Archivio | ottobre 2008

Storie
 
 
Favole lontane ritornano alla mente
nell’ora in cui il giorno diventa sera.
Il calore del fuoco acceso nel camino,
piccole sedie intorno, impagliate,
consumate dal tempo.
 
Giovani madri dagli occhi stanchi
leggono o raccontano fiabe senza fine,
miti dimenticati,
usanze velate da un apparente oblio.
 
Storie del passato vive nel presente,
ritrovate nei desideri, nei sogni,
nei ricordi di un’età felice.
 
Piera Maria Chessa – Un ordinato groviglio – il Filo – 2008

Notizie brevi ma incisive
 
 
 
 
Oggi, leggendo L’Espresso del 30 ottobre 2008, ho trovato tre notizie “brevi ma incisive”, nella rubrica che ha un titolo azzeccatissimo: RISERVATO.
Eccole.
 
 
 
G8 Genova: chi parla paga
 
 
Hai detto la verità? Punito. Michelangelo Fournier è stato l’unico poliziotto che abbia ammesso le violenze al processo per il blitz alla scuola Diaz al G8 di Genova, parlando di una “macelleria messicana”. Dopo la deposizione, il dirigente del Reparto mobile di Roma è stato allontanato dal comando sul campo ed è finito tra le scartoffie. E’ l’unico retrocesso tra i protagonisti di quella pagina nera (Gratteri, Caldarozzi, Superi…) tutti promossi a più alti incarichi.
                                                                                M. P.
 
 
 
Stipendi parlamentari
Rame euro e uranio
 
 
Franca Rame, ex senatrice dell’Italia dei Valori, dimessasi poco prima della caduta del governo Prodi, aveva lasciato il suo cospicuo stipendio da parlamentare nella banca interna di Palazzo Madama: ben 170 mila euro , che sono stati ritirati solo la settimana scorsa. Sembrava proprio che li avesse dimenticati. Invece no, dice l’attrice. Era solo in attesa di “spenderli per continuare la mia battaglia contro l’uranio impoverito e l’aiuto alle famiglie dei soldati che ne sono stati vittime”.
                                                                                S. N.
 
 
 
Veneto e beni storici
La Lega lotta in palestra
 
 
Glielo avevano promesso: “Con il nuovo governo ti cacceremo in Sicilia”.
E così è stato. Guglielmo Monti è stato fino a poche settimane fa sovrintendente ai beni architettonici del Veneto orientale, ma invece che in Sicilia si è preferito mandarlo in Friuli. “E’ mio dovere salvaguardare i paesi storici. Il Veneto rischia un nuovo Far West edilizio”, diceva. I dati gli danno ragione: in Veneto, negli ultimi 20 anni, si è costruito il 40 per cento in più che nel resto d’Italia, e spesso male. E’ stata la Lega, con il sindaco di Vittorio Veneto e il segretario provinciale di Treviso, a volere il suo allontanamento. Il sindaco, Giancarlo Scottà, voleva costruire una nuova palestra su un’area verde adiacente a un monastero, inserito in una villa veneta sotto tutela.
Monti è intervenuto per proteggere il bene storico e la Lega ha sollevato un putiferio chiedendo la sua testa.
Il sovrintendente generale del Veneto lo ha quindi destituito dall’incarico, dopo averlo confermato solo due mesi prima per altri tre anni.
                                                                                 P. T.

glicine d'autunno

Sono andata, come sempre, a visitare il blog di Cristina certa di trovare piccoli gioielli, pietre preziose, perchè questo sono le poesie di Cri. Oggi, ho trovato questo delicato gioiello. Lo propongo a tutti i cari amici che amano le cose belle.

glicine d’autunno
 
  
Siediti qui con me
sui gradini del portico, è di rosso
che si riveste il muro e sul terrazzo
la vite americana si è avvinghiata
ai fili tesi
lontano dorme il resto del paese
 
io qui mi fermo a respirare il tempo
l’uomo capelli bianchi e voce roca
imita il gallo, parla alle finestre, il matto
del villaggio
abita cerchi intorno alla mia casa
a volte ride a volte grida
raccontando se stesso a voce alta.
 
