
Marta, quella mattina, come tutte le mattine, entrò nella stanza di sua madre silenziosamente, come ormai faceva da anni. Non voleva svegliarla, dal momento che, finalmente, dopo una notte di insonnia quasi totale, si era addormentata. Avevano combattuto insieme in quelle ore di buio, come tante altre volte, Antonella con i suoi fantasmi, e lei nel cercare di tenerli lontani da quella mamma amata.
Diversi anni di vita in comune, da quando Marta, per via di un rapporto complicato, si era separata dal marito ed era andata a vivere nella sua casa, dedicandole, in seguito, quasi tutto il suo tempo come se fosse una figlia. E una figlia a tutti gli effetti era diventata Antonella, da quando la sua mente, aveva poco meno di ottant’anni, aveva incominciato a confondersi, a non ricordare più come prima. Da quando il suo carattere, determinato ma molto amabile, si era inasprito, trasformato in qualche modo, acquisendo inizialmente caratteristiche aggressive che mai, fino a quel momento, avevano fatto parte di lei.
Era stata una mamma severa, indubbiamente, ma molto equilibrata, aveva saputo dosare regole e coccole, per questo i figli le avevano voluto così bene. E ora? Ora era in balìa delle ombre, la sua mente confusa alternava brevi momenti di lucidità a ore interminabili di assenza.
Il neurologo aveva parlato subito di morbo di Parkinson, ma probabilmente non aveva previsto che la malattia sarebbe degenerata in brevissimo tempo. Lui stesso ne rimase meravigliato quando la vide, pochi mesi dopo. Contribuì a complicare la situazione anche una caduta dal letto non prevista, e la conseguente frattura di un femore.
Incominciò così, per Marta e la sua mamma, un periodo molto faticoso che le avrebbe provate entrambe, ma che, nello stesso tempo, avrebbe contribuito a rafforzare un rapporto già nutrito da un grande affetto.
A Marta apparve subito chiaro che la sua vita sarebbe cambiata parecchio, che avrebbe dovuto coltivare la pazienza e modificare molte delle sue abitudini. E d’altra parte, che altro poteva fare? Abbandonare sua madre? Certamente no, si sarebbe fatta aiutare indubbiamente, aveva bisogno di qualcuno che potesse anche sostituirla, ma lei sarebbe stata sempre ben presente.
E ora era lì a guardarla, mentre ancora dormiva, sebbene fossero le nove del mattino. Sembrava proprio una bambina!
Pur non essendo stata mai molto robusta, ora appariva in tutta la sua fragilità. Era diventata piccola piccola, un fuscello, diceva spesso Marta, nel parlarne con le tante amiche che venivano a trovarla, un esilissimo giunco che sembrava dovesse spezzarsi da un istante all’altro.
Invece no, Antonella, o meglio, Nella, come spesso era stata chiamata da bambina, dimostrava ogni giorno di non essere poi così fragile. Nonostante tutto il suo corpo reagiva a ogni sorta di intemperie. Si opponeva all’età che avanzava, ai parecchi anni vissuti in un letto, alla malattia devastante che l’aveva colpita. Solo la sua mente aveva ammainato le vele, decidendo di non reagire più. Eppure viveva ancora qualche momento di lucidità.
Erano quelli gli attimi più belli per Marta, quelli in cui “incontrava” sua madre, e poteva sentirsi un po’ meno sola.
Quante volte, guardandola, pensava a ciò che Nella era stata!
Innanzitutto, una brava moglie, suo marito Paolo, che ora purtroppo non c’era più, l’aveva amata molto, a tal punto da ricordare che, quando erano giovani, gli piaceva chiamarla Bambola. Proprio così, non Nella, ma Bambola, come se fosse il suo nome proprio.
Era stata una bella donna, Nella, capelli neri e ondulati, occhi nocciola, che alla luce evidenziavano delle pagliuzze dorate, il naso un tantino pronunciato, ma non esageratamente grande, e un sorriso che disarmava. Ma forse la cosa più bella che aveva avuto erano le gambe. Perfette, diceva Paolo. E detto da lui nessuno osava metterlo in dubbio. Ma Marta, sì, le ricordava, eccome, le gambe di sua madre. E gliele invidiava un poco, perché sapeva di non averle del tutto ereditate. Certamente non erano così perfette.
E poi Nella aveva un bel carattere, lo dicevano tutti, parenti e amici. Quando i suoi genitori erano giovani, di amici ne avevano tanti, e spesso li venivano a trovare. Allora sì, si faceva baldoria! Quanti pranzi aveva organizzato sua madre, coadiuvata dal babbo, se la cavava molto bene anche lui in cucina, lo ricordava Marta, e tante volte si erano sfidati amichevolmente, soprattutto quando avevano ospiti, per il pranzo o per la cena. E gli amici a dire la loro sulle qualità dell’una o dell’altro.
Ma non era stata soltanto un’ottima cuoca, era una donna brillante, un’affabulatrice, sapeva farsi ascoltare, ma nello stesso tempo lasciava spazio agli altri e aveva la rara dote di non interrompere nessuno.
Era stata anche una brava madre, Marta e suo fratello, che purtroppo viveva fuori, lo avevano sempre riconosciuto. Ferma nelle decisioni ma molto affettuosa.
E come nonna? Ai suoi nipoti aveva dispensato una quantità infinità di coccole, per non parlare dei dolci che aveva preparato per i loro compleanni, durante le festività, e spesso anche quando non c’era proprio nulla da festeggiare, semplicemente per il piacere di stare insieme.
Ora era lì, coperta da un semplice lenzuolo, era estate e faceva tanto caldo, spuntava solo la testa da quel letto che appariva così grande e dove lei si perdeva.
Mentre la osservava con affetto e rimpianto per ciò che non era più, Marta vide che Nella aveva gli occhi aperti e sembrava guardarla. Nel lungo momento in cui aveva dato spazio ai ricordi, sua madre si era svegliata, senza che lei se ne fosse resa conto.
Chissà da quanto tempo la guardava! Perché ora era proprio chiaro, lo sguardo di Nella in quell’istante non era assente. Si mosse un poco, cercando di girarsi su un fianco, e Marta la assecondò aiutandola.
Per un istante i loro visi furono vicinissimi, lei guardò dentro gli occhi di sua madre, si perse in quel nocciola dorato che conosceva così bene, e in quello sguardo per qualche attimo lucido e presente. Percepì il faticoso movimento della sua mano che si allungava e si liberava del lenzuolo, e poi sentì le sue fragili dita fare una maldestra carezza sul suo viso, prima di ricadere sfinite con un impercettibile piccolo tonfo.
Il dono di pochi istanti, ma così intenso che Marta l’avrebbe portato con sè per sempre, ne era certa.
Riuscì a dire semplicemente una parola, grazie, e sperò con tutta se stessa che sua madre potesse sentirla mentre la pronunciava.
La guardò, e le parve di vedere, ai lati della bocca, l’accenno di un sorriso.
Dalla raccolta “Sguardi di donne”
P.M.C.