
(foto da web)
Morena non era una cattiva donna, ma certamente non era neppure di quelle che viene da prendere come esempio per amabilità o coerenza. Non era amabile, e quanto a coerenza aveva ancora un bel po’ di cammino da fare. In una cosa eccelleva: era capace di parlare per ore di se stessa, vantando le proprie attitudini, senza mai aspettare che qualcuno le evidenziasse al suo posto.
In fondo era un po’ buffa, e non vedeva che gli altri si prediponevano con buona volontà ad ascoltare i suoi interminabili monologhi, cercando di nascondere gli inevitabili sbadigli.
Abitava in un piccolo centro vicino a Bologna, dove si era trasferita con suo marito, anche lui abbruzzese, tanti anni addietro.
Morena non era bella, aveva dei tratti somatici un po’ forti, era scura di occhi e di carnagione, aveva però dei bellissimi capelli neri, lucenti e sempre ben curati. Avrebbe dovuto mettersi un po’ a dieta, dal momento che faceva una vita sedentaria, ma essendo pigra, di questo non voleva neppure sentir parlare; amava troppo la buona tavola, e per dimagrire, si sa, ci vuole costanza ed esercizio fisico. A lei tuttavia non interessava avere “qualche chilo in più”, e come spesso diceva, a parte gli anni, “era sempre la stessa”. Ma non era vero, i chili in più erano diversi, gli anni erano trascorsi velocemente, e lei era notevolmente cambiata. Il fatto è che vedeva se stessa con un occhio speciale, decisamente diverso da quello degli altri.
Ilaria l’aveva conosciuta quando, nel palazzo in cui abitava ormai da tanti anni, proprio sul suo stesso piano, era stato venduto un appartamento, dove per molto tempo era vissuta una coppia con la quale lei aveva costruito un rapporto di vera amicizia. Per motivi di lavoro poi entrambi si erano dovuti trasferire nella vicina Bologna.
Fu così che Morena, sia pure in modo indiretto, entrò a far parte della sua vita.
Inizialmente Ilaria, dispiaciuta per la partenza degli amici, non ebbe molta voglia di approfondire nuove conoscenze, per cui, pur mantenendo rapporti di correttezza, non fece molto per frequentare in modo più assiduo i nuovi vicini di casa.
Conobbe prima di tutto il marito, una persona dall’aspetto distinto, un po’ timido, dal sorriso cordiale. Fu lui a presentarsi un giorno mentre entrambi entravano in ascensore. Come sempre accade tra sconosciuti in queste circostanze, fu Osvaldo a chiederle in che piano dovesse fermarsi.
“Io al terzo, lei?”
“Anch’io”, disse lui un po’ stupito, per poi aggiungere:”Tra qualche giorno anche noi verremo ad abitare in questo palazzo, proprio nell’appartamento sfitto del terzo piano. Faremo il trasloco nel prossimo fine settimana. Io sono Osvaldo, mia moglie si chiama Morena, abbiamo due ragazzi. Siamo venuti già diverse volte, ma si sa, d’estate con le ferie anche i palazzi si spopolano.”
“Sì, effettivamente non vi ho mai incontrato, anch’io ero in ferie, sono rientrata ieri”, rispose Ilaria, poi aggiunse:” Ben arrivati, allora!”. Si salutarono sulla porta delle rispettive case.
Osvaldo le fece subito una buona impressione, e non si sbagliò. Era quel che talvolta si dice “un pezzo di pane”, di una bontà unica, disponibile sempre, solo le parve da subito un po’ malinconico, senza neppure capire il perché. Anche quando sorrideva.
Come lui aveva detto, la settimana successiva avvenne il trasloco. In realtà qualcosa nell’appartamento era già stato portato, alcuni mobili, diverse scatole colme di oggetti, delle bellissime piante… Ma fu dal venerdì sera alla domenica che il trasloco vero e proprio venne effettuato.
E fu in quell’occasione che Ilaria conobbe Morena.
Avendo già conosciuto il marito, tutto si aspettava tranne che di trovarsi davanti una donna che già ad una prima impressione le parve esattamente l’opposto rispetto a lui. Come il giorno con la notte, o se si preferisce, la luce rispetto al buio.
Era un vero terremoto, chiassosa, andava su e giù camminando su due tacchi alti con un ticchettio fastidioso che penetrava nelle orecchie. E poi quel tono di voce, così alto e poco armonioso!
Quel sabato mattina Ilaria uscì piuttosto presto per andare a fare alcune compere, proprio mentre si accingeva a chiudere la porta di casa sentì alle sue spalle una voce di donna che la chiamava. Gentilmente si voltò, ma non fece in tempo ad aprire bocca che Morena già si presentava. “Buongiorno, mi chiamo Morena, sono la sua vicina, come avrà intuito, in questi giorni io e la mia famiglia stiamo traslocando. Abbiamo cercato di disturbare il meno possibile, ma sicuramente mi capisce, un trasloco è un trasloco!” Lei come si chiama?”
Ilaria, sconcertata e anche un po’ infastidita, rispose:” Mi chiamo Ilaria. Ora, se non le dispiace, devo andar via, ho diverse cose da fare, mi scusi, buona giornata”.
Certamente in quel momento non poteva immaginare che la sua esistenza, e non solo la sua, sarebbe stata messa presto a dura prova.
Il trasloco infatti non durò soltanto dal venerdì sera alla domenica, ma andò avanti ancora per diversi giorni , durante i quali Morena si diede da fare per rendere la vita difficile agli operai che li aiutavano, e a Osvaldo, che rosso in viso per il caldo estivo cercava in tutti i modi di fare da intermediario tra moglie e operai, disperando di riuscirvi.
