Archivio | novembre 2020

Buio

Oggi è la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Questa ricorrenza è stata istituita il 17 dicembre del 1999.

In questa giornata dedicata al dolore di tante donne così spesso maltrattate, non solo fisicamente ma anche a livello psicologico, ripropongo un testo che scrissi diversi anni fa, con l’amara consapevolezza che poco o niente da allora sia cambiato.
A giudicare da tutto ciò che si sente e si legge in questi giorni, sembra accertato che proprio durante i mesi della pandemia, trascorsi in casa, la violenza sulle donne sia aumentata in maniera considerevole. E non è certamente un caso dal momento che i comportamenti aggressivi e violenti vengono messi in atto soprattutto in ambito familiare.
Mi angoscia il pensiero delle tante donne, di ogni età, che in questo difficile periodo hanno vissuto, praticamente chiuse tra le pareti domestiche, con uomini incapaci di rispetto e amore. Parole queste del tutto assenti dal loro vocabolario.
Ed è a tutte queste donne, e a quelle che purtroppo non ci sono più, che dedico questa poesia.

Buio

Sono qui,
distesa seminuda
nell’angolo più buio
della strada,
a malapena
ricordo con terrore
quel che è stato.
Mi guardo intorno,
nessuno accanto a me
ad alleviare il vuoto
ed il dolore.

Fa freddo, è inverno,
ed io qui
con gli abiti strappati
e il corpo lacerato.
Mi alzo con fatica,
raccolgo le mie cose
ovunque sparpagliate,
mi copro disgustata.
Provo pietà per me
e stento a ritrovarmi.

Ecco, sento dei passi
e la paura cresce…

Ma è una giovane coppia
di passaggio,
la mano tiepida
di un’altra donna
stringe la mia,
barcollo per la nausea
e l’incertezza,
cerco un appiglio.

E’ il suo braccio sicuro
adesso a sostenermi.

Piera M. Chessa

Non fa rumore il pianto d’un bambino, di Laura Vargiu, Migr-Azioni 2020

La silloge di poesie Non fa rumore il pianto d’un bambino, della poetessa e scrittrice Laura Vargiu, ci lascia subito sgomenti e privi di parole che non siano banali o molto abusate, fin dalla lettura del primo testo. I suoi versi sono, per così dire, atipici, per niente scontati. Io proverò a parlarne lasciandomi guidare dall’intuito e dalla loro bellezza.
Le sue poesie descrivono la vita in tutta la sua drammaticità, nello specifico, la guerra e i soprusi che ne derivano, il dolore e la disperazione degli adulti, donne e uomini, e quella dei piccoli.
E questo dolore, così profondo, viene raccontato e denunciato attraverso uno stile pacato, dosato in ogni sua parola. Non usa toni alti, Laura, eppure dai suoi versi salgono, intense e laceranti le urla silenziose delle donne e il pianto dei bambini, “che non fa rumore” perché coperto dall’indifferenza e dall’insensibilità di tanti.
Ma L’autrice questa sofferenza cerca di guardarla con occhi ben aperti, non volge lo sguardo altrove, la condivide e la capisce. Solo in questo modo il suo dolore sembra alleggerirsi, per la capacità, in realtà poco diffusa, di sapersi immedesimare nell’altro, in chi non ce la fa e lascia che la paura prevalga, ma anche in chi cerca di opporsi a qualcosa che è troppo grande per poterla sconfiggere da soli. Si può solo provare a scappare, per non morire.

La silloge incomincia con una breve ma significativa Nota dell’editore, seguita da un’interessante presentazione dell’Autrice che spiega come la raccolta sia nata, e quali siano stati i motivi che l’hanno spinta a scegliere proprio questi testi tra tanti altri da lei composti.
E allora leggiamo insieme alcune parti delle poesie che compongono questa bella silloge, benchè tutte meritino di essere lette interamente e approfondite con attenzione.
Il primo testo è un bel Canto intitolato I cieli di Gerusalemme. In esso l’autrice ricorda probabilmente un suo viaggio, e il dolore al quale ha assistito e interiorizzato profondamente.

“Si riflettono i cieli di Gerusalemme
negli occhi dei bambini che non li hanno mai visti
e in quelli dei vecchi che ancora li piangono,
sventolando nei colori di una bandiera
che non trova più la strada di casa”

Ed ecco ora alcuni versi tratti da La pelle non dimentica. La conclusione amara alla quale si arriva talvolta nella vita.

“Le ferite di ieri
sono le cicatrici di oggi
già orme appassite su sentieri futuri,
tutto scivola via
ma tutto resta

Perché lei, la pelle,
non dimentica.”

Vi è nella raccolta una poesia struggente che Laura Vargiu dedica “Alle madri mediterranee, a tutte le madri che hanno perso i figli per mare”. Si intitola La madre di Tunisi.

“Urlo a squarciagola il tuo nome,
vuota ormai d’ogni altra parola
per far tacere il silenzio del mare,
odioso frastuono di segreti di morte
che il mio antico cuore di madre
non si rassegna ad ascoltare.”