Ho saputo di inverni con la neve
sparire argini e guide
chiodi ficcati a colpi di tragedie
i destini raccolti da sudari.
 
E canta il vecchio, con le mani a imbuto
alle grondaie, dai tralci ricadenti
il glicine ingiallito
tasta nell’aria mossa sui cancelli.
 
Mi accoccolo tra il muro e la ringhiera
sui miei pensieri traccio
larghe ics
e sulle gambe stendo voli di mani
ai lembi di un vestito che mi appassisce addosso
e dentro no
non mi arrendo a sfiorire.


Cristina Bove
(www.cristinabove.splinder.com)

Ilaria del Carretto
 
 
 
La chiesa era in penombra, deserta e austera.
Entrai in punta di piedi
aprendo piano l’ampio portale,
improvviso mi investì un profumo di incenso.
 
Mi fermai, per un momento sorpresa,
poi decisa cercai di te.
Rimasi a lungo ad ammirare
il tuo viso addormentato,
le pieghe preziose delle vesti,
lo sguardo assente del cane, al tuo fianco.
 
Straordinariamente bella
nella scultura in marmo,
dolce ed altera insieme.
 
Così ti immaginai, Ilaria,
per la tua storia nota, le vicissitudini e l’inganno.
Ma ogni dolore, ormai composto,
rimaneva nascosto
nel tuo fresco viso da bambina.
 
 
 
Piera Maria Chessa
 

Due poesie scritte da due poeti che immagino molto diversi tra loro per personalità e stile, dotati però entrambi di grande sensibilità. Attento e preciso il loro modo di "osservare" la vita.

                       
                                l’età            

Si vive, a volte, con la mente
bassa, arsa dal sole
muta come luna.
Osservo le mie mani, per stabilirne
il tempo, come facevo con i tronchi
da ragazzo.
Da molto non mi chiedo più
chi io sia, sordo l’orecchio ad ogni
spiegazione,
tra le mie rughe, tristemente, osservo
il muto sgretolarsi del pensiero.
Bitman

                www.bitman.splinder.com

****

D’Africa e d’amore
E’ la penombra dei bambini
sulla terra sgranata
è la lingua gonfiata
sacra
di una vacca
ingioiellata di mosche
sono le iridi affamate
di madri dai seni
svuotati dai morsi.
Donne
dai capelli di marmo intrecciato notturno
dalle unghie pallide e aguzze
dai sessi cuciti
dalle voci di uccello
che fugge
che resta
seduto su schiene
ad aspettare
lo sputo
che perde un cammello.
E’ l’elemosina
sempre in ritardo
che si perde la festa
di tamburi serali
a bruciare la sete
di maschi dai neri
incantevoli cuori
dai denti d’avorio
o di neve
o di nebbia che sale.
E’ il leone
che bacia la bocca
alla vacca
preziosa
lei sola
d’Africa vera regina

              

Savina Dolores Massa

www.savinadoloresmassa.splinder.com

 

 

Il razzismo strisciante

 

Ho appena finito di leggere l’ultima pagina sul venerdì di Repubblica del 10 ottobre 2008, si tratta della rubrica per posta, curata da Michele Serra.
Non voglio fare commenti, anche se mi verrebbe facile, perché la lettera del ragazzo, uno studente universitario, e la risposta di Serra rispondono a tutte le mie domande e pongono gli stessi quesiti che io mi pongo davanti ad episodi così vergognosi come quello di cui si parla.
Questo è il titolo: Il razzismo strisciante da cui nessuno è immune.
CARO SERRA, sono uno studente della provincia di Brindisi, laureando in Lettere classiche. La mattina del 10 settembre, a Cerignola, sono stato testimone con un mio collega di un’ aberrante serie di offese a un gruppo di extracomunitari, come me in attesa di un pullman. Portavano pesanti borsoni, pieni -credo – di articoli da vendere. Arrivato il pullman hanno esibito educatamente il biglietto all’autista. Ma ecco l’autista apostrofarli con insulti e battute insolenti: voi siete scemi, scemi, avete il cervello piccolo come quello di un doberman. Ancora peggio, l’autista ha allontanato il gruppo di stranieri facendoci passare davanti e suggerendoci di occupare i primi posti.
Sono addolorato, soprattutto per il mio silenzio: ero scioccato e sconvolto. Il movimento di liberazione dei neri, in America, è nato il giorno in cui una donna di colore rifiutò, in metropolitana, di cedere il posto a un bianco.
                                                                            
