Archivio | aprile 2022

L’omino della gru, di Eleonora Bernardi

(foto da web)

Impossibile far finta di non vedere la grossa gru che sovrasta il nuovo complesso edilizio che sta sorgendo al centro del quartiere, al posto di uno spazio libero che per oltre trent’anni aveva liberato il respiro dei residenti.

I nuovi palazzi crescono con ritmo costante ormai da più di un anno: un piano dietro l’altro fino alla fatidica bandierina dell’ultimo, a significare che la missione è compiuta per un po’, poi si riparte per nuove fondamenta…

La gru svetta, alta, possente, a volte minacciosa per gli enormi carichi che sposta come fuscelli sospesi nel cielo.

Nella cabina, bugigattolo trasparente, c’è un omino difficile da individuare che lavora da solo, separato dagli altri dall’altezza eppure attentissimo alle richieste che gli vengono da terra, dal basso.

Lui sulle gru c’è stato da sempre, ogni volta, più piccola o più grande, la gru è diventata la sua casa di single, attrezzata dell’essenziale (ci vuole poco per vivere), quello che manca se lo procura nei tempi morti, nel silenzio del cantiere chiuso dal buio della sera.

Allora lui potrebbe tornare nella sua casa di padre, di marito, di figlio…ma non lo fa perché il suo paese è lontano, si confonde tra quelli che rincasano in fretta e s’inerpica fino alla sua stanza con vista panoramica, da dove vede tutto, le luci del quartiere e quelle del mare, in ogni stagione.

Altro che televisione! Lui di giorno e di notte spazia con lo sguardo per ogni dove, vede gli omini che si agitano all’aperto gravati di piccoli e grandi pesi, quelli che si muovono al coperto finché non si spengono le ultime luci che annunciano l’ora del riposo.

Controlla il flusso delle automobili che sfrecciano più veloci durante la notte, spesso il cuore gli balza in gola in attesa di un boato che gli appare inevitabile…ma poi non accade e capisce che lui non potrebbe far nulla in ogni caso.

Abbandona la sorveglianza e comincia a pensare.

Ripensa alla sua vita che lo ha portato così in alto, vicino al cielo, in una posizione privilegiata dove può guardare ai fatti stando a debita distanza, e riflettere con calma senza la paura di domande per le quali non ha risposte. Lui è solo, libero di ridere o piangere a suo piacimento…sembra poca cosa ma si sente fortunato!

Quando dietro gli occhi gli si formano i volti di quelli che ama, e poi li vede sfumare nelle lacrime che gli annebbiano la vista gli sorge un dubbio: che fortuna è la sua?

Ma dura poco, guarda il cielo e le stelle e a loro racconta i suoi sogni e le speranze che tiene nascosti in un fazzoletto che aprirà un giorno, come i gioielli che conserva la sua donna per l’avvenire dei figli, perché non debbano trovarsi a fare una vita come la sua.

Una sera accade che il guardiano notturno gli consegna una lettera, si accorge subito che non viene da casa, e neppure dall’Impresa (non si sa mai…!), chiede, ma il vecchio non sa, non ricorda, forse una donna, forse un ragazzo…

E’ per Ivan, e Ivan è lui.

La legge nel suo alloggio sospeso.

“Gentile signor Ivan, le chiedo scusa se mi intrufolo nella sua vita, d’altronde senza saperlo lei è già entrato nella mia.

Penso spesso a lei e sono combattuta tra la pena e l’invidia, mi addolora saperla lassù tutto solo… ma quando penso al silenzio, ai suoni attutiti che le arrivano, alla possibilità che ha di vedere ogni cosa da una prospettiva più ampia, con il dovuto distacco…beh, penso che sia proprio fortunato e anche coraggioso.

Quelli come me sulla sua gru non salirebbero mai. Avrebbero paura di non avere più il coraggio di scendere!

