Archivio | novembre 2017

La mia scrittura è un gioco, di Alessandro Melis

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La mia scrittura è un gioco
distratto, un rimestare
tra polveri e ciarpami di memoria,

perchè il passato è un fuoco
spento
dal gocciolare lento
del tempo sopra il tempo,
eppure mi riscalda
ancora dal suo limbo
tra l’album delle foto ed il quaderno.

Le mie parole sono nelle cose
e dentro i giorni, divenuti pietre
preziose da tagliare:
il futuro è soltanto un foglio bianco,
tempo mobile
che non si può scolpire.

(Dal poemetto inedito “Beth”, 2005)

La vita prende, la vita dona

Livia attraversava il parco quella sera di fine ottobre in compagnia di Scheggia, il suo cagnolino, come d’altronde faceva tutte le sere. Non c’era nessuno, soltanto il silenzio a farle compagnia. Erano le otto o poco più, il buio illuminato soltanto dai lampioni accesi. Il cagnolino le camminava al fianco tranquillo, ogni tanto si fermava per qualche istante ad odorare l’erba e la terra tra i cespugli. Lei ne seguiva lo sguardo, i movimenti, le intenzioni, e nello stesso momento assecondava i suoi pensieri. Mentre rifletteva, dal profondo silenzio che l’avvolgeva emerse una voce, un richiamo.
“Buona sera, signora Livia. “. Guardò meglio, un po’ lontano da lei l’esile figura di un’ altra donna, e poco distante la sua cagnetta.
“Buona sera, signora Margherita, non l’avevo vista, mi scusi”.
“Si figuri, nonostante i lampioni il buio stasera è veramente fitto!”.
Si conoscevano da diverso tempo Livia e la signora Margherita, da quando avevano incominciato a frequentare quel piccolo parco dove entrambe si recavano con i loro cani, eppure, pur essendosi instaurato tra loro un rapporto amabile e talvolta anche confidenziale, continuavano a darsi del lei. Una cosa molto curiosa soprattutto per Livia, che non teneva affatto a mantenere le distanze. Lei se lo spiegava col fatto che la signora Margherita, pur essendo sempre gentile, rimaneva per carattere un po’ riservata, schiva nel manifestare i sentimenti, per questo non aveva mai pensato di proporle di darsi del tu.
Le andò incontro con piacere anche perchè non la incontrava da qualche giorno, intorno a lei giocava e scodinzolava Ambra, la sua amatissima cagnetta. Parlarono un poco.
“Perchè non lo lascia libero, mi sembra che soffrano quando li teniamo al guinzaglio!”, disse la signora.  “Ha ragione, ma ho paura che scappi, non sempre ubbidisce ai comandi, però voglio provare…”
Lo liberò con una certa titubanza dal guinzaglio e dalla pettorina, in un istante, con un balzo, Scheggia era già lontano. Era un piacere vederlo, la signora Margherita lo guardava incantata. “Sembra un proiettile!”, disse. “Sì, nonostante i suoi dieci anni…”, rispose lei. “Come è possibile, è veramente veloce!”, ripetè la signora, meravigliandosi non poco.
Nel frattempo camminavano tra le siepi cercando con fatica di seguire il percorso dei loro cani. Ambra ad un certo punto si fermò tra due alberi guardando con particolare attenzione verso la cima; osservava e contemporaneamente abbaiava, si fermava per un istante per poi ricominciare a girare intorno ai tronchi. A Livia e alla signora Margherita veniva da ridere, divertite nel vedere che cercava di salire, naturalmente senza riuscirvi. Capirono che sugli alberi aveva visto qualcosa. “Ci sono dei gatti, sono proprio in cima, si vedono a malapena con questo buio!”, disse infine la signora, Ambra, al contrario, vedeva bene, eccome! Riprese infatti ancora per un po’ con le sue piroette, mentre lei, non si sa neppure come, incominciò a parlare di suo marito, che purtroppo non c’era più.
“Vado tre volte alla settimana a trovarlo in cimitero, mi manca molto, per fortuna un’amica, poco dopo la sua morte, mi ha regalato questa cagnetta. Io non la volevo, non mi sentivo di accudirla, ma lei ha insistito. E’ stato un bene. Ora, la sera, quando rientro dal lavoro, mi fa molta compagnia, si siede accanto a me e insieme guardiamo la televisione, poggia la testolina sulle mie ginocchia…” . “Ha fatto bene a prendersi cura di lei, signora, in questo modo allontana un po’ anche i pensieri malinconici”, aggiunse Livia.
“Sì, però la nostalgia è tanta ed è difficile accettare quello che è successo…”.
