
Le voci mute, come già viene specificato nel sottotitolo, corrispondono a nove storie ambientate a Venezia, città bellissima, come tutti sappiamo, e ricchissima di storia.
Se si vuole quindi parlare dei personaggi di questi racconti, non possiamo dimenticarci di lei, la Serenissima, protagonista tra i tanti protagonisti che, cammin facendo, si ha modo di incontrare.
E’ Venezia che accompagna il lettore e in un certo senso lo prende per mano facendo da ponte o, se si preferisce, da intermediaria, nel passare da un racconto all’altro.
Nove storie, tutte belle, difficile alla fine dire quale sia la migliore. Nove piccoli gioielli, coinvolgenti e appassionanti fino alla conclusione.
La prima storia s’intitola La strazzosa, la Stracciona, come si può intuire, ma il vero nome della protagonista tanto tempo prima era un altro: Giulia.
Un racconto in cui a tratti la bella prosa si trasforma in poesia. Una storia di sofferenza in cui è presente anche la peste, ma anche l’amore: quello fugace e quello delle madri, inesauribile.
La seconda storia s’intitola Miserere, ed è un racconto che coinvolge e ugualmente sconvolge. Vi incontriamo la crudeltà di una giustizia sommaria, ma anche l’ingenuità e i pregiudizi soprattutto nelle povere donne e, può sembrare strano, persino l’amore.
Diversi i personaggi: la signora Foscarina, Righetto, un giardiniere poco più che bambino, il grasso Tobia, fra’ Sebastiano, personaggio estremamente ambiguo, i Signori di Notte al Criminal, che trovano il modo di far confessare i colpevoli anche quando colpevoli non sono. E soprattutto colui che narra la storia in prima persona, il cui nome rimarrà a lungo sconosciuto.
Il terzo racconto ha un titolo misterioso, Mir I Dobro, il cui significato verrà svelato molto tempo dopo.
Una storia intensa, dolorosa, che tiene viva l’attenzione fino all’ultima riga, e che avrà un finale sorprendente. E’ la storia di un ragazzo costretto a dimenticare il proprio nome per prenderne in prestito un altro, e che sarà causa di tanto dolore. Un altro personaggio importante è Gerolamo, che di mestiere fa il secondino, e che s’ incontra anche in altre storie.
Si arriva così al quarto racconto, il cui titolo è Persona per hora secreta.
Ha inizio in un modo abbastanza inquietante che fa pensare a un certo finale, tenendo sempre ben desta l’attenzione del lettore. Ma nei racconti di Fiorella niente deve essere dato per scontato.
Il quinto racconto si intitola La rabbia dei poveri, ed è scritto con quella sensibilità che contraddistingue l’autrice anche quando tratta argomenti che già di per sè sono piuttosto duri, come per esempio la condanna di un innocente. E naturalmente, è bene non dimenticarlo, in queste storie c’è sempre Venezia, e con lei lo strapotere dei ricchi, e dei soldi che possono comprare qualsiasi cosa.
Proseguendo nella lettura, sempre avvincente, si arriva al sesto racconto il cui titolo è Ludovica De Gatti. Anche qui i personaggi sono diversi. Tra questi, Melitta, un nome che fa pensare al miele, e poi, Ludovica, già citata nel titolo, e L’Alfiere, e ancora, la balia, della quale non si conosce il nome: una bella figura di donna e madre. E, come sempre, un altro pezzetto di Venezia. Una città della quale un po’ alla volta impariamo a conoscere i tanti aspetti e i tanti segreti. Una città ben diversa da quella turistica che oggi conosciamo. E’ la Venezia vera, quella più autentica e sincera, ovviamente relativa al periodo in cui queste storie, belle e complicate, sono ambientate.
Il settimo racconto, La sciarpa azzurra, è suddiviso in tre parti, ognuna delle quali ha un suo titolo.
La prima parte, intitolata Il poeta, è una storia tanto dolorosa quanto tenera, descrive della vita gli aspetti più crudi, ma anche i sentimenti più belli. In essa, a parte il protagonista,che è un ragazzo, incontriamo nuovamente Gerolamo, personaggio già conosciuto perché apparso nella storia Mir I Dobro.
La seconda parte s’intitola Il carceriere, è qui che il nostro Gerolamo diventa il vero protagonista. Nonostante il suo lavoro poco accattivante, si è già detto in precedenza che fa il secondino, dimostra verso i prigionieri, soprattutto quelli più fragili, una ruvida comprensione che manifesta in modo goffo ma sincero. Un amante del vino, e soprattutto della malvasia, che cerca di campare come può, con nel cuore una ferita profonda e ancora aperta. Brava e incisiva Fiorella Borin nel descriverlo, strappandoci più di una volta il sorriso.
