Lo scorso mese di febbraio sono andata a visitare il nuraghe Losa, uno dei più grandi e meglio conservati tra gli oltre settemila nuraghi che popolano la Sardegna. Di molti di loro rimane poco, ma ce ne sono alcuni che meritano di essere visitati, uno di questi è il Losa, situato nel territorio di Abbasanta.
Quando arriviamo, il verde dei campi e l’azzurro del cielo ci avvolgono per un lungo momento mentre rimaniamo in silenzio a guardare il nuraghe, quello stesso silenzio che ci accompagnerà poi per tutta la durata della visita.
Quanto ordine in quei grossi blocchi di basalto così disordinati ad un primo sguardo! Entriamo poi nel nuraghe lasciandoci avvolgere dalle sue pareti di pietra, pronti ad ascoltare più che a parlare.Talvolta ci ritroviamo nella penombra, altre volte quasi al buio, la luce per lo più penetra soltanto dalle feritoie, spazi lasciati volutamente aperti dai nostri antichissimi antenati.
Arriviamo in tarda mattinata, per questo motivo le persone presenti non sono numerose. Incontriamo alcune turiste, probabilmente inglesi o tedesche. Le osservo, guardano ovunque con attenzione e meraviglia, tengono tra le mani delle guide e ogni tanto si fermano per documentarsi o chiarire qualche dubbio. I nostri sguardi si incrociano per un istante, poi una di loro mi dice in un italiano abbastanza approssimativo ma chiaro: ” Bello, davvero bello, molto interessante!” Ci scambiamo un sorriso prima di riprendere ognuno il proprio percorso.
Ad un certo punto incontriamo una guida che accompagna un piccolo gruppo di turisti isolani, ci uniamo a loro per un po’ per poi proseguire la visita da soli.
E’ un alternarsi di chiaroscuri, le ombre all’interno si proiettano sui muri, le alte pareti di basalto, a tratti il cielo, invadente ma gradevole, penetra dall’alto con la sua luce.
Percorriamo diversi corridoi, in alcuni è cresciuta la vegetazione, il tutto rende l’ambiente particolarmente suggestivo. Anche nelle stanze, tra i grossi blocchi di pietra, con la pioggia è cresciuta l’erba.
E’ bello vedere, attraverso le feritoie, piccole parti dell’ambiente esterno, continua il gioco dei contrasti, la luce, il verde e il colore del basalto.
Percorriamo poi una scala interna, non sempre agevole, che porta verso l’alto, in cima al nuraghe. Bello vedere il cielo in tutta la sua ampiezza, attraversato soltanto da qualche nuvola.
Dall’alto ci affacciamo a guardare i campi tutt’intorno, siamo in febbraio ma oggi la primavera sembra alle porte. Ovunque, cielo, verde e rocce.
Torniamo giù ripercorrendo la scala in discesa, ora è necessario prestare una maggiore attenzione.
Usciamo all’aperto, affianchiamo dall’esterno il grande bastione, lo percorriamo lungo tutto il perimetro.
E’ arrivato il momento di andare via.
Quanti misteri nascondono i nuraghi, quante domande che ancora non hanno avuto risposte. Eppure gli studi fatti sono tanti e approfonditi, numerosi gli scavi, i musei ricchi di reperti e di storia. Sappiamo che i nuragici erano dei guerrieri, senz’altro degli esperti marinai, lo confermano le sculture in bronzo rinvenute in più siti, erano anche abili nella preparazione di manufatti di ogni genere, ma quante cose ancora non sappiamo, sulle quali perlomeno ci sono pareri discordi.
Chissà, forse un giorno, vicino o lontano, i nostri progenitori ci sveleranno tutto, risponderanno ai nostri quesiti e scioglieranno ogni dubbio sulla loro misteriosa civiltà.
Con questo desiderio lasciamo il sito archeologico. Un ultimo sguardo al Losa, prima di allontanarci.
Piera M. Chessa