Lo zio partigiano

L’indomani sarebbe stato il 25 aprile, giorno della Liberazione. Una data importante per Anna per due motivi, quale dei due lo fosse di più era difficile da dire. Il 25 aprile, tanti anni prima, era morto suo padre, nello stesso giorno di un anno ancora più lontano, il 1945, l’Italia si accingeva a rinascere, dopo tanta desolazione.
Due avvenimenti così diversi tra loro ma ugualmente intensi per lei. Uno intimamente privato, l’altro straordinariamente collettivo.
In quel momento Anna stava seduta sul divano, dinanzi al televisore, davanti a lei le immagini di quel giorno lontano, mai conosciuto nella realtà ma profondamente interiorizzato grazie ai racconti di suo padre, dei suoi zii, alle fotografie sui giornali, sulle riviste, sui libri, ai servizi trasmessi alla televisione.
Un giorno di gioia e di “liberazione” per lei ormai adulta. Ma, subito dopo, il ricordo di un fatto tragico si era affacciato alla sua mente, un avvenimento precedente al 25 aprile del ’45. Poco meno di un anno prima, il 21 maggio del 1944, un suo zio, fratello di suo padre, partigiano di poco più di vent’anni, era stato ucciso dai nazisti in Slovenia, al confine col Friuli- Venezia Giulia.
Uno zio mai conosciuto ma del quale aveva sentito parlare tanto.
Rifletteva Anna in quella sera di primavera, era rilassata ma col cuore e la mente rivolta a fatti e affetti che non voleva dimenticare. E, a un certo punto, il sonno ebbe la meglio sulla sua attenzione agli avvenimenti raccontati.

 

Stanca, dopo un lungo viaggio, Anna, insieme ad alcuni parenti, arrivò finalmente al confine tra il Friuli-Venezia Giulia e la Slovenia.
Alcune persone del luogo, con le quali faticosamente erano riusciti ad avere dei contatti, li aspettavano, insieme sarebbero andati nel piccolissimo paese sloveno dove, avevano saputo, era stato sepolto Stefano, lo “zio partigiano”, come da sempre veniva chiamato in famiglia.
Anna non avrebbe saputo dire con precisione che cosa provasse in quel momento, nostalgia, rimpianto, ansia, malinconia?
– Malinconia, forse, – si disse, – un gran rimpianto, ma anche tanta rabbia per la morte di un ragazzo che aveva poco più di vent’anni!
Presero diversi mezzi, inizialmente un treno, poi dei pullman. Il primo, comodo e spazioso, gli altri invece erano mezzi vecchi che ad Anna sembrarono persino poco sicuri.
Finalmente, dopo diverse ore di incertezza e preoccupazione, arrivarono nel piccolo borgo situato in terra slovena che ospitava, nel suo minuscolo cimitero, lo zio Stefano.
Era una bella giornata autunnale, ancora tiepida, quasi un giorno di fine estate. Già sul pullman la loro guida aveva mostrato oltre i vetri un punto lontano.
– Quasi arrivati, – disse, – nel suo italiano impreciso ma comprensibile, – là, dopo monte, vedete piccola chiesa, e vicino, cimitero.
Anna si sporse un poco, ma il sole le impedì di vedere con chiarezza, intravedeva lontano soltanto un po’ di foschia.
Passò ancora qualche tempo, poi finalmente il pullman si fermò.
Anna si allontanò un poco dai suoi, voleva vivere intensamente e da sola quel momento. Doveva essere molto stanca ma, coinvolta com’era, non ne percepiva l’intensità. Lo zio di cui tanto aveva sentito parlare, sul quale aveva fatto tante domande ai genitori, soprattutto al padre, fino a sfinirli, era là, poco lontano da lei.
– Ventidue anni di una vita che si era conclusa con un massacro per colpa forse di giovani come lui, indottrinati da gente ben più smaliziata, ma non per questo incolpevoli, – pensò.
Si fermò sul ciglio di una strada polverosa e guardò intensamente davanti a sè. Ecco la piccola chiesa di cui aveva parlato la guida, il tetto spiovente, e a fianco il campanile, alto e snello. Poco distanti i muri del minuscolo cimitero rettangolare, a malapena Anna intravedeva alcune croci, poi, piccole case bianche con i tetti rossi, ordinate, una vicina all’altra, quasi sentinelle in quel luogo di preghiera e meditazione. Intorno, muretti a secco, alberi ancora verdi ma già tendenti verso colori autunnali, campi e prati color smeraldo si alternavano ad altri gialli. Sullo sfondo, colli avvolti da una luce azzurrina. Nessuno presente, tranne loro venuti da lontano.
Anna provava ora una sensazione di pace, era in attesa, come sospesa.
Qualcuno la chiamò per avvicinarsi insieme al cimitero, dovevano percorrere ancora un breve tratto di strada a piedi. Si incamminarono. Impiegarono dieci minuti, forse quindici, poi furono davanti al cancello.
Anna, le sue due sorelle e un cugino, quasi un fratello, si fermarono nel medesimo istante. Erano tutti molto emozionati, da tempo aspettavano quel momento perché quel viaggio desiderato era stato rimandato più volte. Ma ora erano lì a rendere omaggio allo zio Stefano.
La guida li guardò e intuendo il loro stato d’animo attese con discrezione un cenno.
Anna capì, scambiò qualche parola con i suoi e poi disse:
– Possiamo entrare, siamo pronti.
Il ragazzo aprì il cancello. Doveva essere chiuso da tempo perché cigolò vistosamente. Poi li precedette nel breve viale che conduceva ad un piccolo gruppo di tombe situate su uno dei lati più lunghi del cimitero. Quando arrivò a destinazione si fermò. Indicò una tomba, stava al centro, quasi protetta dalle altre. Anna si avvicinò ancora un poco seguita dai suoi.
La commozione era grande. Su una lapide c’era quel nome a lungo ripetuto nella mente dopo che i genitori avevano raccontato loro quel che era successo.. La storia di Stefano, zio ed eroe, amato e rispettato da quei bambini diventati poi adulti. C’era anche una fotografia, ingiallita e poco chiara, ma abbastanza da riconoscere le sembianze di un ragazzo dagli occhi grandi, dal sorriso timido e ugualmente determinato, dallo sguardo intenso proteso, come quello di tutti i giovani, verso il futuro.
La sua vita aveva preso invece un corso diverso. Nascosto in una casa, presso una famiglia amica, era stato preso dai nazisti insieme ad alcuni compagni. Per loro e per i generosi ospiti non c’era stato scampo.
Anna pensò ai loro ultimi istanti chiedendosi che cosa potevano aver provato, quali pensieri avevano attraversato le loro menti.
Ancora dolore e rabbia in lei. Lasciò che gli occhi si bagnassero senza opporre resistenza, si voltò infine verso i suoi e vide in loro la stessa commozione.
Si era fatto tardi, in certe circostanze il tempo corre fin troppo velocemente. La guida spiegò che era arrivato il momento di andar via, avevano diverse ore di viaggio prima di arrivare al confine con l’Italia.
– Andiamo, – disse Anna, – siamo pronti.
Si diressero di nuovo verso il cancello.