Ma lei è diverso, ha capito che il suo è un contratto a termine, né più né meno come tanti altri. Per questo continua a salire e scendere godendo ogni momento del suo lavoro. Le auguro di trascorrere una bella domenica (a proposito, che fa quando il cantiere è chiuso?) e la saluto con affetto”.

Cerca una firma che non c’è.

Intanto stringe tra le mani quel filo giunto fino a lui e non sa che fare, poi decide che vuole tenerlo con sé e comincia ad arrotolarlo, come un gomitolo, ma sembra non avere fine…

***

Per una cara amica: Graziella Cappelli

Due giorni fa era il 25 aprile, ed è stato, come sempre, un giorno molto importante per noi italiani, giorno di ricordo e di riflessione.
Ma questa giornata è per me importante anche per altri due motivi che mi coinvolgono molto a livello personale. Il primo è che il 25 aprile del 1980 è andato via mio padre, il secondo motivo è che in quello stesso giorno di un anno così importante come il 1945, nasceva una cara amica che ci ha lasciato due anni fa: si chiamava Graziella Cappelli.
Di lei ho parlato diverse volte, e ancora ne parlerò.
Oggi voglio ricordarla con alcune sue poesie, che probabilmente ho già proposto, ma non importa, perchè ogni volta che leggo qualcosa di suo, in versi o in prosa, mi sembra che lei sia ancora qui a dialogare con noi.


25 Aprile 1945

Sono nata
nella casa
dalle tegole
rotte
e finestre
di vento.

Rifiorivano
i meli
sui campi
incrostati
di sangue.
La Liberazione
cantava
marciando
tra garrule
bandiere
e carri armati
a gremire
le piazze.

Ancora…
piange
la terra.

*

Niente è cambiato

Gira la terra
tra gli artigli
degli umani.

Ancora
cresce l’erba
e il sole
puntuale
sorge.

Niente è cambiato.

Ancora
sempre
ancora
stupidamente
si muore.

*

Quasi tutto passa

Inesorabilmente
giorni ed anni
nel mutare
delle stagioni.
Cambiano
le mode
i governi.
Solo
la stupidità
dell’uomo
è statica.
Da sempre
sfoggia
una corona
di pietra
istoriata
di guerre.

*

Le rondini

Sono tornate
a sorvolare
la casa di pietra
ai margini del bosco.

S’apre il cielo
ai garriti
di frecce piumate e
tra le fronde inverdite
riecheggiano
altri gridi
altri frulli.

Esulta il cuore
spalanca finestre
ad aria nuova
si fa piccolo nido
negli anfratti
del muro a sud
si accoccola.

( Dalla raccolta Nel palazzo dell’ombra, di Graziella Cappelli. Ibiskos Editrice Risolo 2015)

25 aprile 1945 – 25 aprile 2022

(Foto da web)

Oggi è il 25 aprile, una data importante per tutti noi perché in questo giorno, ogni anno, ricordiamo un altro 25 aprile, quello del 1945, scelto come giorno della Liberazione dal nazifascismo, che finalmente mise fine all’occupazione nazista e al regime fascista.

Per questo motivo voglio condividere un brano molto coinvolgente tratto da un bellissimo libro di Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, in cui l’autore racconta con sensibilità ed empatia la terribile esperienza vissuta dai soldati italiani, o meglio, di quel che ancora rimaneva di un esercito ormai allo sbando e allo stremo delle forze, durante la “ritirata russa”,

Una storia che mette in evidenza la bravura di questo grande scrittore, ma anche la sua profonda umanità.

In questo periodo così complicato in cui viviamo, con una guerra in corso a noi vicina, in cui le parole dominanti sono guerra, massacri, torture, morti, fame, sete, profughi, e tante altre ancora, penso che il brano che segue non sia fuori posto, ma, al contrario, possa far nascere in chi lo legge dei sentimenti positivi, per poter ancora sperare in una nuova umanità.

