Stavo lì nel mezzo della valle quel pomeriggio estivo ed osservavo intorno. A sinistra ed ugualmente a destra mi circondavano i monti così alti e irraggiungibili. Ovunque, l’intenso verde dei prati, e al di sopra, l’infinito azzurro del cielo.
Io, davanti alla bellezza, gioivo intensamente.
Ma poi il mio sguardo cadde su alcune radure lontane situate sui versanti dove prima del passaggio di Vaia svettavano larici e abeti, e dove ora giacevano i tronchi di numerosi alberi abbattuti dalla forte pioggia e dal vento, e non ancora raccolti.
Pensai in quei momenti quanto possa essere effimera e provvisoria ogni forma di vita sulla Terra.
Come camminano veloci gli anni! Avvenimenti lontani del nostro passato sembra che solo ieri siano accaduti. Non camminano gli anni, corrono, non corrono, volano, e nel frattempo il tempo si burla di noi, di noi che crediamo sempre di averne avanti tanto.
Siamo fragili steli d’erba, giunchi che subito si piegano. Passano le gioie e i dolori di una vita senza che di noi rimanga traccia, se non per quei fortunati che vivranno un poco ancora nella memoria dei propri cari, se di essi sarà rimasto in loro un buon ricordo.
Enrico Berlinguer nacque a Sassari il 25 maggio del 1922, il 7 giugno del 1984, durante un comizio, ebbe un ictus, dal quale non si riprese più. Morì a Padova quattro giorni dopo: era l’11 giugno. Al suo funerale partecipò una folla immensa. Avvenne esattamente 38 anni fa.
Enrico Berlinguer era un uomo riservato, timido e di poche parole, ma anche amabile e gentile. Eppure sui palchi, durante i comizi, dimostrava una determinazione e una passione politica come pochi. Sembrava a tutti un uomo fragile, era magro e piccolo di statura, ma non manifestava mai la stanchezza fisica o eventuali altri problemi. Persino nel giorno del suo ultimo comizio, quando incominciò a stare male e vacillò alcune volte, si rimise in piedi e completò il suo discorso, prima di essere sostenuto dai suoi.
Era un uomo che non si risparmiava, e nello stesso tempo, attaccatissimo alla famiglia, dedicava ogni momento libero alla moglie e ai quattro figli: Bianca, Marco, Maria e Laura.
Talvolta gli veniva detto che sembrava un uomo triste, ma non era vero e lui lo ribadì più volte. Questo giudizio gli dispiaceva un po’, sentiva che non gli apparteneva. Lo dimostrano anche diverse fotografie in cui scherza con amici e conoscenti, e soprattutto le parole della figlia Bianca, che ricorda momenti belli e divertenti trascorsi con il padre.
Enrico Berlinguer era un uomo che aveva diversi interessi: il mare, la vela, la pesca, lo sport, la musica classica. Era un uomo coraggioso, e talvolta anche temerario, soprattutto quando il mare era particolarmente agitato, e spesso teneva in ansia chi gli stava vicino. Tutte le estati trascorreva le vacanze a Stintino, allora, piccolo borgo di pescatori, ora, rinomata località di villeggiatura. Erano giorni in cui la politica veniva lasciata fuori, e lui si dedicava alla famiglia e agli amici, che non aveva mai dimenticato.
E quando, dopo le vacanze, ritornava a Roma, tutte le sue energie venivano spese per la politica. Rigoroso e preciso, preparava ogni comizio curando ogni singola parola che avrebbe in seguito pronunciato. Così, ogni incontro con i suoi sostenitori si trasformava in una marea di persone che dimostrava di apprezzarlo e di volergli bene.
Quest’anno, il 25 maggio, sono stati ricordati i cento anni dalla nascita di E. Berlinguer. Spesso mi capita di pensare che cosa avrebbe detto oggi lui del periodo assurdo che stiamo vivendo. Difficile dirlo, ma una cosa è certa: non gli sarebbe piaciuto per niente. Lui che ha vissuto i giorni dell’uccisione di Moro, il terrorismo, le aspre lotte politiche, il decadimento della politica, la corruzione…
Come sembra attuale la “sua” questione morale, nonostante i quasi trent’anni trascorsi!
E allora eccolo il suo pensiero, così rigoroso e giustamente severo, su un problema ancora oggi straordinariamente attuale.
