Archivio | dicembre 2019

Una visita mattutina

 

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foto da web

 

Leggeva tranquillamente un libro quel giorno Giorgia, seduta su un divano. Un sabato di relax, dopo una settimana faticosa e densa di avvenimenti non sempre piacevoli.
Quando, il venerdì, aveva lasciato l’ufficio alle sue spalle, si era riproposta di non pensare più neanche per un secondo, nei due giorni successivi, alle numerose e non semplici pratiche alle quali il lunedì, invece, si sarebbe dovuta dedicare con molta attenzione.
” Due giorni tutti per me, non ci sarà spazio per niente altro, se non voglio implodere!”, disse a se stessa con decisione.
Giorgia era infatti una donna decisa, molto determinata al di là del suo comportamento amabile e accogliente, così aperta verso gli altri da organizzare spesso con alcune colleghe alcune attività di beneficenza. Leggeva dunque, quel sabato mattina, un libro già conosciuto e amato fin da ragazza, Il deserto dei tartari, ma che quel giorno, capitatole tra le mani per puro caso mettendo in ordine in una delle sue librerie, sembrò quasi chiamarla. Lo aveva preso, sfogliato, ne aveva guardato la copertina… Lo ricordava ancora molto bene.
Aveva già messo da parte alcuni libri destinati alle sue prossime letture, eppure in quel momento decise di rileggere quel libro e non un altro, dicendosi che certe storie, divorate da giovani, bisognerebbe proprio rileggerle per capirne meglio il significato. Lo aveva fatto più volte senza mai pentirsi, era come leggere un nuovo libro, entrare in una nuova storia.
In realtà sapeva perfettamente che non il racconto ma il suo sguardo sarebbe stato diverso, più maturo e consapevole. E fu proprio mentre si soffermava sulla bravura dell’autore, sulla sua capacità di catturare l’attenzione del lettore, che sentì lo squillo del campanello.
Non aspettava nessuno, in quel momento era sola in casa, piacevolmente in compagnia di se stessa e della sua micia che, quatta quatta, si era già avvicinata alla porta d’ingresso.
Sì alzò di malavoglia e aprì, senza neppure guardare dallo spioncino. Non le piaceva essere diffidente, sebbene suo marito e i suoi figli più volte le avessero detto che, secondo loro, non era una cosa che andava bene, considerando i tempi in cui vivevano.
Era vero, avrebbe dovuto dare loro ragione, eppure questo atteggiamento non riusciva a collocarlo all’interno del suo sguardo sul mondo, soprattutto sulle persone.
Proprio perché i tempi erano quelli che erano, voleva opporsi alla diffusione di tanta diffidenza degli uni verso gli altri. Non era la fede a spingerla in questo senso, aveva uno spirito molto libero, alla ricerca di valori autentici, questo sì, pur scappando da tutto ciò che considerava delle catene. Libertà per se stessa e libertà per gli altri, dunque.
Ma aveva un cuore grande, una naturale empatia verso tutti quelli che riteneva più vulnerabili. Poichè era così anche in ufficio, poteva non esserlo nella sua vita privata? Aprì dunque la porta. Davanti a lei una donna non giovanissima, ma neppure avanti negli anni, forse intorno ai cinquanta. Doveva essere stata una bella ragazza. Era mora di capelli, li aveva lunghi e li portava raccolti sulla nuca, i suoi occhi erano scuri e profondi e la carnagione olivastra. Minuta di statura.
“Buongiorno, signora, mi dispiace, non voglio farle perdere tempo, vorrei soltanto essere ascoltata. Conosco solo un po’ di italiano, mi perdoni…” Fece una pausa, poi riprese:” Sono spagnola, vivevo qui con mio marito, lui guidava un camion, ma c’é stato un incidente quattro mesi fa, e ora non c’é più”.
Giorgia, nel frattempo, cercava con fatica di inserirsi nel discorso, voleva arrivare al dunque, anche perché di lì a poco suo marito e i ragazzi sarebbero rientrati per il pranzo.
Finalmente riuscì a dire:” Signora, non mi disturba, però non ho molto tempo da dedicarle, mi dispiace…”
Sì fermò incrociando uno sguardo che raccontava più di tante parole.
La donna riprese a parlare:” Volevo solo chiederle un aiuto, io devo andare via, tornare in Spagna, che cosa faccio qui da sola? In questi giorni mi aiutano, mi danno da mangiare e anche un letto, ma io voglio ritornare a casa!”
Giorgia la guardò dritta negli occhi, ne aveva viste tante, non era un’ingenua, e non tollerava di essere presa in giro da nessuno. Cercava sempre di dare una mano, ma non transigeva sulla sincerità.
“Mi ascolti, signora,” le disse, “e mi guardi bene, mi dica la verità, mi sta dicendo la verità? Sappia che non sopporto le bugie e che ho modo di parlare direttamente con le persone che in questo periodo le stanno dando una mano, non mi faccia pentire di quello che intendo fare in questo momento.”.
Vide i suoi occhi neri diventare lucidi, non vi era furbizia in quello sguardo. Giorgia si era sempre fidata del suo istinto che raramente l’aveva tradita. Decise di farlo anche stavolta.
“Guardi”, disse la donna, aprendo uno zainetto e mostrandole alcune banconote di piccola taglia, “mi hanno aiutato le signore che mi danno da mangiare, io voglio solo tornare in Spagna. Non so dire tanto in italiano, ma il mio corazòn dice la verità!”
Giorgia prese la sua borsa, aprì il portafoglio e le diede una piccola somma. Lei tese una mano, afferrò la sua e la strinse forte, poi, lasciandola con la bocca spalancata per la sorpresa, si protese in avanti e l’abbracciò.
“Ora vada”, le disse Giorgia, “e buon tutto!”
La donna, prima di andar via, si voltò ancora una volta e sottovoce aggiunse:” Grazie, grazie!”
Giorgia non percepì in lei nessun inganno, volle credere alla sua buona fede, e mai in seguito si pentì di aver compiuto un semplice gesto di solidarietà.

