Archivio | settembre 2018

L’arrivo dell’autunno

 

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Ecco l’autunno
che arriva lento
dopo aver salutato
un’insolita estate.
Ora, ancora giovane,
si appresta a mostrare
i suoi attesi doni.
Lo fa con dolcezza
per abituarci alla sua presenza,
ci colma di colori,
ci circonda di luci,
qualche volta di ombre,
ci mostra il verde il rosso il giallo
confondendoci la mente
ma suscitando in noi
caldi sentimenti
e tenere suggestioni.

Piera M. Chessa

 

 

 

 

 

 

 

 

Sull’Altopiano della Vigolana

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Dedico questo testo alla mia amica Giovanna

Poco tempo fa, grazie alla mia cara amica Giovanna, ho avuto modo di visitare un pezzetto di Trentino non ancora conosciuto, un angolo, piccolo ma delizioso, dell’Altopiano della Vigolana. Così come, un po’ di tempo fa, sempre grazie a lei, ebbi modo di scoprire il suggestivo lago di Cei.

Il tempo a disposizione non è mai tanto, ma quel che si prova, quel che si fa, quel che si sente e rimane in noi, è di una straordinaria intensità, ci arricchisce e ci fa sentire migliori.

Quel giorno, dopo un pranzo sostanzioso e nello stesso tempo leggero, perché dovevamo camminare, ci siamo recati in un bosco dove non ero mai stata. Io amo i boschi profondamente, mi trasmettono sensazioni speciali che perdurano nel tempo, devo anche dire che, quando sono molto fitti, qualche volta mi fanno provare un po’ di inquietudine, cerco tuttavia di vincermi perché la loro bellezza non ha paragoni.

Il bosco scelto dalla mia amica non ha per fortuna questa caratteristica, ed io gliene sono grata. E’ bello, ricco, ma anche aperto e luminoso, trasmette serenità e il desiderio di percorrerlo senza troppa fretta, soffermandosi, quando se ne ha voglia, davanti a tutto ciò che incuriosisce i nostri occhi, o anche semplicemente per raccontarsi qualcosa senza combattere con il fiatone che, a seconda della salita ma anche a causa dell’età, talvolta si può avere.

All’inizio del sentiero la mia attenzione è stata colpita da due sculture in legno, una rappresenta un animale, l’altra è una figura umana. Non c’era però, quel giorno, nessuna spiegazione al riguardo. Abbiamo incominciato quindi la passeggiata, che ci avrebbe portato fino ad un rifugio. Lungo il percorso ci siamo lasciati avvolgere dal verde degli alberi e incuriosire dai funghi che, cammin facendo, incontravamo sulla strada. Ve n’erano di diversi tipi e dimensioni, ma nessuno di noi, ahimè, è un vero intenditore Abbiamo incontrato parecchie persone, raccoglitori di funghi, appunto, che con i loro cesti si spostavano di qua e di là alla ricerca del prezioso alimento. Con qualcuno abbiamo scambiato qualche parola .Ad un certo punto del tragitto abbiamo trovato anche una “calchera”. E’ stata Giovanna a spiegarmi che cosa fosse, praticamente un forno in cui, nel passato, veniva preparata la calce. Mentre camminavamo, nonostante il tempo ancora bello, abbiamo notato intorno e sugli alberi i primi passaggi dell’autunno. Tra il verde ancora acceso incominciavano a far capolino le prime foglie gialle e rosse. Un gioco di colori molto suggestivo. Naturalmente non potevano mancare le foto.Il nostro percorso era abbastanza semplice e lineare, ma abbiamo incontrato anche dei brevi tratti in salita. Siamo finalmente giunti nel punto in cui, fino a non molto tempo addietro, c’era un rifugio. Mi è stato detto che per diverso tempo la struttura è stata gestita da un signore amabile e disponibile, apprezzato dalle persone che arrivavano fin lì. Purtroppo, in seguito si è ammalato e ora non c’é più. Il rifugio è stato messo in vendita, ma, sembra, senza successo. Vederlo andare velocemente in rovina, come è successo a noi, non è una bella cosa. Sull’edificio rimane un cartello con la scritta “VENDESI”, ma se non si corre velocemente ai ripari, della casa non rimarrà più niente. Ci colpisce e incuriosisce vedere sui balconi, nonostante l’abbandono, delle rose sfidare il cielo con il loro bellissimo colore rosso. La natura continua per la sua strada, e nessuno mai potrà fermarla.

Riprendiamo il cammino verso il basso, ma continuiamo ancora, per qualche istante, a pensare a quel poco che resta del rifugio, che senz’altro per molti escursionisti è stato per anni un punto di riferimento.

Piera M. Chessa

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Carano

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Carano è un piccolo paese della Val di Fiemme, uno dei tanti, situato a tre chilometri da Cavalese. Ha poco più di mille abitanti, non sono pochi tuttavia per questi piccoli centri della Valle, ve ne sono diversi ancora più minuscoli. Eppure vi è tutto ciò che è necessario. Poco fuori dal paese si può fare la spesa in alcuni supermercati sempre ben forniti, e nei paesi vicini si trovano negozi di ogni genere.