Livia conosceva qualcosa della sua storia, non molto, in verità, solo qualche breve riferimento emerso durante le loro conversazioni. Margherita era una donna sulla sessantina, semplice nel modo di vestire ma non trascurata, non l’aveva mai vista truccata, non rinunciava tuttavia a un po’ di rossetto sulle labbra. Doveva essere stata una bella donna, e lo era ancora, nonostante il suo atteggiamento un po’ rassegnato, malinconico. Si illuminava invece accanto alla sua cagnolina, alla quale si dedicava totalmente. Aveva due figli, ma ormai adulti e con famiglia, che vivevano fuori, tutto il suo tempo libero era perciò per la sua adorata Ambra.
“…quello che è successo”, aveva detto, ma Livia non sapeva che cosa in realtà fosse accaduto.
La signor Margherita glielo raccontò in breve.
“E’ stato un attimo, signora, stava bene, poi, in pochi istanti se n’è andato, lasciandomi soltanto un sorriso, il suo ultimo saluto.”
Livia non sapeva proprio che dire, non era preparata a confidenze così dolorose. Oltretutto non c’era tra loro una frequentazione assidua, per cui si meravigliò molto che la signora gliene avesse parlato. Avrebbe voluta aiutarla, trovare le parole giuste in quel momento, poche ma sincere. Non amava la retorica, le cose dette tanto per dire o per uscire da una situazione non semplice. Disse quello che pensava in quel preciso istante.
“Signora Margherita, non mi riesce di dirle niente che possa esserle di aiuto, non voglio banalizzare questa sua difficile esperienza con parole che sarebbero comunque inappropriate, vorrei solo abbracciarla, posso farlo?”
La signora la guardò con uno sguardo lungo, riconoscente, troppo abituata ormai alle tante parole vuote, di cortesia e, quando andava bene, di pietà, che si esaurivano nel giro di pochi istanti, giusto il tempo di un frettoloso incontro per strada.
“Certo che può, Livia, il suo abbraccio vale molto di più delle innumerevoli parole di circostanza, tutte quelle che mi è capitato di sentire in questi lunghi sei anni, giusto quelli della mia Ambra”, disse infatti, guardando la cagnetta che la osservava adorante. Poi aggiunse: “Che altro posso fare ormai se non dedicarmi a lei, ho quasi sessant’anni, i figli sono lontani, non ho nipoti…”.
Livia l’abbracciò comprensiva, come può fare una sorella o un’amica molto cara, poi le disse:
“Mi scusi, se mi permetto, spero di non sembrarle invadente, certamente non si può dimenticare mai un marito o un compagno che è stato al nostro fianco per anni, col quale si sono condivisi i momenti più importanti, ma lei magari dovrebbe uscire un po’ di più, incominciare a frequentare amiche e nuovi amici, dedicarsi ad interessi che le riempiano la vita, che la gratifichino, mai dare nulla per scontato, è vero che la vita ci ruba tanto, ma qualche volta ci fa anche dei regali preziosi. Noi donne forse dovremmo incominciare a volerci più bene, iniziando dalle piccole cose e lasciando spazi aperti anche ad altre possibilità.”.
Poi aggiunse quasi pentita: ” Mi scusi, il dispiacere per ciò che mi ha confidato mi ha spinto forse troppo avanti, mi sono permessa di parlarle come potrei fare con una sorella, davvero mi perdoni”.
La signora stette un istante in silenzio, poi disse:
“Lei, Livia, non deve scusarsi, sono io che la ringrazio per la spontaneità e la sincerità con la quale mi ha parlato, ampliando il mio sguardo su cose che finora avevo considerato ormai chiuse, fuori dalla mia vita odierna. In tutti questi anni ho solo pensato di vivere, di dover vivere esclusivamente nel ricordo di mio marito, della nostra vita insieme, una vita lunga, perché ci siamo incontrati quando eravamo due ragazzini. In questo momento, dopo aver parlato con lei, mi chiedo se davvero anche lui vorrebbe che io continuassi a vivere in questo modo, chiusa in me stessa, lasciando che la vita vada avanti così, spegnendomi ogni giorno un poco. Credo di trovare in me la sua risposta. Grazie dunque, spero di rivederla presto. Un’ultima cosa, posso darle del tu, possiamo darci del tu? Mi piacerebbe poterla considerare mia amica, non solo una buona conoscente.”
Livia, molto sorpresa, disse semplicemente: “Ne sarei felice, grazie, al prossimo incontro allora!”.

