Aprile

(Foto di Piera Chessa)

Si disperdono le nuvole
nel cielo che con fatica
cerca di disegnare
oasi azzurre di paradiso.

Ovunque, intorno,
alberi tra loro diversi
mostrano con giusto orgoglio
le loro verdi chiome.

Così, la bellezza di questa
incoerente primavera
pur nella sua incertezza
apre per noi la strada alla speranza.

Piera Chessa

Pensando a un “25 aprile” lontano

(foto presa dal web)

Un brano tratto da un racconto di Mario Rigoni Stern che fa parte di una raccolta intitolata “Sentieri sotto la neve“, e il cui titolo è “… Che magro che sei , fratello!

Lo riporto pensando a un “25 aprile” lontano, quello del 1945, ma mai così tanto distante da noi da doverlo dimenticare; anzi, è un giorno che dobbiamo sempre avere presente perché ciò che è successo in quell’anno, e soprattutto in quelli precedenti, deve essere indimenticabile non soltanto per noi, ma per quelli che oggi sono ancora bambini, adolescenti o giovani, e per quelli che verranno dopo e dopo ancora.
Troppe volte si dice che la Storia insegna, eppure, questi nostri tempi di profonda decadenza sembrano dimostrare esattamente il contrario, facciamo dunque tutti in modo che non sia così. Ognuno, qualsiasi sia il suo ambito, qualunque lavoro faccia o abbia fatto, ha il dovere di dare il suo contributo nei modi a lui più congeniali. Quando crediamo fermamente in ciò che riteniamo giusto, possiamo dire che niente è facile nel cercare di conseguire un obiettivo, ma che vale sempre la pena di provarci cercando di dare il massimo.
Ricordiamo sempre le parole di Antonio Gramsci: “Odio gli indifferenti“. Lui sapeva bene quel che diceva, e pagò un prezzo molto alto per il suo impegno e la sua coerenza.
E non dimentichiamo anche le parole di un altro grande leader più vicino a noi, Enrico Berlinguer, che spesso diceva:”Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno“.
Se penso a loro, ma per fortuna anche a tanti altri, e la mia mente si sposta poi sull’oggi, provo un’immensa vergogna come cittadina di un Paese di cui vorrei essere invece solo orgogliosa.

***

Ed ecco il brano tratto dal racconto di M. Rigoni Stern.

Ormai il Lager era lontano. Nemmeno più ci pensava, anche se erano passati pochi giorni. Ora stava risalendo le montagne verso il confine; camminava di notte, e di giorno se ne stava rintanato lungo il fiume come un animale notturno. Nascosto dentro i cespugli, ogni tanto chiudeva gli occhi e si lasciava prendere da un sonmo leggero e bastava il frullo di un’ala a risvegliarlo. Per nutrirsi staccava dai rami degli alberi del bosco germogli di peccio, foglie tenerissime di faggio e di acero appena nate, raccoglieva e portava alla bocca i germogli di mirtillo, di lampone e di rosa canina. Masticava lentamente assaporando i diversi gusti che erano pur sempre più buoni e graditi della brodaglia che passava il Terzo Reich.
I pezzetti di pane nero e duro che era riuscito a mettere da parte erano finiti da giorni e anche se aveva nello zaino un sacchetto di semolino non poteva accendere un fuoco per fare la polenta. Il semolino l’aveva trovato tra le macerie di un palazzo a Graz, dopo un bombardamento aereo. In una credenza sfondata, fra le travi che bruciavano e i calcinacci. Se le SS ungheresi lo avessero sorpreso in quel momento, lo avrebbero ucciso e abbandonato sul posto. Come avevano fatto con quel povero fante siciliano.
Quella sera, quando li avevano radunati per riportarli nel Lager si era nascosto tra le macerie, anche perché un vecchio che lo aveva osservato mentre scavava gli aveva detto:” Geh sofort nach Hause! Du bist ganz kaputt!”. 1
Così con la notte aveva abbandonato la città, orientandosi con le stelle. Raggiunto il fiume che scendeva dalle montagne aveva risalito la corrente. Dopo notti di cammino, una mattina aveva visto le Alpi innevate. Era arrivato nei pressi della strada che portava in Italia. Sentì passare colonne di automezzi; poi queste si diradarono; osservò piccoli gruppi appiedati, soldati in bicicletta o su carri agricoli tirati da cavalli o muli. In coda anche soldati disarmati o feriti. Forse era proprio e finalmente la fine.”

1 “Vai subito a casa! Sei a pezzi!”

(Da “Sentieri sotto la neve“- Mario Rigoni Stern1998Giulio Einaudi Editore)

Nella trincea

Un bel testo poetico della poetessa trentina Giovanna Giordani.

NELLA TRINCEA

Nella trincea
sul monte
crescono l’erba e i fiori
a consolare
le ferite della terra
e nel prato
dalle mine martoriato
risplendono i cardi
come stelle

Sbucano le marmotte
dalle tane
squillando i loro inni
alla vita

Conduce il vento
invocazioni di PACE
come eco smarrite
in cerca di dimora

dentro i cuori

(Giovanna Giordani-Dalla raccolta “Lungo il fiume della vita”- Youcanprint 2021)

I due vecchi

(foto presa dal web)

Il vecchio, con i capelli bianchi e ricci
la carnagione scura e rugosa,
sedeva silenzioso tra gli amici.

Lo sguardo assente rivelava ansia
per la salute malferma della compagna
mentre il suo debole udito gli impediva
di seguire la conversazione
che si teneva accanto.

Al suo fianco, un grosso cane
dall’indole mansueta e avanti negli anni,
si lasciava accarezzare dalla sua mano stanca.
Lo sguardo dei due vecchi si somigliava:
entrambi tristi, entrambi un po’ sconfitti.