P.M.C.

Alcune poesie di Jolanda Catalano, tratte dalla raccolta “Alternanze”

 

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E’ un mondo ricco quello di Jolanda Catalano, un mondo interiore che si nutre di ricordi, talvolta consolanti, più spesso caratterizzati dalla malinconia. Vi è nostalgia, in lei, rimpianto, eppure ogni stato d’animo, ogni riflessione sul presente, che tuttavia è sempre intrecciato col passato, sono dosati, mediati da uno sguardo che, pur raccontando anche il dolore, sembra tenere tutto sotto controllo. Ma il dolore c’è ed è profondo, talvolta appare in modo più tenue, altre volte in modo più diretto. Bellissime sempre le sue poesie, hanno immagini che non lasciano mai indifferenti.

Nella prima Jolanda ritorna all’infanzia, e pare proprio di vederla bambina mentre gusta profondamente quelle cose che solo il primo periodo della vita può regalare. Nella seconda vi è la consapevolezza di quanto il carnevale sia qualcosa di effimero, una festa che lascia ben poche tracce di sè.
Nella terza ritorna ancora l’estate, ma stavolta il suo sguardo attento non si sofferma sui campi, sulle ginestre, sulle more, ma sul mare, il “suo” mare.
E infine, nell’ultima, la riflessione di una donna sensibile che dalla vita ha imparato il disincanto. E’ una equilibrata presa di coscienza sul proprio modo di essere e di agire, ma anche su quello dei propri simili. Molto belle le immagini che Jolanda ci regala negli ultimi versi.

Ecco, di seguito, le sue poesie.

Infanzia

Questo tempo che passa
mi riporta le ore
della ginestra di giugno
nei campi selvaggi
il gusto delle more
inghiottite con avidità
gesti infantili
di imitazione adulta
la sicurezza
di un paio di tacchi
lungo la strada
e polvere tra l’erba.

Coriandoli

Coriandoli,
ed è già passato
il Carnevale.
Indifferenti
del tempo
che ormai
li ripudia,
vivono
in una tasca
del mio cappotto,
si fanno beffe del mondo
beandosi
del loro colore.

Trasparenza

Forse un giorno
mi stancherò
di queste estati
da infilare
sotto la coltre
delle mie remote inquietudini.
Bianca spuma
accarezzerà la rena
e il passo stanco
riprenderà vigore
e nuove armonie
e colori di velluto
spruzzeranno di luce
l’azzurro
del mio mare.

Non chiedetemi

Non chiedetemi
se gli altri mi amano.
Io posso dirvi solo
del mio amore.
E sull’onestà del prossimo
io non ho parole,
la mia onestà vi dico,
briciole rafferme
che bramano calore
per alitare al vento
profumo di certezze.
E per quanto io
possa intuire,
scrutando dentro al pozzo
sotto i fievoli raggi della luna,
è sempre così poca
l’acqua che vi scorgo,
come dolcezza d’uomo
che non vuol trasparire.