Passò novembre, si avvicinava il Natale, stranamente Livia non aveva più incontrato Margherita, inizialmente non vi aveva pensato coinvolta com’era nei suoi impegni quotidiani, poi improvvisamente si ricordò di non averla vista ormai da parecchio tempo, e si meravigliò. Avrebbe voluto telefonarle ma si rese conto che, dopo la lunga e confidenziale conversazione degli ultimi giorni di ottobre, nessuna delle due aveva pensato di scambiarsi il numero di telefono. Pensò però che presto si sarebbero incontrate nel piccolo parco vicino.
Fu invece qualche giorno dopo che, in giro per negozi alla ricerca di doni natalizi, si trovarono inaspettatamente l’una di fronte all’altra in pieno centro cittadino. E fu con grande gioia che Livia notò subito l’evidente trasformazione della sua amica. La guardò per un istante stupefatta, sembrava ringiovanita di parecchi anni, indossava abiti sobri ma eleganti, notò persino un leggero filo di trucco sugli occhi, oltre all’immancabile rossetto. I capelli, quasi sempre raccolti, ricadevano ora liberi ai lati del viso. Era la stessa Margherita che conosceva?
Prima ancora di parlarle l’abbracciò contenta, poi le chiese come mai da qualche tempo non si erano più incontrate. Margherita le spiegò che con un gruppo di amici era stata in vacanza in montagna, aggiungendo che si era trattato di una bellissima esperienza.
Livia, sempre più sorpresa, pensò che fino a poco tempo prima mai le era capitato di parlare con lei di viaggi, tantomeno di vacanze in montagna, ma solo di mare, di lunghe giornate trascorse sulla spiaggia. Disse solo: “Felice di vederti felice, non sapevo che amassi la montagna!”.
Margherita rise di gusto nel dire:” Non lo sapevo neppure io, l’ho scoperto decidendo, da un giorno all’altro, di fare un viaggio, e siccome sono praticamente sola ho optato per un viaggio organizzato. Così ho conosciuto diverse persone, sono stata molto bene, e al rientro, con alcune di loro ho stretto rapporti di vera amicizia. Ehi, non guardarmi così!  Lo so, non uscivo quasi mai, me ne stavo rintanata in casa, chiusa al mondo e a tutto ciò che mi circondava, non avevo amici, in realtà perchè non ne volevo, non avevo capito l’importanza di stare con gli altri, l’avevo dimenticato, perché con Fabio, mio marito, amici ne avevamo diversi, eccome, poi…” . Si interruppe per qualche istante, quindi aggiunse:” Forse tu non te ne sei neppure resa conto, ma quella sera, nel parco, ricordi, c’era tanto silenzio e tanto buio, lo stesso buio e lo stesso silenzio che per anni mi hanno fatto compagnia, poi…le tue parole, dette con semplicità e amicizia, e tanta discrezione. Benedette quelle tue parole, erano quelle giuste in quel momento, in pochi istanti mi hai aperto una finestra sul mondo, mi hai fatto capire che non sempre tutto è finito, che ognuno di noi ha ancora diverse possibilità, e che non bisogna sprecarle, lasciarle andare. Io credo che anche mio marito sarebbe felice vedendo me felice. Voglio ricominciare a vivere, voglio rubare anch’io alla vita i miei momenti di serenità. Davvero grazie, Livia”.
Non c’era molto da aggiungere, Margherita, come un fiume in piena, aveva già detto tutto. Livia la salutò abbracciandola e dicendole: “Allora, ai tuoi nuovi amici, con i quali, immagino,organizzerai nuovi viaggi, escursioni e tanto altro, vuoi aggiungere anche me? Sappi che in queste cose io non mi tiro mai indietro!”.
Si salutarono scambiandosi i numeri di telefono.
“Ed ora dedichiamoci al Natale”, pensò Livia andando via, “ai doni per gli amici, agli addobbi per il nuovo albero, all’acquisto di qualche nuova statuina per il presepe, e a qualche buona idea per la cena della vigilia. Benedetto il Natale, che porta sempre delle buone nuove. Viva Margherita e la sua nuova vita!”
Si sentiva felice per sè e la sua famiglia, ma forse ancora di più per l’amica che aveva capito quanto sia importante volersi bene.

