Archivio | Maggio 2021

Le voci mute. Nove storie veneziane, di Fiorella Borin. 2014. Edizioni Solfanelli

Le voci mute, come già viene specificato nel sottotitolo, corrispondono a nove storie ambientate a Venezia, città bellissima, come tutti sappiamo, e ricchissima di storia.
Se si vuole quindi parlare dei personaggi di questi racconti, non possiamo dimenticarci di lei, la Serenissima, protagonista tra i tanti protagonisti che, cammin facendo, si ha modo di incontrare.
E’ Venezia che accompagna il lettore e in un certo senso lo prende per mano facendo da ponte o, se si preferisce, da intermediaria, nel passare da un racconto all’altro.
Nove storie, tutte belle, difficile alla fine dire quale sia la migliore. Nove piccoli gioielli, coinvolgenti e appassionanti fino alla conclusione.

La prima storia s’intitola La strazzosa, la Stracciona, come si può intuire, ma il vero nome della protagonista tanto tempo prima era un altro: Giulia.
Un racconto in cui a tratti la bella prosa si trasforma in poesia. Una storia di sofferenza in cui è presente anche la peste, ma anche l’amore: quello fugace e quello delle madri, inesauribile.
La seconda storia s’intitola Miserere, ed è un racconto che coinvolge e ugualmente sconvolge. Vi incontriamo la crudeltà di una giustizia sommaria, ma anche l’ingenuità e i pregiudizi soprattutto nelle povere donne e, può sembrare strano, persino l’amore.
Diversi i personaggi: la signora Foscarina, Righetto, un giardiniere poco più che bambino, il grasso Tobia, fra’ Sebastiano, personaggio estremamente ambiguo, i Signori di Notte al Criminal, che trovano il modo di far confessare i colpevoli anche quando colpevoli non sono. E soprattutto colui che narra la storia in prima persona, il cui nome rimarrà a lungo sconosciuto.
Il terzo racconto ha un titolo misterioso, Mir I Dobro, il cui significato verrà svelato molto tempo dopo.
Una storia intensa, dolorosa, che tiene viva l’attenzione fino all’ultima riga, e che avrà un finale sorprendente. E’ la storia di un ragazzo costretto a dimenticare il proprio nome per prenderne in prestito un altro, e che sarà causa di tanto dolore. Un altro personaggio importante è Gerolamo, che di mestiere fa il secondino, e che s’ incontra anche in altre storie.
Si arriva così al quarto racconto, il cui titolo è Persona per hora secreta.
Ha inizio in un modo abbastanza inquietante che fa pensare a un certo finale, tenendo sempre ben desta l’attenzione del lettore. Ma nei racconti di Fiorella niente deve essere dato per scontato.
Il quinto racconto si intitola La rabbia dei poveri, ed è scritto con quella sensibilità che contraddistingue l’autrice anche quando tratta argomenti che già di per sè sono piuttosto duri, come per esempio la condanna di un innocente. E naturalmente, è bene non dimenticarlo, in queste storie c’è sempre Venezia, e con lei lo strapotere dei ricchi, e dei soldi che possono comprare qualsiasi cosa.
Proseguendo nella lettura, sempre avvincente, si arriva al sesto racconto il cui titolo è Ludovica De Gatti. Anche qui i personaggi sono diversi. Tra questi, Melitta, un nome che fa pensare al miele, e poi, Ludovica, già citata nel titolo, e L’Alfiere, e ancora, la balia, della quale non si conosce il nome: una bella figura di donna e madre. E, come sempre, un altro pezzetto di Venezia. Una città della quale un po’ alla volta impariamo a conoscere i tanti aspetti e i tanti segreti. Una città ben diversa da quella turistica che oggi conosciamo. E’ la Venezia vera, quella più autentica e sincera, ovviamente relativa al periodo in cui queste storie, belle e complicate, sono ambientate.
Il settimo racconto, La sciarpa azzurra, è suddiviso in tre parti, ognuna delle quali ha un suo titolo.
La prima parte, intitolata Il poeta, è una storia tanto dolorosa quanto tenera, descrive della vita gli aspetti più crudi, ma anche i sentimenti più belli. In essa, a parte il protagonista,che è un ragazzo, incontriamo nuovamente Gerolamo, personaggio già conosciuto perché apparso nella storia Mir I Dobro.
La seconda parte s’intitola Il carceriere, è qui che il nostro Gerolamo diventa il vero protagonista. Nonostante il suo lavoro poco accattivante, si è già detto in precedenza che fa il secondino, dimostra verso i prigionieri, soprattutto quelli più fragili, una ruvida comprensione che manifesta in modo goffo ma sincero. Un amante del vino, e soprattutto della malvasia, che cerca di campare come può, con nel cuore una ferita profonda e ancora aperta. Brava e incisiva Fiorella Borin nel descriverlo, strappandoci più di una volta il sorriso.
Nella terza e ultima parte della storia, intitolata Il savio, ancora un posto di rilievo per Gerolamo, carceriere dal cuore buono.
L’autrice non finisce di stupirci e ci regala un’ironica e gustosa presa in giro di coloro che vengono chiamati a giudicare e che dovrebbero agire con giustizia e sobrietà.
Il titolo dell’ottava storia è La congiura degli Olderichi. Inizialmente il personaggio principale sembra essere Don Giovanni da Ferrara, Parroco di San trovaso, ma in seguito vedremo che i protagonisti saranno ben altri. Troviamo in queste pagine altre divertenti descrizioni: quelle dei tre Savi, o per meglio dirla, i tre Inquisitori. Personaggi che fanno sorridere, talvolta così grotteschi. Riso che tuttavia viene smorzato dal dolore che si percepisce nel comportamento di don Giovanni, e dalla presenza di una profonda cupidigia solo appena nascosta da sentimenti che vogliono sembrare nobili. Ed ecco che allora il sorriso si trasforma in indignazione.
Il ciarlatano è l’ultima delle nove storie veneziane. Il protagonista è Carolino, un ragazzo ingenuo e in fondo buono, ma bravissimo nel cercare e trovare guai a non finire. C’è un altro personaggio incredibile in questo racconto, ed è Mariolda, una povera vecchia che vive di stenti e veste di stracci. Bravissima Fiorella nel descriverla e nel raccontarne la vita difficile.
All’interno di questa nona storia ce n’è un’altra, il cui titolo è Il racconto di Alina. Si tratta di una fiaba bella ma dolorosa in cui certi uomini, come nella realtà, non fanno certamente una bella figura.