Morena infatti non era mai soddisfatta, ogni cosa doveva essere fatta secondo le sue direttive, nulla poteva essere lasciato al caso, quel mobile doveva essere posizionato esattamente lì, e non di un millimetro più indietro o avanti, i televisori dovevano occupare quel posto specifico, nè un pochino più in qua nè un millimetro più in là. Per non parlare di Osvaldo, che lei rimproverava continuamente per non aver fatto quello invece di questo.
“Devi seguire gli operai più da vicino, se non li tieni col fiato sul collo non fanno le cose come devono essere fatte, li paghiamo per questo, no?”
E al povero Osvaldo non rimaneva altro da fare che assentire, mentre le gocce di sudore gli cadevano dalla fronte prima sul collo e poi sulla camicia aperta. E non era soltanto lui a dover pazientare fino allo sfinimento, ma più volte ne fecero le spese anche i loro ragazzi.
Avevano due nomi poco diffusi, il più grande, forse sui sedici anni, si chiamava Amedeo, il secondo, di poco più piccolo, Ares. Amedeo somigliava molto alla mamma, aveva gli occhi e i capelli scuri come lei, ma era alto e snello come il padre, mentre il temperamento, seppure meno accentuato in alcuni tratti, era quello della madre. Ares, al contrario, era assolutamente identico a Osvaldo, distinto negli atteggiamenti, anche lui piuttosto timido, ma col sorriso sempre pronto.
Più volte, durante il trasloco, Amedeo si scontrò con sua madre, in certi momenti sentiva proprio di non sopportarla, non ne tollerava il tono autoritario, quel suo modo di dare sempre ordini, e anche consigli, soprattutto se non richiesti. Lo infastidivano soprattutto certi atteggiamenti che quotidianamente aveva con suo padre, così paziente e sempre pronto a perdonarla.
Anche Ares pagava il suo prezzo, lui non osava mai mettersi contro la madre, troppo intelligente, capiva che non l’avrebbe spuntata. Temeva i suoi attacchi d’ira, il suo temperamento sanguigno, ancora troppo piccolo per riuscire ad opporsi, aveva paura persino del suo sguardo, che a lui, poco più che bambino, sembrava minaccioso.
Fu in questo contesto che il famoso trasloco fu portato a termine.
E fu soltanto allora che Morena finalmente riuscì a sorridere. Perché lei era fatta così, si arrabbiava tanto per ogni sciocchezza, e con la stessa facilità cambiava umore.
Era in fondo una bambina, da sempre troppo coccolata, viziata e mai contraddetta.
Ilaria, abitando di fronte, ebbe modo di conoscere a fondo la quotidianità della famiglia De Dominicis.
“Povero marito, e poveri ragazzi”, diceva a se stessa, “come fanno a convivere con una donna così!”
Eppure Morena aveva anche delle buone qualità nei momenti cosiddetti “buoni”, termine usato spesso e in modo appropriato dal marito, talvolta sapeva essere anche simpatica. Era una discreta affabulatrice, capace di raccontare aneddoti e barzellette con ironia; era inoltre brava nel preparare torte e dolci di ogni genere Anche con i ragazzi riusciva ad entrare in sintonia, manifestando loro il suo affetto con coccole e baci.
Ma bastava un nonnulla perché l’idillio di un momento si trasformasse in interminabili discussioni. La medesima cosa avveniva con suo marito, passava da un bacio appassionato a un attacco d’ira incontenibile, era sufficiente essere contraddetta su qualcosa perché le saltassero i nervi. Momenti questi conosciuti bene dalla stessa Ilaria, che aveva la fortuna di condividere con lei il pianerottolo e di avere le verande vicine.
Osvaldo faceva esercizio di resilienza quotidianamente, ubbidiva senza reagire mai, accettando tutto. Quando talvolta la sua pazienza era ormai agli sgoccioli, provava timidamente ad opporsi alle sue assurde richieste, ma bastava uno sguardo perché il suo tentativo andasse in frantumi.
Gli anni passarono, e capitava che Ilaria e Morena si ritrovassero talvolta a scambiare qualche parola quando, nelle rispettive verande, erano intende a stendere la biancheria o ad innaffiare i fiori.
Ilaria non aveva in realtà voluto approfondire più di tanto la loro conoscenza, non apprezzava le persone poco discrete, quelle che parlano tanto, che vogliono sapere tutto di tutti. E poi era sempre stata una donna troppo libera per poter accettare imposizioni. Viveva da sola, dopo un matrimonio burrascoso finito male. Lui, troppo possessivo e geloso, lei, troppo aperta: impossibile andare avanti insieme.
Figuriamoci se voleva diventare lo zerbino di una vicina di casa così particolare!
E fu proprio in un giorno bellissimo di primavera, si era in giugno, che Morena, dalla sua veranda, vide Ilaria che innaffiava i fiori.
La chiamò per la prima volta con un tono di voce molto basso, lo sguardo malinconico e il viso arrossato. Poi la chiamò una seconda volta.
Ilaria stavolta la sentì, e stupita si protese il più possibile verso di lei. Aveva davanti a sè una donna che riconosceva con fatica; si disse che doveva essere successo qualcosa di molto grave nell’appartamento dei De Dominicis. Non dovette attendere a lungo.
Con poche parole pronunciate così piano da sentirsi a malapena, Morena le disse semplicemente: “Osvaldo se n’è andato, mi ha lasciato senza darmi nessuna spiegazione. Ma io non ne ho bisogno, ho capito da sola il perché: non mi sopportava più.”.
(Dalla raccolta “Sguardi di donne”)
Piera M. Chessa