Nella poesia Un giorno ecco cosa scrive Laura:

“Un giorno
e solo quel giorno,
i miei passi troveranno le parole
che non ho mai cercato
tra le pagine bianche
delle strade d’inchiostro”

Anche nel testo I tetti di Torino troviamo dei versi molto profondi che non possono non far riflettere.

“Rosseggiano
i tetti di Torino
tra i silenzi della sera,
quando s’accendono di storie
venute da lontano che raccontano sogni
d’emigrate speranze e profumi d’altri cieli
rapiti e amalgamati dal tempo”

La poesia La rosa di Damasco è dedicata “Al dramma del popolo siriano”.
Estrapolo alcuni versi .

“Spirano i tuoi petali
avvizziti e inermi
lungo sentieri di profughe marce

Dimenticati
sotto sguardi spenti e vacui
dei cieli nostri d’indifferenza saturi.”

Concludo con il testo poetico Non fa rumore il pianto d’un bambino dedicato “Al dramma dimenticato dello Yemen e del suo popolo”.

“Non fa rumore il pianto d’un bambino
che sanguina fra mille sparute stelle
né di una madre il grido di dolore
che pur ferisce l’infinita notte d’una terra
dov’è tramontata ormai l’alba
e il vuoto nome di Dio riempie
i crateri affamati delle bombe”

Che dire ancora? Forse soltanto che il libro va letto con calma e attenzione, come ben dice l’editore che ci introduce a questa lettura. E forse, quando si arriverà all’ultima pagina, come è capitato a me, verrà voglia di ricominciare.
Una raccolta che consiglio di leggere, che fa soffrire, ma che, nello stesso tempo, può spingerci a fare una scelta ben precisa: quella di essere meno indifferenti al dolore che ci circonda.

Piera M. Chessa

Non fa rumore il pianto d’un bambino – Poesie (2011-2019) Migr-Azioni 2020

La raccolta di poesie Non fa rumore il pianto d’un bambino, della poetessa e scrittrice Laura Vargiu, ci lascia subito sgomenti e privi di parole che non siano banali o molto abusate, fin dalla lettura del primo testo. I suoi testi sono, per così dire, atipici, per niente scontati. Io proverò a parlarne lasciandomi guidare dall’intuito e dalla bellezza dei versi.
Le sue poesie descrivono la vita in tutta la sua drammaticità, nello specifico, la guerra e i soprusi che ne derivano, il dolore e la disperazione degli adulti, e quella dei piccoli.
E questo dolore, così profondo, viene raccontato e denunciato attraverso uno stile pacato, dosato in ogni singola parola. Non usa toni alti, Laura, eppure dai suoi versi salgono, intense e laceranti, le urla silenziose delle donne e il pianto dei bambini, pianto “che non fa rumore” perché coperto dall’indifferenza e dall’insensibilità di tanti.
Ma L’autrice questa sofferenza cerca di guardarla con occhi ben aperti, non volge lo sguardo altrove, la condivide e la capisce. Solo in questo modo forse il suo dolore può alleggerirsi, per la capacità che ha di sapersi immedesimare nell’altro, in chi non ce la fa e lascia che la paura prevalga, ma anche in chi cerca di opporsi a qualcosa che è troppo grande per poterla sconfiggere da solo. In questo caso si può solo provare a scappare, per non morire.

La silloge incomincia con una breve ma significativa Nota dell’editore, seguita da un’interessante presentazione dell’Autrice che spiega come la raccolta sia nata, e quali siano stati i motivi che l’hanno spinta a scegliere proprio questi testi tra tanti altri da lei composti.
E allora leggiamo insieme alcune parti delle poesie che formano questa bella silloge, benchè tutte meritino di essere lette interamente e approfondite con attenzione.
Il primo testo è un bellissimo Canto intitolato I cieli di Gerusalemme. In esso l’autrice ricorda probabilmente un suo viaggio, e il dolore al quale ha assistito e interiorizzato profondamente.

“Si riflettono i cieli di Gerusalemme
negli occhi dei bambini che non li hanno mai visti
e in quelli dei vecchi che ancora li piangono,
sventolando nei colori di una bandiera
che non trova più la strada di casa”

Ed ecco ora alcuni versi tratti da La pelle non dimentica. La conclusione amara alla quale si arriva talvolta nella vita.

“Le ferite di ieri
sono le cicatrici di oggi
già orme appassite su sentieri futuri,
tutto scivola via
ma tutto resta

Perché lei, la pelle,
non dimentica.”

Vi è nella raccolta una poesia struggente che Laura Vargiu dedica “Alle madri mediterranee, a tutte le madri che hanno perso i figli per mare”. Si intitola La madre di Tunisi.

“Urlo a squarciagola il tuo nome,
vuota ormai d’ogni altra parola

per far tacere il silenzio del mare,
odioso frastuono di segreti di morte
che il mio antico cuore di madre
non si rassegna ad ascoltare.”