Storie, quelle di Fiorella Borin, di cui fatichi a immaginare il finale, mai scontato, sempre imprevedibile, e così ben scritte e strutturate da tenere l’attenzione del lettore desta fino alle ultime pagine.
Una scrittura molto realistica, che descrive la vita per quello che è, eppure, nelle sue storie non manca mai il tocco leggero della sensibilità e della comprensione verso un’umanità che fatica nella sua lotta per un’esistenza accettabile e dignitosa.
Poi, come si è detto più volte, c’è Venezia, questa città meravigliosa e fragile, con la sua storia più che millenaria. Il prestigio e il potere della Serenissima, la crudeltà della sua giustizia, la ricchezza dei pochi e la miseria dei tanti. Ma anche la bellezza dei suoi palazzi, dei canali, le gondole, le calli e i campi.
E come sempre mi succede quando termino la lettura di libri che ritengo belli, faccio un po’ di fatica a ritornare in quella che è la nostra realtà.
Con i bravi narratori ci si allontana facilmente dal quotidiano per vivere, insieme ai personaggi delle storie che ci vengono proposte, esperienze particolari e insolite, talvolta irreali, ma sempre capaci di lasciare in noi qualcosa di nuovo e di buono.

Per concludere, propongo un brano tratto da “Il racconto di Alina“, inserito nella nona e ultima storia.

“All’alba mi levai in piedi. Mi protessi gli occhi con la mano, spinsi lo sguardo più lontano che potevo. La spiaggia era disseminata di cadaveri: la nave degli stranieri ancora dondolava, irridente, all’imboccatura del minuscolo porto. Credetti che attendessero la marea favorevole, per salpare; m’ingannavo, ero giovane e non sapevo nulla dell’animo degli uomini.
Così ritornai al mio nascondiglio, e a turno i gabbiani allargavano le ali per proteggermi dal sole. Udivo un martellante picchiare di colpi e ogni tanto un boato, seguito da un desolato frusciare di fronde: sotto le accette dei forestieri, uno a uno cadevano gli alberi me-lem, sterminati dalla furia di quel principe sanguinario che, accecato dall’invidia, preferiva distruggere tutto ciò di cui non poteva appropriarsi.
[…]
Scoprii che le donne amano in modo assai diverso dagli uomini: nessuna donna avrebbe mai ordinato di abbattere tutti gli alberi me-lem… nessuna donna avrebbe mai decretato la morte di chi ha la sola colpa di essere felice, e di dare agli altri la felicità. Un uomo sì.

