
(foto da web)
Domani, 27 gennaio 2022, come da tanti anni ormai avviene, sarà un giorno dedicato alla Memoria, al ricordo dei tanti che non sopravvissero alla Shoah.
Trascorrono gli anni, una ad una muoiono quasi tutte le persone sopravvissute, la cui vita purtroppo è stata segnata per sempre. Ma non muoiono i loro scritti, le loro testimonianze orali, non muoiono le cinque cifre incise sulle loro braccia, perché il ricordo di tanta atrocità non deve morire. E’ terribile la frase spesso detta dai nazisti ai milioni di prigionieri rinchiusi nei campi di concentramento: “Morirete tutti, e se anche qualcuno di voi dovesse sopravvivere, nessuno crederà alle vostre parole”.
Per fortuna sono stati in molti a credere alle loro drammatiche parole, ma sappiamo anche che oggi c’è un numero impressionante di persone che nega tutto ciò che nei campi di concentramento è avvenuto, nonostante le numerosissime prove dimostrino il contrario.
La cattiveria umana non ha mai fine, nasce e rinasce continuamente, oggi come ieri.
E’ di questi giorni la notizia di un fatto avvenuto a Livorno: un bambino di dodici anni è stato offeso e picchiato da due ragazzine che di anni ne hanno quindici, per il semplice fatto che lui è ebreo.
Si tratta di un comportamento gravissimo soprattutto per tre motivi: la giovanissima età delle ragazze, la cattiveria e la mancanza di sensibilità che hanno dimostrato, e la presenza precoce di pregiudizi dai quali tutto è scaturito.
E’ colpa di tutti noi il susseguirsi di azioni così indegne, è colpa di questa società malata e priva di valori. Una parte di essa cerca di combattere questi comportamenti promuovendo l’accoglienza, la condivisione, il rispetto in tutte le sue forme, e poi c’è un numero piuttosto alto di persone che manifesta preconcetti, odio, desiderio di vendetta, e violenza verbale e fisica.
Una società civile deve investire molto di più sulla scuola, sull’istruzione, sulla vera cultura e sui valori, affiancandola, e non sminuendola, come per decenni è stato fatto, chiedendo ai docenti il massimo e dando in cambio poco o niente.
La cultura apre le menti e i cuori, una società degna di essere chiamata civile non può farne a meno se vuole avere un futuro.
Di seguito, un testo che scrissi nel lontano 2013, dopo aver ascoltato alla televisione dalla viva voce di un uomo sopravvissuto allo sterminio la storia della sua vita.
Ricordo ancora molto bene le sue riflessioni, il senso di colpa provato per non essere morto insieme ai compagni di prigionia. Un pensiero che nel suo racconto ritornava con frequenza.
Il sopravvissuto
Non posso dimenticare
i miei compagni denutriti,
i loro occhi troppo grandi
spalancati dentro i visi asciutti,
né la nebbia che nascondeva il campo
dove come fantasmi
ci muovevamo lenti.
Non posso dimenticare
le strisce verticali
delle nostre logore divise,
la mia testa rasata
né la loro,
e le pulci che invadevano
i nostri miserevoli giacigli.
Neppure lo sguardo dei bambini
ignari del profumo dell’infanzia
o il malinconico sorriso degli amici
sempre vigili nel sostenermi
durante una caduta.
No, non voglio dimenticare
niente di quel che è stato,
non potrei sopportare
questo mio tradimento
verso chi, molto prima di me,
se n’è andato.
Piera M. Chessa