***

Compresi gli uomini del tenente Danda saremo in tutto una ventina. Che facciamo qui da soli? Non abbiamo quasi più munizioni. Abbiamo perso il collegamento con il capitano. Non abbiamo ordini. Se avessimo almeno munizioni! Ma sento anche che ho fame, e il sole sta per tramontare. Attraverso lo steccato e una pallottola mi sibila vicino. I russi ci tengono d’occhio. Corro e busso alla porta di un’isba. Entro.

Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria. – Mnié khocetsia iestj, – dico. Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d’ogni mia boccata. – Spaziba, – dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. – Pasausta, – mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. Nel vano dell’ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra, è venuta con me come per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco.

Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev’esserci stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro.Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati. I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere.

Tornato tra i miei compagni appendiamo il favo di miele al ramo di un albero e un pezzo per uno ce lo mangiamo tutto. Io poi mi guardo attorno come risvegliandomi da un sogno. Il sole scompare all’orizzonte.“.

(Da Il sergente nella neve, di Mario Rigoni Stern)

***

FLORENCE

Sei ora una bimba di otto anni
eppure a me sembri più piccina.
Sarà forse il tuo viso minuto
oppure gli ampi occhi da cerbiatta
che pur vagamente sorridenti
fanno intuire la tua malinconia.
Quanta dolcezza in essi,
in me la tenerezza verso di te
così lontana!
Indossi una maglina verde
e sembra che stia tutta lì
la tua ricchezza.

Guardo ancora la fotografia,
una delle poche cose che ho avuto
ma che è comunque tanto.
So che ci sei, che vivi
in un Paese lontano, dai tuoi protetta
e da me un poco sostenuta
nel tuo percorso di vita.
Mi è sufficiente seguire la tua crescita
e sapere che un po’ alla volta
quello sguardo che ora sembra triste
potrà lasciare spazio a dei sorrisi.

Piera M. Chessa

La leggerezza dei merli

(foto da web)

Becchettano i merli
dal becco giallo
nella tenera erba dei prati
saltellando di qua e di là
con fare goloso.
Sembrano felici ai miei occhi
di umano che fatica
nella sua lotta con la vita,
e ignari mostrano la loro leggerezza
nello sfidare l’aria ed i pericoli,
per fortuna inconsapevoli
di ciò che potrebbe capitare
anche nella loro piccola esistenza.

Piera M. Chessa

Lungo il fiume della vita, di Giovanna Giordani Youcanprint 2021

Questa nuova raccolta poetica di Giovanna Giordani nasce dopo diversi anni di apparente silenzio. Apparente perché l’autrice non ha mai smesso di dedicarsi alla poesia, anzi, ha scritto parecchio, e solo ultimamente ha deciso che era arrivato il momento di dare visibilità a questo suo nuovo lavoro.

La silloge comprende un certo numero di testi in versi liberi, e, nelle ultime pagine, alcuni haiku, brevi componimenti ai quali da tempo lei si dedica con altrettanta passione e bravura.

Sono diversi i temi trattati da Giovanna, ma quello che, secondo me, lei ritiene il principale, e che poi comprende in sé tutti gli altri, è il viaggio, il percorso che ognuno di noi compie nella sua esistenza, un po’ alla volta, giorno dopo giorno. Un cammino che può essere bello, ma indubbiamente anche faticoso.

Non è un caso che lei abbia voluto dare alla sua raccolta questo titolo: Lungo il fiume della vita. Il nostro continuo camminare e attraversare questo fiume, dunque, durante il quale possiamo incontrare terreni pianeggianti o ripide salite, ostacoli, dolori e delusioni, ma anche momenti e periodi belli ed emozionanti, come l’incontro di Giovanna con la poesia, la sua grande passione, e non certamente l’unica, essendo una donna dagli interessi molteplici. Lo scrivere anche in prosa, per esempio, leggere, ma anche dipingere e fare dei gradevolissimi lavori con materiali riciclabili, senza dimenticare l’amore per la musica classica.