                                                                                         Nunzio C.
CARO NUNZIO, scelgo la tua lettera tra le tante (ahimè) che segnalano episodi di intolleranza nei confronti di persone straniere, specie dalla pelle scura, perché ha il coraggio e la lucidità di autodenunciare la tua impotenza di fronte al ripugnante comportamento di quell’autista.
La presenza sempre più evidente del razzismo nel nostro Paese viene troppo spesso liquidata come “reazione fisiologica” a una presenza straniera sempre più massiccia. Ma episodi come quello che racconti, dimostrano che tra causa ed effetto il rapporto non è poi così evidente, visto che l’odio dell’autista si è indirizzato verso un gruppo di persone che descrivi come educate e pacifiche. E non abbienti, elemento che aggrava, e di molto, il comportamento discriminatorio di quel signore, perché un nero ricco e un nero povero, puoi scommetterci, non hanno lo stesso indice di popolarità in nessun luogo del mondo…
E dunque, se il razzismo è così spesso arbitrario e immotivato, non dobbiamo esitare a denunciarlo per quello che è: accanimento pregiudiziale contro categorie umane che non vengono più riconosciute come persone, ma come “problema” o “pericolo”. Allo stesso modo, l’autista razzista ha qualificato te e il tuo amico( bianchi e indigeni) come clientela “normale”, da far salire nelle prime file, e non è stato nemmeno sfiorato dal dubbio che il suo comportamento potesse urtarvi o ferirvi. Se sei addolorato dalla tua mancata reazione, è proprio perché senti di avere implicitamente corrisposto al disegno pregiudiziale di quel tizio: dicendogli “ non si permetta”, avresti mandato all’aria la sua rozza visione delle cose.
Se ti può consolare, Nunzio, penso che a ciascuno di noi sia capitato di tirare diritto, e masticare amaro, di fronte a soprusi grandi e piccoli. Per prudenza o perché manca l’animo di litigare, o ancora perché non si ha voglia di ispezionare troppo da vicino quella fogna che è, così spesso, l’animo umano.
Grazie della tua lettera, dunque, che è un piccolo, efficace apologo non solo sull’imbecillità del pregiudizio, ma anche sulla nostra debolezza. Dobbiamo smetterla di spaventarci o di sentirci esclusi da una società così ringhiosa. Questo Paese, le sue città, le sue strade, sono anche nostre. Facciamo sentire la nostra voce e la nostra presenza.
.

Superga

Ti vedo appena
seduto sulla scalea di Superga,
è imponente la basilica dietro di te.
Lievemente infastidito,
avvicini la mano alla fronte
per proteggere gli occhi dal sole.

Avevi dieci anni, primo viaggio importante,
grande entusiasmo, la curiosità sempre presente.
La scoperta del mondo, di luoghi sconosciuti,
solo un po’ di incertezza,
qualche imprevisto vissuto con leggerezza.

Il tempo scorre.

Oggi sei un uomo.
Insieme guardiamo le fotografie sbiadite,
ripassiamo le esperienze vissute,
rinnoviamo i ricordi.

Ma un pizzico di malinconia
ci accompagna in questo viaggio.

Piera Maria Chessa

* * *

Dedico questo testo alla mia amica Giulia, di Torino
(http://www.sapervedere.splinder.com/)

Per sentieri

 

Mi fermo un istante nella radura,
poi il percorso lungo i sentieri.

Mi inoltro curiosa  nel bosco silenzioso
lasciandomi avvolgere dal verde degli alberi,
dal muschio dei sassi,
dalle felci nascoste nell’ ombra.

I licheni colorano le rocce
di giallo e arancio,
minuscole famiglie di funghi
punteggiano la terra.

Ascolto il ruscello che scorre
intonando per me, sottovoce,
il suo malinconico canto.

