Archivio | luglio 2019

Sul treno

 

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Foto da web

Era un giorno di marzo, molto vicino all’arrivo della primavera, e in realtà tutto sembrava anticipare i bei giorni a venire. Era stato un inverno piuttosto insolito, un’alternanza di giorni molto freddi con giornate tiepide, che facevano bene al fisico ma anche alla mente.
Ben disposto verso gli altri e verso la natura, quel giorno Carlo, alle otto e mezza del mattino, si era diretto verso la stazione per prendere il treno che da Lucca lo avrebbe portato a Siena, dove si recava per un colloquio di lavoro. Magari fosse andato a buon fine, se lo augurava con tutto se stesso, dopo aver trascorso intere giornate a compilare curriculum da spedire un po’ ovunque!
Aveva dovuto attendere dieci minuti prima che il treno partisse, ma era certo che avrebbe recuperato lungo il percorso.
Si sedette in uno scompartimento già occupato da due ragazzi e da una coppia di mezza età. A quell’ora del mattino bisognava avere pazienza, era già tanto aver trovato un posto libero, così levò un libro da uno zaino, intenzionato a portare avanti una lettura che già da qualche giorno lo coinvolgeva.
Amava moltissimo leggere, e spaziava da un genere all’altro senza difficoltà, romanzi storici, noir, biografie e autobiografie, saggi, racconti, senza tralasciare neppure la poesia. Tutto lo interessava, a tal punto da trascurare persino i pasti pur di concludere velocemente una storia avvincente.

Quella mattina era dunque così motivato da non accorgersi che i due ragazzi seduti di fronte a lui lo guardavano con un atteggiamento piuttosto arrogante, pur senza dire nulla. Fu durante una breve interruzione che, sollevando gli occhi dal libro, li notò. Non se ne occupò minimamente e riprese a leggere.
A quel puntò qualcosa scattò nella mente dei due ragazzini. Erano giovanissimi, ma incredibilmente agguerriti. Fu forse l’atteggiamento tranquillo ed educato di Carlo, o forse la noia dell’attesa, chi lo sa, sta di fatto che in un attimo incominciarono a infastidirlo con frasi inopportune.
Inizialmente Carlo fece finta di niente, proseguendo la sua lettura e cercando di ignorarne il comportamento. Ma loro continuavano, imperterriti e sempre più aggressivi, a formulare delle frasi ancora più esplicite e chiaramente omofobe.

I due signori seduti accanto mostravano la più totale indifferenza, mentre Carlo, interrompendo a quel punto la lettura, cercava di far capire ai ragazzini, con gentilezza ma anche con determinazione, che forse era il caso di smetterla.
Fu allora che uno dei due, ancora più irritato e infastidito, sbottò dicendo:” Se non la smetti di darti tutte queste arie, ma chi pensi di essere, ti spiego meglio chi sono io!”
Nel frattempo, l’uomo e la donna seduti nello scompartimento continuavano a tacere come se nulla stesse avvenendo. Non una parola, non un gesto.
Carlo non sapeva proprio che cosa fare nè che cosa dire, lui che desiderava semplicemente essere rispettato.
In quel momento, voltandosi per puro caso verso il corridoio, vide una ragazza che si era avvicinata per un istante allo scompartimento, a lei bastò poco per capire quello che stava accadendo, ma non entrò. Carlo si sentì ancora più isolato, gli sembrava tutto così assurdo! Solo più tardi capì le sue vere intenzioni.

Passarono solo pochi istanti prima che arrivasse il capotreno. Chiese che cosa stesse succedendo, ascoltò con attenzione come si erano svolti i fatti e poi prese la sua decisione. Quella giusta, quella che avrebbe messo la parola fine a un comportamento disgustoso.
Senza dire una parola indicò la porta ai due ragazzini, che lo guardarono sconcertati, poi disse loro di uscire dallo scompartimento e di scendere dal treno subito dopo, alla prima fermata .
Quando, protestando, loro dissero che sarebbero dovuti scendere non in quel momento ma alla fermata successiva, il capotreno, cercando di controllare la propria indignazione, rispose con fermezza:” Io non voglio sul treno persone maleducate e con una zucca vuota come la vostra, gente che non sa stare al mondo e che non conosce il rispetto per gli altri, scendete all’istante!”
I due ragazzi a quel punto persero tutta la loro baldanza e uscirono dallo scompartimento, fermandosi nel corridoio.
Carlo, finalmente rilassato, pochi minuti dopo, attraverso il finestrino diede un ultimo sguardo a quei due ragazzi sbandati e arroganti che, come prima aveva detto il capotreno nel momento in cui scendevano, non sapevano che cosa fare della loro vita e avevano perciò tanto tempo da perdere.