Nella poesia Un giorno ecco cosa scrive Laura:

“Un giorno
e solo quel giorno,
i miei passi troveranno le parole
che non ho mai cercato
tra le pagine bianche
delle strade d’inchiostro”

Anche nel testo I tetti di Torino troviamo dei versi molto belli che non possono non far riflettere.

“Rosseggiano
i tetti di Torino
tra i silenzi della sera,
quando s’accendono di storie
venute da lontano che raccontano sogni
d’emigrate speranze e profumi d’altri cieli
rapiti e amalgamati dal tempo”

La poesia La rosa di Damasco è dedicata “Al dramma del popolo siriano“.
Estrapolo alcuni versi .

“Spirano i tuoi petali
avvizziti e inermi
lungo sentieri di profughe marce

Dimenticati
sotto sguardi spenti e vacui
dei cieli nostri d’indifferenza saturi.”

Concludo con il testo poetico “Non fa rumore il pianto d’un bambino” dedicato “Al dramma dimenticato dello Yemen e del suo popolo”.

“Non fa rumore il pianto d’un bambino
che sanguina fra mille sparute stelle
né di una madre il grido di dolore
che pur ferisce l’infinita notte d’una terra
dov’è tramontata ormai l’alba
e il vuoto nome di Dio riempie
i crateri affamati delle bombe”

Che dire ancora? Forse soltanto che il libro va letto con calma e attenzione, come ben dice l’editore che introduce a questa lettura. E forse, quando si arriverà all’ultima pagina, come è capitato a me, verrà voglia di ricominciare.
Una silloge poetica che consiglio di leggere, che fa soffrire, ma che, nello stesso tempo, può spingerci a fare una scelta ben precisa: quella di essere meno indifferenti al dolore che ci circonda.

Piera M. Chessa

Il nulla

(foto da web)

Scrissi questo testo diversi anni fa, eppure mi pare che si adatti molto bene, purtroppo, anche al presente.

***

Ritorna come un incubo

e non l’avremmo più creduto,

sconcerta ed avvilisce

l’ottusità di tanti

ostinati nel tenere

gli occhi chiusi.

Millanterie, bugie,

maschere di ogni tipo

capaci di confondere

teste senza ragione.

Sguardi obliqui e rancorosi,

velati appena

da un’apparente cortesia,

confondono ancora

chi guarda in superficie

e non osserva sottoterra

dove la melma

si nasconde al sole

per non essere vista.

Piera M. Chessa

Un Natale diverso

Un Natale con poca gioia

quello che velocemente

si avvicina.

Si avverte nei volti delle persone

incontrate per la strada,

nell’allegria meno intensa

dei bambini,

nella preoccupazione percepita

sui visi degli anziani.

Nei volti di tutti noi

che compiamo le azioni di sempre

per pura necessità,

che ci guardiamo intorno

in attesa di qualcosa

che sembra non arrivare mai.

Siamo spaesati, avvolti in una nebbia

dalla quale ci affacciamo

con fatica e paura.

Le nostre certezze si sono sciolte

nel malinconico sole di quest’autunno

che non riconosciamo,

che non ci è più familiare.

Un autunno

che non ci fa ancora sperare

in tempi migliori.

Piera M. Chessa

Le foglie raccontano

Alle pendici del Monte Arci (OR)

Scricchiolano le foglie

dai diversi colori

sotto le nostre scarpe

e a lungo dialogano con noi.

Ci raccontano dell’autunno

che, impietoso, le fa cadere,

talvolta con dolcezza

a volte con violenza,

quando il vento, indispettito,

le allontana, spazzandole via

dall’albero-padre

che ha dato loro la vita.

E poi raccontano

ciò che hanno visto

o che per mesi hanno sentito,

durante la primavera e l’estate.

Il via vai degli uccelli

da un ramo all’altro,

da un albero all’altro,

il loro canto,

musica meravigliosa

per le orecchie.

Ma anche il camminare

e il parlare degli umani,

le loro piccole gioie

e le tante fatiche.

E i loro incontri notturni e diurni

con i piccoli amici

nascosti nei tronchi o sui rami:

formiche e altri minuscoli insetti,

di tanti di loro conoscono le storie.

Fino a quando,

in un giorno qualunque d’autunno,

sempre più affaticate,

intuiscono che è arrivato

il momento di andare,

e lentamente incominciano

a morire…

Piera M. Chessa

Due novembre

Foto da web

E’ un giorno di riflessione,

di preghiera.

Percorro i viali

tra croci e infinite distese

di fiori.

Ascolto lo sfrigolio

della ghiaia sotto i passi,

mentre intorno

ogni cosa tace.

E’ mezzogiorno

e un sole tiepido riscalda

e accompagna

il mio cammino.

Mi fermo

davanti a una cappella,

vedo una foto

sul piccolo altare:

il volto di una donna

da poco partita.

Affetto e dolore

nel cuore

non ancora abituato

alla sua assenza.

Piera M. Chessa