Quante nuvole nel cielo di Firenze, quanta pioggia sui tetti e sulle vie! E’ sempre più raro un giorno di bel tempo in questo primo mese dell’anno.
Poi, improvviso, un raggio di sole: tenue, sbiadito, ma pur vero. Ed ecco che il cielo si apre e l’azzurro si espande.
Ora, oltre i tetti, si vede la cupola della chiesa di San Frediano in Cestello accarezzata dal sole. Basta poco perché anche nel mio cuore si accenda una piccola luce.
cagnolino mio, perché non voglio vederti soffrire così. Quanti giorni mesi e anni abbiamo trascorso insieme, ed ora che il tempo è giunto mi rendo conto di quanto sia stato inutile essermi preparata a questo triste momento che ora ci separerà.
Sarà impossibile dimenticarti. Hai donato negli anni a me e a tutti noi dosi massicce di affetto, la gioia dei tuoi occhi nel rivederci rientrando a casa dopo il lavoro. I tuoi strofinamenti sui nostri abiti che, ahimè, lasciavano il segno.
Quante continue spazzolate! E la tua linguetta sempre pronta a colpire e a lasciare le sue tracce. La tua soddisfazione nel gustare il cibo e i tanti premietti che ti abbiamo donato, pur sapendo che erano sì gustosi ma certamente non sani.
E posso dimenticare le tue corse gioiose nei boschi e sulle spiagge? Il doverti talvolta cercare perché sfuggivi alla nostra vigilanza?
Molte cose ancora vorrei ricordare di questa nostra bella vita insieme. Ma il dolore è grande e la malinconia mi avvolge ed è pesante. Mi fermo qui, non posso andare avanti.
Mi rimarranno i video e le fotografie, ma soprattutto quel tuo sguardo dolce da cerbiatto, ora vecchio e malato. Ti lascio andare, eppure ugualmente ti porterò con me, e questa volta sarà per sempre.
Lavora in un piccolo supermercato, Amath, e viene dal Senegal, e come tanti ha attraversato il mare. Un mare in burrasca, quel giorno ora lontano, che a molti suoi compagni ha rubato la vita.
Era ancora piccolo, nessuno lo accompagnava su quel vecchio barcone carico di migranti, eppure qualcuno mosso da pietà gli è stato accanto. Ora Amath è cresciuto, conosce una lingua nuova e ha trovato un lavoro.
La sua è una vita dura e il giorno incomincia presto, quando il buio notturno avvolge ancora Firenze. Ma lui sorride sempre mostrando candidi denti, mentre i suoi occhi luminosi e schietti incontrano talvolta i miei.
Da diversi giorni gli alberi della piazza del Carmine hanno cambiato abito. Sono belli i loro colori capaci di trasmettere un pizzico di leggerezza in queste spente giornate di pioggia.
Il giallo e il verde, il rosso e il castano, si alternano e guardano verso un cielo grigio che non promette calore.
Eppure sono loro, queste foglie variopinte, a regalare una piccola e dolce sensazione di gioia, mentre intorno i palazzi che circondano la piazza mostrano con discrezione la loro antica bellezza.
Un brano molto interessante dello scrittore giapponese Murakami Haruki, tratto dal libro Il mestiere dello scrittore e pubblicato con Einaudi.
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“ La mia sensazione iniziale riguardo alla scrittura – qualcosa di piacevole e divertente – non è cambiata. Ogni mattina mi alzo presto, vado in cucina a fare il caffè, lo verso in una grossa tazza, con la tazza in mano mi siedo alla scrivania, accendo il computer ( ogni tanto penso con nostalgia ai fogli da quattrocento caratteri e alla mia grossa stilografica Montblanc), e inizio a riflettere: ” Bene, adesso cosa scrivo? ” Ecco, quello è veramente un momento di felicità. Ad essere sincero, non ho mai pensato che scrivere potesse essere una sofferenza. Né mi è mai successo di soffrire perché non riuscivo a scrivere ( per mia fortuna). Semplicemente penso che se se scrivere romanzi non fosse piacevole, non avrebbe significato farlo. Considerare la scrittura una tribolazione è un’idea che non mi appartiene. Penso che fondamentalmente debba essere qualcosa che sgorga in modo spontaneo. Non ritengo affatto di essere un genio. Né ho mai pensato di avere qualche talento particolare. E’ chiaro che non posso nemmeno dire di non averne, dato che sono più di trent’anni che vivo della mia scrittura. Può darsi che abbia una certa stoffa, un’inclinazione personale. Ma è qualcosa che non posso valutare da solo, quindi è inutile che ci rifletta sopra. E’ un giudizio che lascio esprimere ad altri, ammesso che esista qualcuno in grado di farlo. Ciò cui ho sempre attribuito e attribuisco ancora la massima importanza, e che riconosco francamente, è il fatto che mi è stata data, da parte di qualche forza ignota, l’opportunità di scrivere. Quest’opportunità io l’ho colta, e, aiutato anche da molta fortuna, sono diventato romanziere. E’ il risultato di un dono, un dono per il quale provo una sincera riconoscenza, anche se non so da dove arrivi. Ho protetto con cura la capacità che ho ricevuto […] e mi rallegro che mi sia stato concesso di continuare a scrivere fino a oggi. Dopo, sarà quel che sarà.“
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Murakami Haruki è nato nel 1949 a Kyoto. I libri da lui pubblicati sono diversi, tra questi IQ84, L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio e Uomini senza donne. E inoltre i volumi Sonno,La strana biblioteca e Gli assalti alle panetterie, arricchiti con i disegni di grandi illustratori.
Si affaccia su un’ampia piazza che ha il suo stesso nome la chiesa del Carmine, a Firenze, e sembra guardare materna la gente che passa davanti al suo portone.
Le persone che ancora assonnate al mattino si recano al lavoro, i bambini e i ragazzi che imbronciati trascinano lo zaino per aver lasciato presto un letto caldo e protettivo.
I poveri del quartiere che in queste fredde mattine di novembre si avviano, con gli occhi bassi, verso il Centro sociale per un pasto caldo.
Quanta umanità ogni giorno attraversa vicoli e piazze custodendo dentro di sé un sogno, un progetto, una speranza, ma anche tanto dolore.