Lui due cose soltanto in quel momento voleva fare, ringraziare la ragazza che aveva capito al volo la situazione in cui si era trovato, e poi manifestare la sua stima al capotreno, che aveva fatto esattamente ciò che doveva fare, ma che in un Paese come il suo non era affatto scontato.

Dalla raccolta “Sguardi di donne”

Tilde

 

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Fu una bella estate quella in cui Germana e Luca decisero di trascorrere le loro due consuete settimane di ferie in Alto Adige. Quell’anno erano molto stanchi, per entrambi il lavoro in ufficio era stato piuttosto faticoso, avevano atteso con impazienza il mese di luglio, per poter finalmente partire in vacanza lasciandosi alle spalle i problemi di ogni giorno.
Scelsero come meta la Val Pusteria seguendo i consigli di alcuni amici che vi erano già stati. Prenotarono l’albergo a Moso, a pochi chilometri da Sesto, uno dei centri più importanti della valle. Da lì si sarebbero spostati in varie località, non così distanti tuttavia da non poter rientrare in giornata. Portarono con loro Ulisse, un meticcio preso in un canile qualche anno prima. Una scelta fatta di comune accordo e con lo stesso intento, quello di dare una casa a un animale sfortunato, spesso abbandonato.
Quel primo giorno arrivarono a Moso in serata, venne loro incontro la titolare del piccolo albergo che, precedendoli nei corridoi, li accompagnò nella camera e consegnò loro le chiavi. Prima di andar via disse, in modo garbato ma che non ammetteva repliche, che al mattino la colazione sarebbe stata servita dalle sette alle nove, e si chiedeva di non andare oltre l’orario stabilito. Per quanto riguardava la presenza del cane, come già concordato al telefono, non ci sarebbe stato assolutamente nessun problema.
Dopo qualche anno, parlando con amici, avrebbero ricordato molto volentieri quella vacanza incominciata in un modo un po’ inconsueto.
La signora Tilde, questo era il suo nome, non fece inizialmente una buona impressione nè a Germana nè a Luca. Già quel primo giorno, forse anche a causa della stanchezza dovuta al viaggio, il suo atteggiamento li lasciò per un attimo sconcertati.
Era una donna sui cinquant’anni, bella ma dai lineamenti duri, neppure gli occhi e i capelli chiari addolcivano il suo sguardo, che rimaneva severo. Indossava abiti sobri, quasi fuori moda, e camminava con un passo cadenzato che si avvertiva talvolta anche da lontano. Gestiva l’albergo praticamente da sola, coadiuvata soltanto da alcune inservienti.
Eppure qualcosa in lei, col passare dei giorni, suscitò in Germana e in Luca, se non proprio simpatia, il desiderio di conoscerla meglio, prima di esprimere dei giudizi definitivi.
Quella sera, dopo aver portato i bagagli in camera e aver fatto una bella doccia rinfrescante, andarono alla ricerca di una pizzeria, e curiosamente fu la stessa signora a dare loro alcune indicazioni. Intendevano cenare velocemente e andare subito a riposare. Il giorno successivo avrebbero organizzato, sia pure con una certa elasticità, la loro vacanza.

L’indomani mattina, alle otto, scesero per la colazione. Trovarono la signora Tilde ad accoglierli. In un italiano approssimativo augurò loro una buona giornata, indicando con la mano ciò che l’albergo offriva per la colazione. Vi era di tutto, esposto su ampi tavoli con gusto e varietà. Li lasciò dicendo loro, col suo tono un po’ ruvido:” Tutto ciò che vedete è stato preparato da me, servitevi in abbondanza”. Poi si avvicinò a un altro tavolo dove aveva già preso posto una giovane coppia con un bambino. Germana e Luca si guardarono piuttosto sconcertati. Davanti a loro, in perfetto ordine, stavano allineati diversi tipi di yogurt alla frutta, crostate e torte che, al solo guardarle, veniva l’acquolina in bocca, biscotti, anch’essi della casa, come pure le bibite, e le confetture di marmellate preparate con svariati generi di frutta. Ma ciò che li lasciò sbalorditi fu l’aver precisato che potevano servirsi con generosità. Qualcosa che nei loro precedenti viaggi, pur trovandosi in genere bene negli alberghi, non era mai accaduto. Una generosità che contrastava con l’atteggiamento della signora.