Piera Chessa

La via senese

E’ un via vai continuo
nella Via Senese
dove transitano
autobus, moto
e automobili.
Qualcuno suona
con impazienza:
è forte il desiderio
di oltrepassare.

Arriva un’ambulanza:
le auto si fermano
e attendono con calma
nel sentire l’acuto
sibilo della sirena.

E’ ormai sera.

In molte case
si accendono le luci
e gli ambienti si illuminano.
Sopra i tetti
l’azzurro del cielo
si fa lentamente più scuro
ma nella via il traffico
è sempre intenso
e soltanto l’arrivo della notte
riporterà il silenzio atteso.

Dalla raccolta inedita “Quotidianità

Piera Chessa

Come marziani

(foto di P. Chessa)

Quanta tristezza oggi avvolge
i lunghi rami ancora spogli
degli alberi di molti giardini!
Ovunque, intorno
il grigio surreale del cielo
sembra non appartenere più
a questo mondo
ogni giorno più estraneo
a noi che lo abitiamo.
Come marziani ci aggiriamo
su questa Terra
che da tanto tempo
ci ospita con generosità
ma che non ci appartiene
come invece noi pensiamo.

Piera Chessa

L’oceano

Finalmente per la prima volta
vidi l’oceano accanto a me.
Sconfinato e ventoso
donava generoso i suoi flutti
alle rocce ridisegnate dal tempo.

L’Atlantico mi guardava sornione
nascondendo i suoi tranelli
sotto un ampio manto blu.
Accarezzato dal sole
si lasciava ascoltare
e la sua musica forte e penetrante
seduceva il mio animo.

I gabbiani volavano a schiere
lasciando nell’aria acute note stonate
prima di posarsi senza timore
a pochi passi da noi.
E qualcuno, amico da tempo,
portava loro del cibo
sul quale si avventavano affamati
per poi adagiarsi sazi al sole.

(Dalla raccolta inedita Viaggiando)

Piera Chessa

Alda Merini: la sua forza, la sua fragilità

(foto presa dal web)

Oggi è il 21 marzo, primo giorno di primavera. In quello stesso giorno e in quello stesso mese, nel 1931, nasceva a Milano Alda Merini.
In questo giorno speciale voglio ricordarla proponendo alcune sue poesie. Sarà lei, con i suoi bei versi, a raccontare un pezzetto di sè.

Ecco dunque cinque sue poesie, tutte tratte dalla raccolta “Alda Merini”, a cura di Nicola Crocetti – diVersi Corriere della sera – 2019

La poetessa morì, sempre a Milano, la sua città, il 1° novembre 2009

                                                                                 ***

Anche l’oggi sarà dentro la storia

Anche l’oggi sarà dentro la storia
della mia vita ma non era l’oggi
che io volevo quand’ero bambina
oggi è un oggi diverso, senza grida
afono e grigio come una fontana
oggi è l’oggi di ieri manifesto
solo nel mio respiro prigioniero:
o larghe nubi come fonderei
volentieri il mio passo
dentro quel cielo che racchiude tutta
tutta l’avversità del mio destino.

La morte mi è nemica

La morte mi è nemica
non mi viene a rapire
e pur con le mie dita
io tento di fuggire
da questa amara vita,
ma non vuole colpire
il mio cuore di foglia,
morte vuole tradire
questa tenera voglia
e morir fa l’insetto
e la gente gentile
ma a me che son reietta
non mi viene a colpire.

*

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

Alda Merini

Amai teneramente dei dolcissimi amanti
senza che essi sapessero mai nulla.
E su questi intessei tele di ragno
e fui preda della mia stessa materia.
In me l’anima c’era della meritrice
della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.
Molti diedero al mio modo di vivere un nome
e fui soltanto una isterica.

Padre, se scrivere è una colpa

Padre,se scrivere è una colpa
perché Dio mi ha dato la parola
per parlare con trepidi linguaggi
d’amore a chi mi ascolta?

Ormai vecchia di anni e senescente,
dove trovare un filo di erba buona?
Che sai dei miei conventi, della grazia
matura delle sante,delle grandi
anime folli? Che posso io trovare
tra gli osanna dell’uomo di cultura?
Altrove è il canto, altrove è la parola
e Dio non la pronuncia.

***

Una nuova alba

(foto presa dal web)

Guardo fuori oltre i vetri:
una nuova alba si avvicina
ma vedo che il cielo
non si è ancora schiarito.

Attendo qualche istante
per consentire agli occhi
di abituarsi al buio
e poter percepire qualcosa.

A fatica intravedo
la sagoma scura di un uomo
che attraversa la strada.
Già il lavoro lo attende
e non aspetta.

Anch’io mi accingo a vivere
un nuovo giorno:
un altro piccolo pezzo di vita.

Piera Chessa

Mariangela Gualtieri

Una poesia della poetessa Mariangela Gualtieri

*

Questo giorno io lo butto via
sparpaglio le sue ore ciondolando
guardo la pioggia fine solo stando
ferma, seduta qui al tavolino.
Lo butto come giorno che non conta
una cartaccia sporca, una buccia
niente di niente che si getta via.
Si chiama lunedì, si chiama aprile
numero ventinove e piove piove
e sarei piena di cose da fare
per farne un giorno col suo risultato.
Ma l’ho detto. Sarà buttato, sperso
consegnato ad un ozio che non vale
se non come preghiera. Allora dire
ecco, io offro questo ciondolare
sull’altare del mondo affaccendato.
Faccio io il perno che non muove.
Il punto che sta fermo. Lo bado io
quell’immobile stato delle cose.

( Mariangela Gualtieri – Dalla raccolta Le giovani parole Giulio Einaudi Editore 2015)