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La “questione morale” in Enrico Berlinguer
Di seguito, alcuni brani tratti dalla bella intervista che Eugenio Scalfari fece ad EnricoBerlinguer, per La Repubblica, il 28 luglio del 1981, dal titolo “Dove va il PCI?”
«I partiti non fanno più politica», mi dice Enrico Berlinguer, ed ha una piega amara sulla bocca e, nella voce, come un velo di rimpianto. Mi fa una curiosa sensazione sentirgli dire questa frase. Siamo immersi nella politica fino al collo: le pagine dei giornali e della Tv grondano di titoli politici, di personaggi politici, di battaglie politiche, di slogans politici, di formule politiche, al punto che gli italiani sono stufi, hanno ormai il rigetto della politica e un vento di qualunquismo soffia robustamente dall’Alpi al Lilibeo…
«No, no, non è così.», dice lui scuotendo la testa sconsolato. «Politica si faceva nel ‘45, nel ‘48 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fine degli anni Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee, certo, scontri di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c’era allora, quanto entusiasmo, quante rabbie sacrosante! Soprattutto c’era lo sforzo di capire la realtà del paese e di interpretarla. E tra avversari ci si stimava. De Gasperi stimava Togliatti e Nenni e, al di là delle asprezze polemiche, ne era ricambiato.»
Oggi non è più così?
«Direi proprio di no: i partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia.»
La passione è finita? La stima reciproca è caduta?
«Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa”
[…]
Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
«È quello che io penso.»
Per quale motivo?
«I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c’è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, “il Corriere della Sera”, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il “Corriere” faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.»
[…]
«Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.»
Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
«Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant’anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo noi»
Non voi soltanto.
«È vero, ma noi soprattutto. […]
“Noi abbiamo messo al centro della nostra politica non solo gli interessi della classe operaia propriamente detta e delle masse lavoratrici in generale, ma anche quelli degli strati emarginati della società, a cominciare dalle donne, dai giovani, dagli anziani. Per risolvere tali problemi non bastano più il riformismo e l’assistenzialismo: ci vuole un profondo rinnovamento di indirizzi e di assetto del sistema. Questa è la linea oggettiva di tendenza e questa è la nostra politica, il nostro impegno. Del resto, la socialdemocrazia svedese si muove anch’essa su questa linea: e quasi metà della socialdemocrazia tedesca (soprattutto le donne e i giovani) è anch’essa ormai dello stesso avviso. Mitterrand ha vinto su un programma per certi aspetti analogo.»
[…]
Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
«La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche.»
La festa della Repubblica è stata istituita il 2 giugno del 1949, esattamente tre anni dopo la nascita della Repubblica Italiana, avvenuta il 2 giugno del 1946 con un referendum istituzionale che coinvolgeva monarchici e repubblicani.
Fu un voto molto sentito dagli italiani, che andarono numerosissimi ad esercitare questo diritto. Il referendum si concluse in questo modo: i repubblicani ebbero 12.182.855 voti, i monarchici invece 10.362.709.
Il 2 giugno di quell’anno fu molto importante per altri due motivi: per la prima volta le donne ebbero diritto di voto, escludendo quello del 10 marzo dello stesso anno quando andarono a votare per le Elezioni amministrative in un certo numero di comuni italiani. Il secondo motivo riguarda la nascita dell’Assemblea Costituente, formata da 556 deputati, dei quali 21 erano donne, e che nacque col compito di lavorare alla prima stesura di una Costituzione per la Repubblica appena nata. Il primo incontro avvenne il 25 giugno del 1946; il 15 del mese successivo venne costituito un gruppo, molto più ristretto, di 75 padri costituenti, di cui fecero parte anche cinque donne. Il loro lavoro si concluse negli ultimi giorni del dicembre del 1947. La Costituzione entrò in vigore il primo gennaio del 1948.
Da quel lontano 2 giugno del 1949, il nostro Paese festeggia tutti gli anni la nascita della Repubblica italiana. I festeggiamenti principali avvengono a Roma, ma sono diffusi nelle varie regioni un po’ ovunque.
Nella Capitale il Presidente Mattarella si è recato anche oggi presso l’Altare della Patria e ha deposto una corona d’alloro sopra la tomba del Milite Ignoto, che rappresenta tutti i soldati caduti in guerra e mai riconosciuti. Mentre le frecce tricolori, cioè la pattuglia acrobatica dell’Aeronautica Militare Italiana, sorvolavano il centro di Roma rallegrando il cielo con i colori della nostra bandiera.