Ma ritorniamo alla sua bella raccolta, il cui primo testo s’intitola appunto Cammino, che per Giovanna, come per tutti noi, credo significhi anche compiere un percorso mentale, cercando di andare sempre avanti. Dunque, migliorare come individui, sembra dirci la poetessa, persone che fanno parte di un’unica razza, quella umana, niente deve dividerci e allontanarci, per questo abbiamo il dovere di dare il nostro contributo affinché l’intera società possa migliorare e progredire.

In sintesi, dobbiamo rispettare ogni persona che incontriamo nel nostro percorso di vita. Ma non soltanto. Vivendo con la natura e a contatto con gli animali, dobbiamo avere per l’una e per gli altri lo stesso rispetto.

La natura ci nutre, ci disseta, ci dona tanta bellezza. Possiamo devastarla, ucciderla? Lei è la nostra grande casa, quella in cui, tutti insieme, abitiamo, e non rispettandola, facciamo danni irreversibili anche a noi stessi.

Ma non troviamo solo questo nelle poesie di Giovanna. Oltre ad un grande amore per il mondo naturale, è presente l’affetto e l’apprezzamento verso Papa Francesco, al quale riconosce coerenza e profonda sensibilità, vedendo in lui quella guida spirituale di cui oggi si ha ancora più bisogno. Un altro tema importante è la guerra, contro la quale scrive parole molto amare, ma anche la speranza, che scaturisce dal desiderio di una pace duratura per tutti i popoli, il Natale, con le sue suggestioni, i ricordi, sempre tenaci in ciascuno di noi, e ancora, l’affetto per la nostra Italia e per l’Europa, di cui ugualmente sente di fare parte.

E’ grande il cuore di Giovanna, ed è generoso e aperto agli altri, molte sue poesie lo evidenziano.

Voglio concludere dicendo che in questa interessante raccolta, benché conosca bene le difficoltà della vita, non manca mai, da parte sua, uno sguardo positivo ed equilibrato, capace di credere ancora nella forza della speranza, e nel desiderio di rinascita degli uomini.

Di seguito, le poesie di Giovanna, che comprendono anche alcuni haiku. Buona lettura.

***

CAMMINO

Cammino

dove il vento mi sospinge

Afferro un refolo di poesia

e la strada impervia

si va mutando

in un tappeto di velluto

rosso

sul quale avanzo ammaliata

cantando

*

IL POETA

Il poeta aveva gli occhi chiari

e nel cuore aurore boreali

di notte cavalcava gli ippogrifi

e di giorno sognava di volare


Il poeta parlava con il vento

per sapere il segreto delle cose

ma il vento non  stava ad ascoltare

e gli lasciava polvere sul viso


Il poeta cercava sempre un canto

anche dentro lo spegnersi del sole

e quando una pena l’opprimeva

piantava fiori dentro i suoi pensieri.

*

DOLOMITI

Più dolce e seducente

è il bacio del sole

nella sera

ed anche le aquile

sazie di voli

sorridono

del vostro arrossire

*

L’OMBRA

Il grande platano

appoggia la sua ombra

sul muro ocra dell’antica villa

Fra gli scampoli di luce

il sole gioca e sfavilla

Lontana pare

a quell’ora

la sera

*

LE VOCI DEL BOSCO A PRIMAVERA

Le voci del bosco a primavera

sono dolci sbadigli

dai letti delle foglie

addormentate

sono risa argentine

dei rivoli

figliati dalla neve

Le voci del bosco a primavera

sono trilli di gioia celestiale

saltellanti fra i rami folti o radi

che giungon nelle tane più profonde

togliendo dal torpore

ogni animale

Le voci del bosco a primavera

s’involano poi liete su nel cielo

a inventare col vento le canzoni

che accendano bellezza

dentro ai cuori

*

DI TUTTE LE CREATURE

Di tutte le creature della terra

a mio parere la più bella

è la famiglia dei fiori

Gentili, minuscoli e grandissimi

colorano il mistero della vita

di bellezza e profumi soavi

nei giardini, nei prati, nei boschi

o in riva ai fiumi

Di tutte le creature della terra

la più somigliante a Dio

penso che sia

la sublime famiglia dei fiori.