Piera Maria Chessa

Orto d’ossi, di Savina Dolores Massa

Una poesia di Savina Dolores Massa che,
 in prosa o in versi, regala sempre straordinarie emozioni.
Orto d’ossi
Non so cosa fosse
prima d’essere rinchiusa dai muri
la terra del mio cortile.
Può esserci stata una chiesa
e prima ancora un tempio
o un nuraghe
o il mare. Ci voleva
un cane allegro a girare
in mezzo ai fiori, per comprendere
davvero il mio cortile.
Ogni tanto verso mezzogiorno
dissotterra sorrisi di vacche
code di pesce, fossili di pioggia
mani intrecciate di amanti
l’ultima parola di un morente
il primo seme del glicine
la nostalgia di un soldato per la guerra
l’ala bugiarda
dell’angelo che avvisò Maria.
Il sogno di uno scrittore.
Savina Dolores Massa

Un altro bel racconto di
Eleonora Bernardi

I miei Rumeni
Sono andati via.
Hanno abitato l’attico che sovrasta il mio appartamento per poco più di un anno. Ricordo quando erano appena arrivati con le loro povere cose, valigie gonfie e malandate, pacchi confezionati alla meglio, buste di plastica provate da un lungo viaggio.
Accolti dai condomini con sospetto e forzata sopportazione.
In nome dei tempi che cambiano, qualcuno diceva: – Speriamo che si comportino bene! Altrimenti…!
Già tutti pronti a far capire ai “nuovi” che le regole vanno rispettate, anzi, che qualcuno deve rispettarle di più.
I Rumeni cominciarono la loro avventura muovendosi con circospezione, ridotti alla condizione di piccole formiche esploratrici, su un terreno che avvertivano impervio e pericoloso.
Salutavano sempre con rispetto, cedevano il passo all’ascensore, trattenevano aperto il pesante cancello quando scorgevano un condomino in arrivo: piccole accortezze che hanno a che fare con le norme della buona educazione ma che loro sentivano l’obbligo di osservare, a differenza degli altri, i padroni di casa, cui era concessa qualche piccola o grande reciproca scortesia che non avrebbe avuto conseguenza alcuna.
Un giorno diedero una grande festa, con canti, suoni e balli in stile rumeno, nel mio appartamento sembrava essersi scatenato l’inferno!
Salii al piano di sopra determinata a chiedere, in nome della civile convivenza, di contenere la loro allegria… Non ero arrabbiata, ma stupita e allarmata, ero certa che qualcuno si sarebbe risentito e volevo battere gli altri sul tempo.
Mi accolsero con vera gioia: – Entra! Entra! – mi dissero – Stiamo festeggiando per ingresso Romania in Europa!
Avevano gli occhi neri e lucenti, grandi e piccini.
Vollero farmi assaggiare i loro dolci (squisiti) e i loro cibi piccanti.
Poi la padrona di casa mi presentò parenti ed amici ed ognuno pareva ansioso di raccontarmi la sua storia.
Ognuno, a modo suo, chiese scusa per il disturbo arrecato, le donne si tolsero repentinamente le scarpe promettendo balli silenziosi…
Così ho conosciuto Kaljia e i suoi tre figli musicisti, venuti in Italia per lavorare e sfuggire alla miseria di un paese che non offre prospettive.
Col tempo io e Kaljia siamo diventate amiche. Lei lavorava duramente dal mattino alla sera, i figli soprattutto la sera, di giorno si esercitavano a trarre nostalgiche melodie o allegre ballate dai loro strumenti.
In uno dei nostri momenti di confidenza, non molto tempo fa, a seguito di episodi di violenza che avevano coinvolto suoi connazionali, Kaljia mi ha detto di essere molto preoccupata perché vedeva in pericolo il suo posto di lavoro.
– Ora Italiani pensano che noi Rumeni siamo tutti delinquenti… Non è giusto!
Più tardi mi confidò che avrebbe dovuto cambiare casa. Il proprietario dell’appartamento le aveva, da un giorno all’altro, aumentato l’affitto di trecento euro… Un modo come un altro per costringerla ad andare via.
Ci siamo salutati, io e i miei Rumeni, con le lacrime agli occhi e poche parole.
Le ultime parole di Kaljia sono state: – Coraggio! Io sempre prego per tuo fratello e tutti voi… Dio ci ama e ci protegge, per Lui siamo come figli… tutti uguali!