Lessi Nel palazzo dell’ombra, una raccolta di poesie di Graziella Cappelli, qualche anno fa, e fu veramente un piacere. Come sempre faccio, con la matita fermai sulle pagine alcune mie impressioni, ma, a lettura ultimata, non scrissi una vera e propria recensione. In quegli anni, infatti, non avevo questa abitudine, mi sembrava sempre che tra quello che scrivevo e ciò che intendevo dire non ci fosse corrispondenza.
E questa incertezza è rimasta tuttora in me, sebbene da alcuni anni abbia incominciato a scrivere qualche recensione.
In questi giorni ho ripreso tra le mani questa raccolta, che la stessa Graziella mi aveva donato, e l’ho fatto, credo, per il desiderio di sentire ancora vicina questa nostra amica che dai primi di settembre non è più con noi.
Ed ecco che la ritrovo nelle sue immagini di vita quotidiana, che ti catturano con la loro essenzialità ma anche con la loro armonia. Perché il suo stile è esattamente così: spesso essenziale, ma sempre armonioso. Quadretti che sembrano dei piccoli dipinti, e che ti invitano a entrare nel suo mondo.
E a te viene da farlo con la stessa discrezione con la quale lei si è sempre posta con gli amici ma anche con i suoi lettori
“Gorgheggia/il caffè/nella moka/sul tavolo/quattro biscotti/ e una tazza di latte./Scoppietta/ilfuoco/nel camino/ e ondate calde/m’avvolgono.”(Da Minime gioie)
E poi c’è la Graziella che amava la natura in tutte le sue forme. E’ riduttivo forse dire che l’amava soltanto, perché era capace di diventare quasi un tutt’uno con il mondo naturale. Era amore che si traduceva in rispetto, attenzione e stupore, davanti alla grandi come alle piccole cose. E non c’era niente che avesse meno valore per lei.
La bellezza di una foglia o di un fiore di campo non era inferiore alla superba bellezza delle rose, all’immensità del mare o del cielo. E lei era consapevole di far parte di quel mondo, una piccola ma importante parte, proprio come ognuno di noi, però comprendeva bene che non siamo padroni della natura, ma che, al contrario, abbiamo avuto l’immenso dono di poterla ammirare e di poterne usufruire.
“Nel bosco/indossi la veste/e sei falò/tra foglie nere./Poi siedi/su cuscini/di nuvole/e mostri/sensualiforme/in argentee radianze.” (Da Luna piena d’agosto)
Nei testi poetici che vanno a formare questa silloge, c’è anche un’altra Graziella: quella che sapeva osservare con occhio attento il mondo degli uomini, spesso così superficiali nei loro sguardi e nei loro comportamenti .Una poesia civile, la sua, in questo caso.
Versi che sanno essere forti e incisivi nel mostrare la propria contrarietà verso azioni che lei non poteva condividere.
“Cervelli/di latta/mascelle/di mastino/fauci/bavose./Alla gola/ci hanno/morso/e succhiato/ilsangue.” (Da I nostri politici)
Nel suo Palazzo dell’ombra c’è anche l’amore incondizionato per la Toscana, la sua splendida regione, alla quale ha regalato dei versi belli e intensi.
“Sirena/emersa dal mare/adagiata e pigra/mostri/geometria di forme/ morbide./ Ti ornano le spalle/i ricci capelli/d’Appennino/e gli occhi d’agata/sfumano…/nell’infinito./”(DaToscana)
Non si può dimenticare neppure l’amore per gli animali, in particolare per i gatti. A loro ha donato se stessa, quasi fossero umani. Una tenerezza di cui pochi sanno essere capaci.
“Mite Morgana/mantello/morbido/magico/musicale/miagolio.” (Da Mi manchi…)
Ma c’è tanto altro in questa raccolta . E’ presente infatti anche il dolore, e non solo quello fisico. Dolore che si tinge di nostalgia quando racconta del fratello o del padre che non ci sono più, ma anche di un amico, vicino di casa.
Firenze e il suo Arno: un magnifico pezzetto della tua Toscana
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A Graziella Cappelli, donna speciale dai mille interessi, profonda, dotata di straordinaria sensibilità. A lei questo mio saluto colmo di affetto, amicizia e stima, e di tanto rimpianto. Mancherà a me, ma anche a moltissimi suoi amici e amiche che le hanno voluto lo stesso bene.
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E infine ci hai lasciato, Graziella cara. Tu, dolce usignolo di bosco, amante delle piante e dei fiori, degli animali e degli umani, di quelli veri, di quelli sinceri. Tu, che con destrezza usavi le parole per aprire il tuo cuore, per mostrare il tuo sguardo sul mondo, il tuo limpido sguardo, incapace com’eri di fare del male e di ferire a fondo. Eppure proprio tu sei stata maltrattata dalla vita senza alcuna pietà. Hai volato sempre in alto, ma ora lo farai come non l’hai fatto mai. Leggera come un petalo delle tue magnifiche rose ti fermerai ovunque ad osservare il mondo, e forse poserai lo sguardo su di noi, affannati in questo nostro vivere che appare senza senso. E ci sorriderai indulgente come a dire:” Lasciate andare le cose che vi turbano, non ne vale la pena!” Ciao, amica mia, amica nostra, perché di amici tu tanti ne hai avuto. Forse ci rivedremo, chi lo sa? E ci racconteremo ancora le cose belle delle nostre vite. Oppure no. Magari parleremo soltanto di poesia, e sarà lei l’argomento più bello: quello che ci ha permesso di incontrarci.