Enzo Bianchi e il “suo” Natale

In questo periodo così difficile a causa della pandemia, in occasione di un Natale che sembrava dovesse essere un po’ più leggero rispetto a quello passato, e che invece vivremo ancora una volta con molta preoccupazione, sento il bisogno di condividere un brano tratto da un libro di Enzo Bianchi, Ogni cosa alla sua stagione, in cui il monaco scrittore, tra tanti argomenti, tutti di grande interesse, tratta anche quello del Natale.

Una festività, la sua, vissuta in maniera molto diversa da quella odierna, sia perché lontana nel tempo, quella dell’infanzia e dell’adolescenza, sia per il valore ben più profondo che ad essa allora veniva dato.

Non voglio, in questo post, fare delle considerazioni su Bose, la comunità di monaci e monache fondata proprio da lui, nè sul suo definitivo allontanamento, voglio però esprimere il mio dispiacere per tutto ciò che, al riguardo, è avvenuto in questi ultimi anni.

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Di seguito, il brano da me scelto.

“Da un po’ di anni, al sopraggiungere dell’Avvento, spontaneamente mi interrogo sui profondi mutamenti che ha conosciuto nel corso della mia esistenza, in un paese di antica presenza cristiana come l’Italia, il tempo che precede il Natale e mi domando: chi riesce ancora a vivere il Natale nella sua dimensione di mistero, di evento della fede? Infatti, già dopo la festa di Ognissanti e la memoria dei morti – diventata per molti una carnevalata estemporanea – il Natale si preannuncia come la festa imbandita dai commercianti: è la chiamata alla corsa per gli acquisti e i regali, alla ricerca di cibi sempre più ricercati, inediti e costosi, al lusso da ostentare e all’organizzazione delle “feste”, da protrarsi almeno fino all’Epifania. Ormai c’è un’ideologia del Natale e tutto concorre a che non ci si scandalizzi più, non ci si pongano domande, non ci si senta interpellati.

Tutto questo, poi, avviene nell’indifferenza verso coloro che la povertà tiene lontani dalla festa e anzi precipita in una frustrazione sempre più accentuata. Ma ricordarsi dei poveri quando si è intenti a godere dell’opulenza e a dedicarsi al consumo è oggi giudicato moralismo: se uno osa anche solo porre l’interrogativo se tutto questo sia necessario, viene giudicato, ben che gli vada, un guastafeste. Così ci troviamo impreparati a interiorizzare la festa del Natale e finiamo per essere catapultati in una celebrazione di cui riusciamo a malapena ad afferrare alcuni brandelli di senso, lasciandoci sfuggire il cuore del messaggio.

…Viene da chiedersi a cosa pensi oggi la gente quando usa l’espressione “vigilia” di Natale. Quasi sicuramente pensa al giorno prima della festa, niente di più. E tuttavia la parola “vigilia, vigilie” ha una lunga storia, ha conosciuto significati diversi lungo i secoli e di fatto conserva ancora significati differenti a seconda di come la si vive. Io la vivo ancora oggi da cristiano e da monaco: sì, perché vigilia significa in primo luogo la veglia nella notte, il montare la guardia, dunque il restare svegli e l’essere vigilanti, preparati, attenti a ciò che può accadere.

[…]

Ma il giorno della vigilia di Natale di fatto non esiste più. Tutti sono impegnati fuori casa, intenti ad affollare i negozi, a dare e ricevere regali, storditi da vetrine seducenti, da luci che ornano strade e alberi, distratti da “Babbi Natale”, cioè da giovani truccati da vecchi i cui fantocci si calano penosamente da finestre e balconi… Vigilie molto diverse da quelle che per anni ho vissuto e che ancora cerco di vivere! Innanzitutto, nelle famiglie si viveva la vigilia attraverso la costruzione, affidata ai ragazzi, di simboli religiosi: il presepe e l’albero di Natale, predisposti da tempo ma che trovavano in quella giornata il loro momento di completamento dell’opera, ricevendo l’attenzione amorosa dei famigliari che proprio accanto al presepe o sotto l’albero deponevano i regali. Regali poveri, ai tempi della mia infanzia: castagne secche, qualche mandarino, noccioline e cioccolato, e a volte, se c’era qualche soldo in famiglia, un vestito nuovo… sempre, comunque, un oggetto che fosse necessario e utile. Da ragazzo avevo il privilegio di ricevere in regalo anche libri e mi dicevano: “Sappi che c’è anche una stagione per leggere: l’inverno”. “

(Enzo Bianchi. Ogni cosa alla sua stagione – Dal capitolo “La notte dell’attesa” – Einaudi 2010)

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