quel giorno pioveva, si direbbe anzi che il cielo, quel giorno, volesse proprio ripulire il mondo di tutte le brutture buttando giù acqua con generosità.
Di solito Davide andava a scuola da solo perché l’istituto era vicino, e poi lui si sentiva già grande, dieci anni compiuti, il quinto anno della scuola primaria, l’anno successivo avrebbe incominciato a frequentare le medie, ma quella mattina, quando Vera gli propose di accompagnarlo, non le disse di no. Così salirono in auto velocemente, per la pioggia e perché faceva freddo.
Arrivarono a scuola con qualche minuto di ritardo perché il traffico lungo il breve percorso si era naturalmente intensificato.

Davanti al cancello si salutarono e Davide entrò di corsa. Mentre Vera andava via incontrò una bambina che arrivava in quel momento con suo padre. Ebbe un attimo di perplessità, poi li riconobbe. Era la ragazzina incontrata nella via Mazzini nei frenetici giorni precedenti l’Epifania, e il giovane uomo che l’accompagnava era suo padre.
Mentre rifletteva sentì la voce di Davide che, vedendo arrivare la compagna, si era fermato ad aspettarla.
“Dai, Cinzia, siamo in ritardo, ora una bella sgridata non ce la leva nessuno! Ma proprio oggi doveva piovere così, proprio oggi che alla prima ora abbiamo la maestra di matematica!”
A Vera venne da sorridere pensando all’insegnante che conosceva ormai da cinque anni. Generosa, preparata, ma un po’ rigida. I ragazzi le volevano bene perché ne intuivano la bontà, ma non riuscivano a sentirsi in sua presenza completamente rilassati.
Quando i due bambini si allontanarono Vera si avviò verso l’auto, dopo aver scambiato un cenno di saluto col giovane papà.
Dunque i loro figli frequentavano lo stesso istituto, erano anzi inseriti nella medesima classe. Una curiosa coincidenza.

Al rientro dalla scuola, mentre tutti insieme pranzavano, Davide parlò, come era solito fare, delle cose che al mattino lo avevano maggiormente interessato. Vera prestava molta attenzione al racconto del figlio. Lo avevano sempre fatto, era stato, per lei e per suo marito Carlo, nel corso degli anni un impegno preciso coltivare quotidianamente il dialogo con lui, entrambi convinti che fosse quella la strada giusta per aiutarlo nella crescita.
“Oggi, la maestra di matematica, quando io e Cinzia siamo entrati in classe, ci ha sgridato un po’ perché eravamo in ritardo, ma non tanto. E’ andata bene.”, disse Davide con un certo sollievo.
Vera lo guardò e approfittò di quel riferimento per sapere qualcosa di più sulla bambina che lei non ricordava di aver mai visto tra i suoi compagni, che conosceva ormai da cinque anni, da quando piccolissimo lo aveva accompagnato a scuola per la prima volta.
“Non conoscevo la compagna con la quale sei entrato in classe stamattina, è una nuova amica?”
“Parli di Cinzia? Sì, quest’anno c’è anche lei con noi, prima frequentava in un’altra scuola, poi col papà è venuta ad abitare in una casa che non è troppo lontana da qui.”
“Capisco.”, disse Vera.
Rimase qualche istante a riflettere, poi chiese titubante, guardando di sfuggita suo marito,” Perché, Davide, dici che Cinzia è andata a vivere nella nuova casa col papà?”
Suo figlio la guardò, si fece serio, poi disse:” Sapete, io sono un ragazzino fortunato, veramente fortunato, ho te e ho papà, cosa posso desiderare di più? Ma per Cinzia non è così, lei ha suo padre ma la mamma non c’è più, e il papà non ha voluto continuare a stare nella stessa casa dove abitavano insieme.”
Vera avvertì una dolorosa sensazione di freddo e non fece altre domande. Guardò Davide, poi suo marito, non si dissero niente ma si capirono perfettamente.
Fu in quell’istante che ebbero la certezza che il loro “bambino” incominciava a diventare grande.

P.M.C.

Prede

Sento uno sparo
lontano,
cacciatori
rincorrono le prede.

Non mi piace
quest’odore di morte
che avvolge la campagna.

Dove sta
il senso
di un grilletto in azione,
di una vita
che muore?

P.M.C.