Nella terza e ultima parte della storia, intitolata Il savio, ancora un posto di rilievo per Gerolamo, carceriere dal cuore buono.
L’autrice non finisce di stupirci e ci regala un’ironica e gustosa presa in giro di coloro che vengono chiamati a giudicare e che dovrebbero agire con giustizia e sobrietà.
Il titolo dell’ottava storia è La congiura degli Olderichi. Inizialmente il personaggio principale sembra essere Don Giovanni da Ferrara, Parroco di San trovaso, ma in seguito vedremo che i protagonisti saranno ben altri. Troviamo in queste pagine altre divertenti descrizioni: quelle dei tre Savi, o per meglio dirla, i tre Inquisitori. Personaggi che fanno sorridere, talvolta così grotteschi. Riso che tuttavia viene smorzato dal dolore che si percepisce nel comportamento di don Giovanni, e dalla presenza di una profonda cupidigia solo appena nascosta da sentimenti che vogliono sembrare nobili. Ed ecco che allora il sorriso si trasforma in indignazione.
Il ciarlatano è l’ultima delle nove storie veneziane. Il protagonista è Carolino, un ragazzo ingenuo e in fondo buono, ma bravissimo nel cercare e trovare guai a non finire. C’è un altro personaggio incredibile in questo racconto, ed è Mariolda, una povera vecchia che vive di stenti e veste di stracci. Bravissima Fiorella nel descriverla e nel raccontarne la vita difficile.
All’interno di questa nona storia ce n’è un’altra, il cui titolo è Il racconto di Alina. Si tratta di una fiaba bella ma dolorosa in cui certi uomini, come nella realtà, non fanno certamente una bella figura.
Storie, quelle di Fiorella Borin, di cui fatichi a immaginare il finale, mai scontato, sempre imprevedibile, e così ben scritte e strutturate da tenere l’attenzione del lettore desta fino alle ultime pagine.
Una scrittura molto realistica, che descrive la vita per quello che è, eppure, nelle sue storie non manca mai il tocco leggero della sensibilità e della comprensione verso un’umanità che fatica nella sua lotta per un’esistenza accettabile e dignitosa.
Poi, come si è detto più volte, c’è Venezia, questa città meravigliosa e fragile, con la sua storia più che millenaria. Il prestigio e il potere della Serenissima, la crudeltà della sua giustizia, la ricchezza dei pochi e la miseria dei tanti. Ma anche la bellezza dei suoi palazzi, dei canali, le gondole, le calli e i campi.
E come sempre mi succede quando termino la lettura di libri che ritengo belli, faccio un po’ di fatica a ritornare in quella che è la nostra realtà.
Con i bravi narratori ci si allontana facilmente dal quotidiano per vivere, insieme ai personaggi delle storie che ci vengono proposte, esperienze particolari e insolite, talvolta irreali, ma sempre capaci di lasciare in noi qualcosa di nuovo e di buono.
Per concludere, propongo un brano tratto da “Il racconto di Alina“, inserito nella nona e ultima storia.
“All’alba mi levai in piedi. Mi protessi gli occhi con la mano, spinsi lo sguardo più lontano che potevo. La spiaggia era disseminata di cadaveri: la nave degli stranieri ancora dondolava, irridente, all’imboccatura del minuscolo porto. Credetti che attendessero la marea favorevole, per salpare; m’ingannavo, ero giovane e non sapevo nulla dell’animo degli uomini.
Così ritornai al mio nascondiglio, e a turno i gabbiani allargavano le ali per proteggermi dal sole. Udivo un martellante picchiare di colpi e ogni tanto un boato, seguito da un desolato frusciare di fronde: sotto le accette dei forestieri, uno a uno cadevano gli alberi me-lem, sterminati dalla furia di quel principe sanguinario che, accecato dall’invidia, preferiva distruggere tutto ciò di cui non poteva appropriarsi.
[…]
Scoprii che le donne amano in modo assai diverso dagli uomini: nessuna donna avrebbe mai ordinato di abbattere tutti gli alberi me-lem… nessuna donna avrebbe mai decretato la morte di chi ha la sola colpa di essere felice, e di dare agli altri la felicità. Un uomo sì.
Chiesi al mare di rendermi giustizia. Una dopo l’altra, dalla più piccola alla più maestosa, le onde mi risposero sì.”
Piera M. Chessa