Un brano tratto da un racconto di Mario Rigoni Stern che fa parte di una raccolta intitolata “Sentieri sottola neve“, e il cui titolo è “… Che magro che sei , fratello!“
Lo riporto pensando a un “25 aprile” lontano, quello del 1945, ma mai così tanto distante da noi da doverlo dimenticare; anzi, è un giorno che dobbiamo sempre avere presente perché ciò che è successo in quell’anno, e soprattutto in quelli precedenti, deve essere indimenticabile non soltanto per noi, ma per quelli che oggi sono ancora bambini, adolescenti o giovani, e per quelli che verranno dopo e dopo ancora. Troppe volte si dice che la Storia insegna, eppure, questi nostri tempi di profonda decadenza sembrano dimostrare esattamente il contrario, facciamo dunque tutti in modo che non sia così. Ognuno, qualsiasi sia il suo ambito, qualunque lavoro faccia o abbia fatto, ha il dovere di dare il suo contributo nei modi a lui più congeniali. Quando crediamo fermamente in ciò che riteniamo giusto, possiamo dire che niente è facile nel cercare di conseguire un obiettivo, ma che vale sempre la pena di provarci cercando di dare il massimo. Ricordiamo sempre le parole di Antonio Gramsci: “Odio gli indifferenti“. Lui sapeva bene quel che diceva, e pagò un prezzo molto alto per il suo impegno e la sua coerenza. E non dimentichiamo anche le parole di un altro grande leader più vicino a noi, Enrico Berlinguer, che spesso diceva:”Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno“. Se penso a loro, ma per fortuna anche a tanti altri, e la mia mente si sposta poi sull’oggi, provo un’immensa vergogna come cittadina di un Paese di cui vorrei essere invece solo orgogliosa.
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Ed ecco il brano tratto dal racconto di M. Rigoni Stern.
“Ormai il Lager era lontano. Nemmeno più ci pensava, anche se erano passati pochi giorni. Ora stava risalendo le montagne verso il confine; camminava di notte, e di giorno se ne stava rintanato lungo il fiume come un animale notturno. Nascosto dentro i cespugli, ogni tanto chiudeva gli occhi e si lasciava prendere da un sonmo leggero e bastava il frullo di un’ala a risvegliarlo. Per nutrirsi staccava dai rami degli alberi del bosco germogli di peccio, foglie tenerissime di faggio e di acero appena nate, raccoglieva e portava alla bocca i germogli di mirtillo, di lampone e di rosa canina. Masticava lentamente assaporando i diversi gusti che erano pur sempre più buoni e graditi della brodaglia che passava il Terzo Reich. I pezzetti di pane nero e duro che era riuscito a mettere da parte erano finiti da giorni e anche se aveva nello zaino un sacchetto di semolino non poteva accendere un fuoco per fare la polenta. Il semolino l’aveva trovato tra le macerie di un palazzo a Graz, dopo un bombardamento aereo. In una credenza sfondata, fra le travi che bruciavano e i calcinacci. Se le SS ungheresi lo avessero sorpreso in quel momento, lo avrebbero ucciso e abbandonato sul posto. Come avevano fatto con quel povero fante siciliano. Quella sera, quando li avevano radunati per riportarli nel Lager si era nascosto tra le macerie, anche perché un vecchio che lo aveva osservato mentre scavava gli aveva detto:” Geh sofort nach Hause! Du bist ganz kaputt!”. 1 Così con la notte aveva abbandonato la città, orientandosi con le stelle. Raggiunto il fiume che scendeva dalle montagne aveva risalito la corrente. Dopo notti di cammino, una mattina aveva visto le Alpi innevate. Era arrivato nei pressi della strada che portava in Italia. Sentì passare colonne di automezzi; poi queste si diradarono; osservò piccoli gruppi appiedati, soldati in bicicletta o su carri agricoli tirati da cavalli o muli. In coda anche soldati disarmati o feriti. Forse era proprio e finalmente la fine.”
1 “Vai subito a casa! Sei a pezzi!”
(Da “Sentieri sotto la neve“- Mario Rigoni Stern – 1998 – Giulio Einaudi Editore)
Il vecchio, con i capelli bianchi e ricci la carnagione scura e rugosa, sedeva silenzioso tra gli amici.
Lo sguardo assente rivelava ansia per la salute malferma della compagna mentre il suo debole udito gli impediva di seguire la conversazione che si teneva accanto.
Al suo fianco, un grosso cane dall’indole mansueta e avanti negli anni, si lasciava accarezzare dalla sua mano stanca. Lo sguardo dei due vecchi si somigliava: entrambi tristi, entrambi un po’ sconfitti.