Trascorsero alcuni giorni. La loro camera era sempre perfetta, ordinata, pulita in modo quasi maniacale. L’atteggiamento rimaneva sempre molto riservato, e furono poche le parole scambiate.
Tuttavia incominciarono a capire qualcosa di lei dalle conversazioni con i gestori del ristorante e della pizzeria, che ebbero modo di frequentare in quei giorni di vacanza. Si trattava di servizi pubblici a conduzione familiare, piccoli, caratteristiche che permettevano di instaurare con i proprietari rapporti più amichevoli. Fu così che Germana e Luca si ritrovarono a parlare con loro della signora, soprattutto con il gestore della pizzeria, particolarmente loquace.
Un giorno il pizzaiolo, in un momento di pausa, chiese dove alloggiassero, e quando lo venne a sapere disse, con una certa enfasi:
“Ah, la Tilde, una brava donna, ci conosciamo da ragazzi, sono di qualche anno più grande di lei, io i cinquanta li ho appena compiuti. L’ho persino corteggiata, tanti anni fa, ma lei niente, non guardava in faccia nessuno, come i suoi genitori, solo casa e lavoro! Sono stati troppo severi e ansiosi, un’unica figlia, avevano paura di tutto! Penso che lei sia così per questi motivi, e pensare che la sposerei ancora oggi!”
Fece una pausa, poi proseguì, come se si conoscessero da tempo: ” E poi è bravissima in cucina, ha delle mani d’oro, passa le sue giornate a preparare degli ottimi dolci, nessuna donna è capace come lei! E trova il tempo anche per fare altre cose, quante buone marmellate sa preparare! Per non parlare del suo frutteto, che è piccolo, però lo cura meglio di un uomo. Io non sono un maschilista, devo riconoscere che è molto più brava di noi anche in queste cose… E c’è un’altra cosa che in Tilde mi è sempre piaciuta, ama gli animali come se fossero delle persone, anzi, li ama più delle persone, con loro va proprio d’accordo, si capiscono al volo. Ora ha un cane e un gatto, ma ci sono stati dei periodi in cui gli animali erano i veri padroni della casa. Non ha potuto tenerli più dal giorno in cui alcuni turisti, giustamente, si sono lamentati. I due che ora le fanno compagnia stanno nel giardino, hanno le loro cucce, i loro spazi, e tutto il tempo libero lei lo trascorre con loro, solo per il lavoro ha rinunciato agli altri…”
Germana e Luca, per tutto quel tempo, lo avevano ascoltato in silenzio, quel che aveva detto era stata un’autentica sorpresa, la scoperta di una donna molto diversa da quella che loro conoscevano, molto poco, in realtà. Capirono che dietro la sua corazza vi era un intero mondo, e probabilmente anche non poca sofferenza.
Rimasero ugualmente sorpresi dal comportamento del pizzaiolo, si era mostrato sempre amabile, ma in questo suo fiume di parole avevano capito che vi era dell’altro, qualcosa che teneva per sè da tempo e di cui forse non aveva mai parlato. Era stato più facile probabilmente per lui parlare con due estranei piuttosto che con la gente del luogo, i turisti dopo un po’ vanno via, magari scordano velocemente le confidenze di un momento, ma i conoscenti no; si sa, avviene dappertutto, nei piccoli centri si parla molto, spesso a sproposito, così pensava Germana, mentre si allontanavano, dopo averlo salutato.