Chiesi al mare di rendermi giustizia. Una dopo l’altra, dalla più piccola alla più maestosa, le onde mi risposero sì.”

Piera M. Chessa

Giovanni Falcone: il mio piccolo omaggio a un bravo magistrato e a un uomo per bene.

(Foto da web)

Giovanni Falcone nacque a Palermo il 18 maggio del 1939, e morì, sempre a Palermo, il 23 maggio del 1992, in quella che da quel momento verrà ricordata come la Strage di Capaci, avvenuta a 18 km circa dal capoluogo per volontà di Cosa nostra.
Insieme a lui morirono la moglie, Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, e Vito Schifani.

Sono trascorsi 29 anni da quel tristissimo giorno, ma il dispiacere rimane ancora oggi molto profondo per la maggior parte di noi italiani.
Due mesi dopo, il 19 luglio dello stesso anno, anche Paolo Borsellino, collega e amico di Falcone, verrà ucciso, vittima anche lui di Cosa nostra, nella strage di via D’Amelio, a Palermo.


Voglio ricordare Giovanni Falcone con alcune sue riflessioni.

La seconda è contenuta nel libro Cose di Cosa nostra, e fa parte di un’intervista fattagli dalla giornalista francese Marcelle Mantovani, la terza è stata estrapolata da un’intervista rilasciata dopo la morte dell’imprenditore Libero Grassi, ucciso anche lui dalla mafia per essersi opposto al pagamento del “pizzo”
Grassi era nato a Catania il 19 luglio del 1924, ed è morto a Palermo il 29 agosto del 1991.


“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare. Ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”.

(Giovanni Falcone)


” Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si é privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.

(Da Cose di Cosa nostra, di Giovanni Falcone e Marcelle Mantovani)


“La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.

(Da un’intervista rilasciata da Giovanni Falcone dopo la morte di Libero Grassi)

I bambini di Gaza

(foto da web)

Senti le urla dei bambini di Gaza,
il loro pianto lontano?
E’ notte e i boati interrompono
nel buio più scuro
i loro sogni agitati,
mentre chiamano forte qualcuno
che possa lenire il dolore.

Sono forse diversi i bimbi di Gaza
da quelli israeliani?
La stessa richiesta di aiuto,
la mancanza di padri o di madri,
il medesimo lutto.

Da sempre il rumore spaventa i bambini
ma l’arma li uccide,
quelle armi che han visto ormai troppe volte
tra le mani dei padri,
e un giorno terranno anche loro
abbracciate sul cuore
per tenere lontana la paura, il dolore.

Non c’è pace né tregua su Gaza:
nelle case sventrate non si dorme da tanto,
si piange e si muore soltanto.

Piera M. Chessa

Una nuova vita

(foto da web)

Oggi, 9 maggio 2021, è il giorno dedicato alle mamme, a tutte le mamme, anche quelle che non ci sono più, ma che sono state al nostro fianco e ci hanno dato tanto. E poi quelle che hanno donato, a dei bimbi che non ne avevano avuto, una casa e il loro affetto. E infine, ma non per questo meno importanti, le tante che avrebbero voluto essere mamme ma che, per motivi diversi, non hanno potuto.
Buon 9 maggio a tutte loro!

Un pensiero speciale voglio dedicarlo a mia madre Nina, che non c’è più, perché oggi è anche l’anniversario della sua nascita, e un altro, altrettanto speciale, a mio figlio Alessandro, per il quale scrissi questo testo.


Vita

Per tanti mesi protetto,
accolto con amore
nel caldo nido prenatale.
Dialoghi continui, sottovoce,
per rafforzare un legame
già tenace.
Due vite in una,
istanti irripetibili.

Poi, il momento atteso:
gioia e sofferenza s’intrecciano,
gesti inadeguati, spinte convulse
fino allo spasimo.