E’ un via vai continuo nella Via Senese dove transitano autobus, moto e automobili. Qualcuno suona con impazienza: è forte il desiderio di oltrepassare.
Arriva un’ambulanza: le auto si fermano e attendono con calma nel sentire l’acuto sibilo della sirena.
E’ ormai sera.
In molte case si accendono le luci e gli ambienti si illuminano. Sopra i tetti l’azzurro del cielo si fa lentamente più scuro ma nella via il traffico è sempre intenso e soltanto l’arrivo della notte riporterà il silenzio atteso.
Quanta tristezza oggi avvolge i lunghi rami ancora spogli degli alberi di molti giardini! Ovunque, intorno il grigio surreale del cielo sembra non appartenere più a questo mondo ogni giorno più estraneo a noi che lo abitiamo. Come marziani ci aggiriamo su questa Terra che da tanto tempo ci ospita con generosità ma che non ci appartiene come invece noi pensiamo.
Finalmente per la prima volta vidi l’oceano accanto a me. Sconfinato e ventoso donava generoso i suoi flutti alle rocce ridisegnate dal tempo.
L’Atlantico mi guardava sornione nascondendo i suoi tranelli sotto un ampio manto blu. Accarezzato dal sole si lasciava ascoltare e la sua musica forte e penetrante seduceva il mio animo.
I gabbiani volavano a schiere lasciando nell’aria acute note stonate prima di posarsi senza timore a pochi passi da noi. E qualcuno, amico da tempo, portava loro del cibo sul quale si avventavano affamati per poi adagiarsi sazi al sole.
Oggi è il 21 marzo, primo giorno di primavera. In quello stesso giorno e in quello stesso mese, nel 1931, nasceva a Milano Alda Merini. In questo giorno speciale voglio ricordarla proponendo alcune sue poesie. Sarà lei, con i suoi bei versi, a raccontare un pezzetto di sè.
Ecco dunque cinque sue poesie, tutte tratte dalla raccolta “Alda Merini”, a cura di Nicola Crocetti – diVersi – Corriere della sera – 2019
La poetessa morì, sempre a Milano, la sua città, il 1° novembre 2009
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Anche l’oggi sarà dentro la storia
Anche l’oggi sarà dentro la storia della mia vita ma non era l’oggi che io volevo quand’ero bambina oggi è un oggi diverso, senza grida afono e grigio come una fontana oggi è l’oggi di ieri manifesto solo nel mio respiro prigioniero: o larghe nubi come fonderei volentieri il mio passo dentro quel cielo che racchiude tutta tutta l’avversità del mio destino.
La morte mi è nemica
La morte mi è nemica non mi viene a rapire e pur con le mie dita io tento di fuggire da questa amara vita, ma non vuole colpire il mio cuore di foglia, morte vuole tradire questa tenera voglia e morir fa l’insetto e la gente gentile ma a me che son reietta non mi viene a colpire.
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Sono nata il ventuno a primavera ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta. Così Proserpina lieve vede piovere sulle erbe, sui grossi frumenti gentili e piange sempre la sera. Forse è la sua preghiera.
Alda Merini
Amai teneramente dei dolcissimi amanti senza che essi sapessero mai nulla. E su questi intessei tele di ragno e fui preda della mia stessa materia. In me l’anima c’era della meritrice della santa della sanguinaria e dell’ipocrita. Molti diedero al mio modo di vivere un nome e fui soltanto una isterica.
Padre, se scrivere è una colpa
Padre,se scrivere è una colpa perché Dio mi ha dato la parola per parlare con trepidi linguaggi d’amore a chi mi ascolta?
Ormai vecchia di anni e senescente, dove trovare un filo di erba buona? Che sai dei miei conventi, della grazia matura delle sante,delle grandi anime folli? Che posso io trovare tra gli osanna dell’uomo di cultura? Altrove è il canto, altrove è la parola e Dio non la pronuncia.
Questo giorno io lo butto via sparpaglio le sue ore ciondolando guardo la pioggia fine solo stando ferma, seduta qui al tavolino. Lo butto come giorno che non conta una cartaccia sporca, una buccia niente di niente che si getta via. Si chiama lunedì, si chiama aprile numero ventinove e piove piove e sarei piena di cose da fare per farne un giorno col suo risultato. Ma l’ho detto. Sarà buttato, sperso consegnato ad un ozio che non vale se non come preghiera. Allora dire ecco, io offro questo ciondolare sull’altare del mondo affaccendato. Faccio io il perno che non muove. Il punto che sta fermo. Lo bado io quell’immobile stato delle cose.
( Mariangela Gualtieri – Dalla raccolta Le giovani parole – Giulio Einaudi Editore 2015)