I giorni scorrevano fin troppo veloci, al mattino facevano colazione molto presto, subito dopo lasciavano l’albergo pronti a rubare ad ogni ora della giornata tutto ciò che era possibile. Si spostavano fin dove il tempo a disposizione lo permetteva, non volevano fare grandi cose, desideravano riposarsi e, nello stesso tempo, godere di tutto ciò che trovavano sulla loro strada. Piccole e grandi valli furono le loro mete, apprezzavano la bellezza dei minuscoli borghi, le escursioni per sentieri, le atmosfere delle tante chiesette di montagna, la potenza delle cime sopra di loro, gli infiniti pascoli di cui si riempivano gli occhi.
E Ulisse, il loro cane, li seguiva beato, libero finalmente, lui che in città doveva stare al guinzaglio, sebbene avesse un temperamento mite. E correva in quel verde sconfinato, pur tenendo sempre sott’occhio i suoi padroni.
La sera rientravano in albergo esausti, ma soddisfatti come poche volte era loro capitato.
Nel frattempo qualcosa era cambiato anche nel rapporto con Tilde, come tra di loro chiamavano ora la signora.
Ciò che aveva detto il pizzaiolo non era stato dimenticato da nessuno dei due, era stato motivo di riflessione, ne avevano parlato a lungo, soprattutto quand’erano fuori, quando si sentivano liberi, era stata in qualche modo una lezione, inusuale senz’altro, ma pur sempre una lezione.
E la stessa Tilde sembrava avvertire questo cambiamento, che la costringeva a porsi diversamente. Sempre riservata, sempre di poche parole, appariva tuttavia più aperta.
Un giorno chiese, subito dopo la colazione:
“Come procedono le vostre vacanze, che dite delle nostre valli?”
Germana, sorpresa, aveva risposto:” Avete dei luoghi da favola, avevano ragione gli amici che ci hanno indirizzato qui! Questa valle, ma anche quelle vicine, sono splendide. Bellissimi i paesi di San Candido e Dobbiaco. Ci sono piaciute tanto anche Brunico, Bressanone, Vipiteno, abbiamo visitato l’abbazia di Novacella, meravigliosa con i suoi colori pastello… Abbiamo potuto ammirare anche le tre cime di Lavaredo, la loro bellezza non si può raccontare…
Ed era tutto vero, le sue parole erano assolutamente sincere.
Anche in un’altra occasione la signora aveva messo da parte la sua riservatezza quando, in una giornata piuttosto calda, vedendo Ulisse un po’ sofferente, aveva detto:
“Forse il vostro cane ha bisogno di bere, mi sembra un po’ provato, perdonatemi se mi intrometto…” E senza aspettare una risposta, era andata a prendere una ciotola colma d’acqua.
Germana e Luca, anche un po’ imbarazzati per la disattenzione, l’avevano ringraziata. ricordando il suo affetto per gli animali.

Nel frattempo i giorni di vacanza si andavano accorciando sempre di più, finchè arrivò il momento della partenza.
Fu difficile lasciare Moso, Sesto, l’intera val Pusteria, la piccola meravigliosa val Fiscalina, e sarebbe stato difficile dimenticare la bellezza delle montagne, dei laghi, dei castelli, dei borghi e delle città. Avevano visto tante cose, di altre ne avevano sentito soltanto parlare, si erano riproposti di ritornare, ed erano certi che lo avrebbero fatto. Avevano acquistato dei libri, scattato tantissime fotografie, ma soprattutto avevano fatto proprie le atmosfere, le suggestioni di quei luoghi, un patrimonio che intendevano conservare nella propria mente. Avrebbero parlato a lungo di questa vacanza con gli amici più cari.
Prima di andar via, dopo aver saldato il conto, si fermarono un poco a parlare con la signora Tilde.
Le dissero che era stato bello averla conosciuta, e che avevano trascorso nel suo albergo delle belle giornate. Era tutto vero, nessuna bugia diplomatica.
Certamente quella prima sera, quando arrivarono a Moso e la incontrarono per la prima volta, mai avrebbero pensato che andando via avrebbero provato persino un sottile dispiacere.
Si salutarono augurandosi reciprocamente di rivedersi.

(Dalla raccolta “Sguardi di donne”)

Gli “allineamenti” di Carnac

 

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Tanti anni fa, esattamente nell’estate del 2005, feci un bel viaggio in Francia, e in quella circostanza visitai anche la Bretagna. Non vi ero mai stata.
Avevo sentito parlare degli “allineamenti” di Carnac, dei suoi menhir  e dei dolmen, ma vederli lì, a due passi da me, è stata un’esperienza molto interessante.

E la loro straordinarietà sta nel fatto che sono appunto allineati, e sono veramente tanti, occupano infatti diversi siti in uno spazio di quattro chilometri.
Ricordo che era il tardo pomeriggio, non vi era quasi nessuno, ed è stato bello perché, in quel silenzio, si respirava un’aria particolare. Essere lì, a tu per tu con la terra, davanti e in mezzo ad una quantità incredibile di menhir, pietre straordinarie, ricche di storia, provenienti da tempi così lontani e sconosciuti. Quante cose avrebbero potuto dirci se solo avessero avuto il dono della parola! Ci avrebbero raccontato la loro origine, quali popoli li avessero eretti e collocati lì e non altrove, quale fosse la loro funzione inizialmente, e poi nel corso dei secoli.
Si era in luglio, mi pare, e le giornate erano belle e lunghe, si poteva stare un po’ di più ad ammirare ciò che i nostri occhi vedevano. E poco distante c’era l’oceano, infinito, sembrava quasi di sentire le onde sbattere sugli scogli, e anche il profumo della salsedine. Ma erano i menhir i padroni incontrastati di quel luogo speciale, quei signori di granito che forse per qualcuno sono solo delle pietre, ma che per tanti rappresentano un passato straordinario di cui oggi non sappiamo quasi niente di preciso. E allora a noi, se veramente amiamo questa nostra terra, non rimane altro da fare che cercare di capire, non con supponenza ma con umiltà, com’era questo passato, e che cosa ancora rappresenta per noi.