Infine, la luce,
troppo forte dopo il buio
accogliente.
Un attimo di smarrimento:
una nuova vita.

(Piera Maria Chessa, dalla raccolta “Un ordinato groviglio”, Casa Editrice Il Filo, 2008)

Il lago di Annecy

(foto da web)

Lo noto all’improvviso
il ragazzo dall’incarnato scuro
seduto su un muretto,
là, di fronte al lago.
Piccoli pezzi di pane
tra le dita di una mano
gettati piano nell’acqua
con pazienza.

Mi fermo incuriosita.

Un cigno bianco
si avvicina lento:
bellissimo
il suo corpo elegante
proteso verso il muro.
In silenzio il ragazzo
dona il pane
una, due, più volte,
suscitando simpatia
in noi che lo osserviamo.

(Dalla raccolta “In viaggio”)

Piera M. Chessa

Un altro “Primo Maggio” senza lavoro

La Festa del lavoro, detta anche dei lavoratori, fu istituita a Parigi nel 1889, ma in realtà bisogna tornare indietro di tre anni per capire meglio di che cosa si tratta.

Il 1° maggio del 1886 avvenne a Chicago un fatto molto particolare: fu organizzato in tutti gli Stati Uniti uno sciopero generale di operai che chiedevano condizioni di lavoro più eque.

In quegli anni infatti si arrivava a lavorare anche sedici ore al giorno, e oltretutto molte persone morivano per via della scarsa sicurezza. I lavoratori, e gli attivisti anarchici che li supportarono, protestarono per oltre tre giorni. Si arrivò così al 4 maggio, e proprio in quel giorno ci furono scontri durissimi tra i manifestanti e le forze dell’ordine. Il bilancio fu di parecchi morti, passati alla storia con il nome “I Martiri di Chicago”.

Fu in seguito a questi episodi che tre anni dopo, il 20 luglio del 1889, i partiti socialisti e laburisti europei si ritrovarono insieme a Parigi per il Primo Congresso dell’organizzazione da loro creata e denominata Seconda Internazionale.

E fu in quella circostanza che si pensò di organizzare una grande manifestazione popolare per chiedere con maggior forza la riduzione dell’orario di lavoro alle otto ore. Inoltre, proprio per ricordare i morti di Chicago,nel maggio del 1886 si stabilì la data del 1° maggio come Giorno del Lavoro o dei Lavoratori.

Il primo maggio dell’anno successivo, il 1890, ci fu così la prima manifestazione internazionale della storia, e nonostante la fortissima opposizione da parte dei governi nazionali, la partecipazione dei lavoratori per la difesa dei loro diritti fu altissima.

In Italia la Festa del Lavoro divenne ufficialmente Festa nazionale dal 1947, ma anche diversi altri stati, europei e non solo, si attivarono in questo senso.

Negli Stati Uniti, invece, benché proprio lì siano incominciate le prime lotte per il conseguimento di condizioni lavorative più giuste, la Festa del Lavoro cade il primo lunedì di settembre.

E oggi? Rispetto al passato, tante cose per fortuna sono cambiate, almeno in parte, per altre c’é ancora molto da fare, in particolare per i lavoratori stranieri; sappiamo bene infatti quanto essi debbano lottare per avere una giusta paga e condizioni di lavoro dignitose.

Oggi, purtroppo, per tutti il problema fondamentale riguarda la pandemia e le sue temibili varianti, che impediscono di riprendere a vivere e lavorare in tranquillità. Quelli che prima avevano un lavoro, e quelli che già faticavano per trovarlo, e che ora si trovano ancora di più in difficoltà.

Con quale stato d’animo, dunque, oggi si può pensare di festeggiare questo giorno? Difficile rispondere.

Possiamo dire solo che lentamente qualcosa forse si sta muovendo, perché gradualmente stanno cominciando a ripartire quasi tutte le attività. Ma continuiamo a vivere “alla giornata”, con lo sguardo fisso sui numeri relativi alla pandemia.

Nessuna certezza può ancora esserci per una vera ripresa, solo la speranza che con i vaccini la vita di tutti possa finalmente perdere i suoi colori sbiaditi da tempo e ritrovare un po’ di luce.

Piera M. Chessa