Dalla raccolta “Alternanze” – Calabria Letteraria Editrice

Rossella, tra sogno e realtà, di Graziella Cappelli

 

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Quando completo la lettura di un libro mi piace stare in silenzio, per alcuni istanti, ad ascoltare e vivere intensamente le emozioni che ho appena provato, ma anche le atmosfere che mi hanno avvolto e coinvolto.
Ho letto molte poesie di Graziella, ma è la prima volta che mi avvicino a un suo lavoro in prosa. Ebbene, in queste pagine ritrovo pienamente il suo animo poetico, la delicatezza di uno sguardo sulle persone e sulle cose che sa essere attento e profondo.
Rossella, la protagonista, si ritrova, senza averlo scelto, a compiere un viaggio, si tratta però di un viaggio dentro se stessa, per questo faticoso e anche doloroso. E’ sempre difficile confrontarsi con il passato, si sente la nostalgia, il rimpianto, ma si è anche costretti a fare i conti con le proprie mancanze, con quelle che talvolta, erroneamente, vengono considerate colpe, che segnano spesso l’intera vita e impediscono di provare un’autentica serenità.

In questo suo percorso incontrerà una bambina, ha il suo stesso nome, e con lei costruirà un rapporto di empatia e complicità. E’ bene tuttavia non approfondire oltre questo aspetto, per non levare al lettore quel piacere sottile che è la scoperta graduale della trama.
L’autrice ci presenterà, un po’ alla volta, altri personaggi, tutti importanti ai fini del racconto, ognuno in maniera diversa, a seconda del proprio modo di essere.
E’ un’umanità fragile e forte insieme, provata dalla precarietà, dalla mancanza di punti fermi, ma forte nel sapersi opporre alle numerose vicissitudini. Alcune persone sono a Rossella più vicine, altre di passaggio nella sua vita, eppure importanti, perché hanno lasciato un segno, piccoli doni che però lei non dimentica: un gesto, una parola, una coccola speciale, una gentilezza…
Vi sono nel libro pagine molto belle, sono dedicate al faticoso lavoro dell’uomo nei campi, alla natura, non sempre madre ma sempre straordinaria, agli oggetti che, nel periodo in cui la protagonista era bambina, venivano usati. Anni in cui la povertà era tanta, e la vita durissima. Talmente difficile da modellare i caratteri delle persone, da nascondere quasi, come bene viene evidenziato in alcuni passi, la tenerezza di una madre che, come tutte le madri, vorrebbe dimostrare questo suo sentimento alla figlia, e che invece spesso reprime, talvolta mortificandola con atteggiamenti ruvidi e sgarbati.

E’ talmente brava l’autrice nel farci conoscere i personaggi che a noi sembra veramente di incontrarli. Come in questo brano, ma ce ne sono tanti altri in cui uomini, donne e animali ci vengono presentati con garbo, condivisione e affetto.
“La bambina non era sola, una donna seduta sotto la finestra lavorava rivestendo fiaschi.
Un grande sgomento invase Rossella, nel vedere quel viso emanare un dolore composto e rassegnato. Incantata, rimase a guardare la maestria di quelle mani gonfie che trillavano il cordino e lo legavano al fiasco con sapienza, in gesti meticolosi.
I vestiti non erano che stracci e appariva ancor più vecchia con quello scialletto nero sulle spalle e con quelle caviglie gonfie che affioravano sotto i lembi della veste.”

Una storia che merita di essere letta, questa di Graziella, scritta da una donna dai molteplici interessi, che ama raccontare in prosa e in versi, e che prova, anche nei confronti della natura e degli animali, un amore sconfinato.

P.M.C.

L’alba

 

 

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Foto da web

 

E fu così
che quel giorno l’alba
mi apparve all’improvviso
nell’istante preciso
in cui il buio
lasciò spazio alla luce.

Fu proprio un istante
non di più,
uno schiocco di dita,
un battere di ciglia
quando, tra i rami degli alberi
ancora scuri,
vidi il cielo colorarsi di rosa
e poi di tenero azzurro.

Tutt’intorno silenzio,
la vita ancora chiusa
nelle case.
E io lì, come una bambina,
la bocca spalancata
nel ricevere con stupore
il primo dono
del nuovo giorno.

P.M.C.