Piera M. Chessa

Dalla raccolta inedita “Sguardi di donne”.

Ricordando Pino

 

L’abbiamo saputo per caso stamattina, mio marito ed io, e siamo rimasti senza parole. Pino se n’è andato il mese scorso, nei primi giorni di questo ottobre quasi estivo, ma noi non lo sapevamo e ci dispiace profondamente non averlo potuto salutare.
Il suo nome era Giuseppe, ma tutti lo conoscevamo come Pino. Era un insegnante di matematica, stimato dai colleghi, nove anni fa era andato in pensione e aveva deciso di dedicare buona parte del suo tempo libero al volontariato.  E non stupisce questa sua scelta conoscendolo, sia pure poco.
Pino era una persona amabile, con un carattere riservato ma nello stesso tempo aperto verso gli altri, sempre disponibile. Non ho avuto modo di parlare a lungo con lui, e neppure tanto spesso, però mi colpiva il suo atteggiamento mite e pacato, il suo modo di fare garbato e sorridente.
Era un bell’uomo, Pino, abbastanza alto, con gli occhi chiari nascosti dietro le lenti, aveva un aspetto distinto, quasi da signore di altri tempi. Parlava piano e sapeva ascoltare, non avrebbe mai interrotto nessuno mentre parlava, pregio oggi abbastanza raro.
Aveva una fede profonda, che però non ostentava mai, e credo che da quella fede siano scaturiti i suoi valori più autentici, la sua coerenza.
Mi dispiace e mi fa male parlare di lui al passato, ricordo che, appena andato in pensione, si era ammalato e aveva dovuto subire un intervento non semplice, sono trascorsi diversi anni da allora, non so quale sia stato il motivo della sua partenza, e neppure se in qualche modo sia collegato a quel lontano intervento, so però che in noi che lo conoscevamo ha lasciato tristezza e dispiacere.
Voglio ricordare un episodio risalente a diversi anni fa.
Un giorno lo abbiamo incontrato mentre passeggiava con sua moglie, e ci siamo fermati a chiacchierare un po’, lui e mio marito, essendo stati colleghi per tanto tempo, hanno incominciato a ricordare alcuni momenti vissuti insieme a scuola, raccontando aneddoti e piccole curiosità, sua moglie ed io li ascoltavamo incuriositi.
Nel salutarci, il suo sorriso e il suo sguardo mite mi avevano accompagnato.
Queste sue caratteristiche da oggi rimarranno impresse nel mio ricordo.
Ciao, Pino, un caro saluto a te.

Piera M. Chessa

L’autunno

 

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Mi è apparso davanti
così, all’improvviso,
in quel preciso istante
in cui mi sono distratta.

Era lì l’autunno
di quest’anno quasi trascorso,
era lì a rasserenarmi
con magnifici caldi colori.

Il verde il giallo il rosso
si alternavano
intrecciandosi e abbracciandosi
come amanti.

Erano lì a ricordarmi
la bellezza della vita
nonostante la fatica
e il disincanto.

E fu allora
che il mio cuore,
fino a quel momento contratto,
si lasciò lentamente andare
aprendosi allo stupore
che non inganna mai.

Piera M. Chessa