In quell’istante Anna avvertì qualcuno accanto a lei che la chiamava. Rabbrividì leggermente, poi sentì suo marito che diceva:
– Ti sei addormentata sul divano, è tardi, dai, andiamo a riposare!
– Addormentata? – ripetè Anna, – Che è successo, ho solo sognato? Niente è vero, dunque!
Suo marito la guardò perplesso, incuriosito dal suo sguardo ancora assente le chiese di raccontargli il sogno.
– Prima che tu possa dimenticarlo. – scherzò.
Ma Anna era certa che non lo avrebbe dimenticato. Glielo raccontò infatti senza omettere niente.
E mentre narrava una storia che aveva creduto vera si ricordò che qualche anno prima un conoscente, il cui padre era stato partigiano ed era morto in un agguato per mano dei fascisti, era riuscito, sia pure tra tante difficoltà, a riportarne a casa le spoglie.
Perché non incominciare a informarsi sulle procedure da seguire?

Piera M. Chessa

4 thoughts on “Lo zio partigiano

  1. I bisogni più intensi della nostra coscienza, che non percepiamo durante la veglia, distratti dai tanti fatterelli del quotidiano, ce li suggeriscono i sogni: Anna sentiva che sarebbe stato atto di Giustizia riportare le spoglie del giovane Stefano vicino alla propria famiglia. Interessante racconto Piera, carico di implicazioni non solo storico-sociali ma anche psicologiche.
    Franca

  2. Sono d’accordo, Franca, i sogni rivelano molto di noi, cose di cui non siamo assolutamente consapevoli, altre che abbiamo messo a fuoco solo in minima parte. Talvolta trascrivo i sogni con la speranza di riuscire a capire meglio me stessa.
    Ti ringrazio molto per il commento, mi ha colpito molto l’ultima parte.
    Ciao.
    Piera

  3. Mi sono sempre chiesta come sia possibile uccidersi gli uni con gli altri, uomo contro uomo. Lo trovo atroce, così come trovo indecoroso il piacere dei cacciatori che inseguono e ammazzano la preda. L’essere umano combatte sempre contro la propria cattiveria, l’importante è crescere e capire. Senza amore non si può fare niente né di bello né di vero.
    E grazie, cara Piera, per le parole che hai avuto verso di me sul blog di Franca Canapini, mi avete intensamente commossa.

  4. Ciao, Mimma, purtroppo è possibile uccidere, nonostante l’assurdità del gesto, e lo dimostrano anche le attuali guerre in tante parti del mondo. A me sembra che le esperienze, in questo campo, non insegnino niente, altrimenti certi fatti non si ripeterebbero periodicamente.
    Per non parlare poi della “piacevole” abitudine dei cacciatori, la trovo una pratica veramente crudele, per troppe persone ancora la sofferenza fisica sembra appartenere esclusivamente all’uomo, non è un segno di civiltà e ancora meno di sensibilità.
    Riguardo al commento da Franca ho solo trascritto il mio pensiero.
    Grazie, e Buon Primo Maggio!
    Piera

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