*

VOLTEGGIAMO

Plasmati dal dolore

vestiti di illusioni

volteggiamo sulla vita

e i suoi tranelli

inseguendo la gioia

come farfalle

*

CANTO POVERO

Non ascolto

il tremore del cuore

mentre mi allontano

su un battello malconcio

Non voglio pensare

che sia un lugubre incanto

questo che odo

di sirene lontane

E se non approderà

a un paradiso

questa fragile nave

vi lascio le grida

del mio povero canto

disperso

fra le onde ignare

del mare

*

NELLA TRINCEA

Nella trincea

sul monte

crescono l’erba e i fiori

a consolare

le ferite della terra

e nel prato

dalle mine martoriato

risplendono i cardi

come stelle

Sbucano le marmotte

dalle tane

squillando i loro inni

alla vita

Conduce il vento

invocazioni di PACE

come eco smarrite

in cerca di dimora

dentro i cuori

*

IL MONDO DI OLIVA

Il mondo di Oliva

è senza rumori

ma non servono voci

per pulire la casa

e cuocere i cibi

si può stare anche senza parlare

o sentire

e poi basta uscire un po’ sul terrazzo

e guardare seduti la vita che scorre

laggiù nella strada

Qualche anima buona ogni tanto

la viene a trovare

la Oliva

ed è bello in due sferruzzare parole

in silenzio

e accennare col capo un’intesa

sospesa

preziosa

si si

*

CASA DI RIPOSO

Sguardi affacciati

dalle carrozzine

allineate

lungo il corridoio

come rondini in sosta

sui fili della luce

tenere

distanti

mute

*

OTTOBRE ANCORA

Ottobre mi appartiene

ha udito il mio primo vagito

e ad ogni suo ritorno

io rinasco

e stupisco

come  la foglia imbevuta di sole

che danza nel cielo turchese

Ottobre mi appartiene

anche quando distende

la sua nebbia dintorno

e nel silenzio lo sa

che noi c’intendiamo

*

RICORDI

Dal filo teso della mia memoria

lentamente cominciano a slegarsi

i panni scoloriti dei ricordi

ad uno ad uno cedono al fermaglio

e  cadono con tonfi delicati

sui fili d’erba chinati dal vento

Taluni non si vogliono staccare

tenaci  resistono e risplendono

attendono un mio cenno per volare

*

IO RINGRAZIO

Quando ricevo il saluto del giorno

con la speranza che mi danza intorno

quando cammino lieta fra la gente

come pesce che nuota col suo branco

quando la pace si distende accanto

al mio esistere e mi bacia l’anima

quando penso che qualcuno ha scritto

una poesia che mi conquista

quando sento il suono delle campane

ammaliatore come di sirene

quando penso all’amore e all’amicizia

che ho potuto dare e ricevere

quando viene sera e mi abbandono

serenamente ai sogni della notte

allora

anche a labbra chiuse

per queste

ed altre cose

io ringrazio

la vita

***

ALBERO

Senza paura

la sua anima di legno

accoglie nidi

*

PRIMAVERA

All’unisono

si aprono le corolle

coi nuovi amori

*

LA DANZA DELLE FOGLIE

Danzano lievi

abbracciate dal vento

senza pensieri

Il saluto di Marzo

Ed ecco che Marzo
si accinge a salutare.
Non è stato un bel mese
preoccupati come siamo
per una guerra in corso
certamente non voluta.

Ci ha donato, come sempre,
l’arrivo della primavera
ma non c’è gioia in noi
nè voglia di rinascita.

Così cerchiamo
nelle nostre passioni
brevi momenti di serenità:
leggiamo, scriviamo,
osserviamo e fotografiamo
distraendoci in mezzo alla natura,
talvolta disegniamo o dipingiamo.

Ma la malinconia
tenacemente ci sta accanto
e non ci lascia tregua.

Piera M. Chessa