Una sera, come spesso mi piace fare, sono andata a fare una passeggiata nel centro storico. E come quasi sempre mi è successo con gli altri borghi della Valle la prima cosa che mi ha colpito è stata la cura per i fiori e le piante, un impegno e una passione che non possono passare inosservati. Ovunque è il colore il signore incontrastato delle vie e dei vicoli. Lungo le scale, sui balconi, di lato agli ingressi delle case, i fiori la fanno da padrone. E’ una meraviglia spalancare gli occhi in mezzo a quel gioco di luci, di ombre, di colori. Il geranio è la pianta più diffusa, ma ve ne sono tante altre. E quasi ogni abitazione ha il suo orticello, talvolta più grande, altre, proprio piccolo. Ogni pezzetto di terra viene coltivato, niente va sprecato.

Ci sono poi le legnaie, si trovano nei piccoli portici, a fianco alle case, talvolta sui balconi, in mancanza di un posto più idoneo. Sono ordinate, disposte in un certo modo, seguendo un criterio, quasi mai a casaccio.

Ho camminato per le stradine con piacere, non c’é un pezzetto di carta per terra, e ovunque i cestini per chi giustamente vuole contribuire per tenere il paese sempre pulito.

Vi sono diverse fontane, tutte abbellite con vasi di fiori, ve n’é una in cui ho trovato la scritta “fontana termale”. Le sue acque, mi è stato detto, provengono dalla sorgente di Ceva e sembra che abbiano delle importanti proprietà curative. Era però ormai tardi e sono dovuta andar via, ma tornerò.

Tornerò per visitare anche la chiesa, dedicata a San Nicolò, che ho visto solo dall’esterno.

Era ormai ora di cena per gli abitanti, in montagna, si sa, i pasti vengono consumati molto presto. Tornerò al mattino, quando la luce è sempre più bella e tutto appare più splendente.

Piera M. Chessa

(Dalla raccolta inedita “Passeggiando per le valli del Trentino-Alto Adige”)

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Tutta una vita

 

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E’ stato ieri,
ed è così vicino
questo mio ieri
lontano.

In un tempo ridotto,
eppure così intenso,
c’é tutta la mia vita.

Piera M. Chessa

Incontri di primo mattino

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“Ehi, pss, come si chiama il tuo cane?”.

Sollevo lo sguardo verso i diversi piani di un palazzo, mi pare di non vedere nessuno.

“Sono qui…”, mi dice la voce delicata di una bambina nascosta dietro un paravento, al primo piano.

“Si chiama Argo, è un vecchietto di dodici anni”.

“Senti “, dice la mamma, “è un cane vecchietto!”, e nel frattempo stende i panni.

Guardo la piccola, avrà sei anni, forse anche meno. Non aggiunge altro. Non so se sia più colpita dal nome o dall’età. Chissà, nella sua mente di bambina, che significato ha veramente il concetto di vecchio, riferendolo poi a un cane, forse a quell’età è ancora più difficile da comprendere.

La saluto, la vedo perplessa, risponde con un cenno della mano. Incrocio lo sguardo della mamma, il suo sorriso, che a quest’ora di primo mattino fa bene e predispone piacevolmente alla nuova giornata.

Proseguo la mia passeggiata, percorro il sentiero nel quale tutti i giorni passeggio volentieri. Il sole è basso, non è sorto da molto, gli occhiali da sole mi riparano bene.

Argo, stamattina, non sembra avere tanta voglia di camminare, lo stimolo un poco e tiro leggermente il guinzaglio, resiste alle mie pressioni ed io penso che i dodici anni e mezzo incominciano a farsi sentire. Ma non cedo, camminare è importante, lo è per noi non più giovani, lo è per i nostri animali. Tiro ancora un poco, era solo un capriccio, un po’ di pigrizia. Lo vedo nuovamente procedere spedito al mio fianco. So che, prima o poi, dovrò fare i conti non solo con la mia ma anche con la sua età. Sta bene, tuttavia, andiamo avanti entrambi.

Alla fine della passeggiata, al rientro, di fronte al cancello, incontro una conoscente. Ha con sè il suo cagnolino, essendo entrambi maschietti, qualche volta si sono scontrati.

“Passi tranquilla”, mi dice, “il mio non vede e non sente più, non abbaierà, è molto vecchio ormai, ha diciannove anni. Non ha idea di quanti soldi spendiamo dal veterinario, guarisce da una malattia e gli viene un nuovo malanno! Lo guardi, non ha più peli, una dermatite lo ha ridotto così.”

Una breve pausa e poi dice:” Che cosa possiamo fare, non lo curiamo più?”.

Provo un senso di pena nel guardarla. So che ha dei figli grandi e lontani e un marito che non sta molto bene.

” Voi fate quello che è giusto fare, signora”, le dico, “i nostri animali fanno parte della famiglia a pieno titolo, nel momento in cui decidiamo di accoglierli sappiamo, fin dall’inizio, che dovremo prenderci cura di loro anche nell’ultimo tratto di vita.”.

Mi saluta con un sorriso, ma è un sorriso mesto.

Piera M. Chessa