Carnac è un comune francese della Bretagna, ha circa 4500 abitanti ed è situato nel dipartimento del Morbihan. E’ molto conosciuto per il complesso megalitico, situato poco distante dal paese, noto come “gli allineamenti di Carnac”. I menhir, appunto, lunghi blocchi di pietra conficcati nel terreno e disposti in numerose file. Sono monumenti megalitici monolitici, spesso appunto di grandi dimensioni e in pezzi unici.
In Bretagna si ritiene che siano stati eretti nel Neolitico, tra il 4500 e il 2000 a. C., ma a differenza di ciò che talvolta si dice, se si considera il periodo,non sono stati nè i Bretoni nè i Celti a farlo. Il termine, in lingua bretone, significa “pietra lunga”, in lingua italiana, “pietra fissa”. Talvolta si assottigliano verso la punta, e la pietra usata cambia in base al luogo, in Bretagna veniva usato il granito. Non furono eretti tutti nello stesso periodo ma in epoche diverse.
Possono essere isolati, oppure disposti in fila, come a Carnac, ma anche in circolo. Possono essere monumenti di pochi metri, ma anche raggiungere notevoli altezze. Uno soltanto è alto oltre venti metri, ed è considerato, in base alle conoscenze che si hanno, il più grande, il monolite in granito di Locmariaquer, che si trova nel Morbihan.

Molti misteri circondano questi monumenti, e anche parecchie leggende, come succede sempre con tutte le cose di cui si vorrebbe sapere di più. Non si hanno certezze su chi effettivamente li abbia eretti, e neppure su quali funzioni avessero. Quelli isolati, che spesso sono associati ai dolmen, tombe megalitiche preistoriche costituite da un’unica camera, si pensa che servissero per segnalare nei dintorni la presenza di tombe importanti, altri studiosi ritengono che, come i dolmen, fossero dei simulacri dedicati alle divinità o ai defunti. Per quanto riguarda gli “allineamenti” di Carnac, alcuni ritengono che si potesse trattare di luoghi di riunione, ma anche di vie considerate sacre. Oppure degli osservatori astronomici.
Ce ne sono in diverse parti nel mondo, nel nostro continente certamente in Francia, in Gran Bretagna, superfluo naturalmente citare Stonehenge, un sito conosciutissimo, e in Germania.
Anche l’Italia ha i suoi menhir, sono presenti, in particolare, in Puglia e in Sardegna.
Da sarda devo dire che li conosco abbastanza bene, nell’Isola pare che ce ne siano all’incirca settecentoquaranta, il loro nome è “perdas fittas” , ma anche “pedras fittas”, a seconda del luogo in cui si trovano, che significa “pietre conficcate”, e ci sono anche dei dolmen molto interessanti.

Di seguito, alcune foto scattate a Carnac, poco chiare, ormai datate, ma che desidero condividere.

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Le notizie sono state reperite sul web

Piera M. Chessa

 

 

Le parole, di Giovanna Giordani

 

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Quando ho letto per la prima volta questi versi, che trovo veramente belli, sono rimasta “senza parole”, per stare in tema con l’argomento. Così ho chiesto a Giovanna Giordani se potevo postare la sua  poesia da me.
Giovanna, poetessa trentina, è stata, per tanti anni, prima di tutto un’amica “virtuale”, poi, finalmente, è diventata una carissima amica reale. Ci siamo incontrate una prima volta, e da allora continuiamo a farlo condividendo delle interessantissime esperienze.
Ecco le “sue” parole.

 

…E allora
vado in cerca di parole
perché questo silenzio
è un campo
lasciato all’abbandono
Le vedo
cavalcare da lontano
velate da polvere lucente
e m’affretto a calare
i ponti levatoi
della mia mente
che le accoglie
festante.

C’è sempre una musica
presente
nelle ospitali stanze
che scioglie i passi
in danze
e mentre le osservo
avvinte volteggiare
invoco un dio gioioso
perché questo rondò
non smetta
di suonare.

Giovanna Giordani